EMPTYSET, Borders

È evidente che intorno a Emptyset, Jebanasam e Porter, tutti collegati e in alcuni casi anche soci (rimando alla recensione di Continuum), si sta coagulando parecchia attenzione. James Ginzburg e Paul Purgas pubblicano questo Borders per Thrill Jockey, segno ulteriore che la curiosità nei loro confronti ha superato in parte le barriere di genere. Si tratta di un disco nel quale distillano e purificano al massimo la loro proposta: silenzio intorno, un ritmo, due-tre suoni combinati e reiterati a traccia. Schemi semplici e chiari, quasi uno di quei saloni d’auto di lusso, spazioso, sgombro da tutto quello che non sia uno dei quattro-cinque modelli di macchina proposti. Forse non c’è nemmeno il venditore.

L’album, ancora una volta, rimanda ai Pan Sonic e a Mika Vainio, ci sarebbe poi da aggiungere una nota a piè di pagina sul dub e sulla cultura del sound system e su come siano influenti su queste musiche, ma è complicato. Due sono gli strumenti suonati e opportunamente processati per ottenere il “timbro” di cui parlo: una specie di zither autocostruito e un tamburo. La scelta di porsi dei “borders” è consapevole e – di nuovo – vicina al lavoro di sottrazione del Vainio solista: less is more. Da notare tra l’altro che non si tratta di un assalto all’arma bianca come magari si potrebbe pensare: il meccanismo dà quel senso di minaccia incombente, ma non è detto che uccida.

Per quanto mi riguarda, potrei ascoltare Borders una volta al giorno per molti giorni senza mai stufarmi, va detto però che in quest’ambito i fratelli maggiori finlandesi non sono ancora stati eguagliati e c’è pure un certo Franck Vigroux che almeno a me mette addosso molta più inquietudine.