Quel camion che ti ha investito erano i Duel

Da Austin, Texas, per il peso complessivo di uno ziliardo di tonnellate, tornano in Italia i Duel, con quattro dischi – tutti su Heavy Psych Sounds – nel motore dal 2016 a oggi, più due live album, uno dei quali registrato all’Hellfest: si comincia venerdì 13 ottobre a Torino (Blah Blah), poi solito Freakout a Bologna, poi ancora a casa mia (Trieste, Kulturni Dom di Prosecco) e infine lunedì 16 a Treviso (Altroquando). Basta mettere sul piatto In Carne Persona e sentire subito “Children Of The Fire” suonare la carica per capire come sia fondamentale vedere dal vivo questi quattro uomini non così belli che hanno deciso di tornare indietro nel tempo per abitare gli anni Settanta, sulla frontiera tra hard rock, psichedelia e il metal a venire, portando con sé dal futuro solamente Misfits e Danzig.

Ho fatto quattro chiacchiere con Tom Frank, voce e una delle due chitarre del gruppo.

Uno dei nostri collaboratori ha un negozio di dischi a Genova. Se una band arriva da Austin, lui aggiunge sempre “quindi è impossibile che faccia schifo”. Che cazzo c’è nell’aria a Austin? Tanta roba buona tra rock, metal e psichedelia…

Tom Frank (chitarra, voce): Austin è un posto speciale per la musica. Città piccola per gli standard statunitensi, ma con più locali e band di qualunque altro posto io sia stato. È una cosa sia bella, sia brutta. È bella, perché succede sempre qualcosa di grosso e per questo ci son tante opportunità per le band. È brutta perché non c’è abbastanza gente per riempire tutti questi locali, il che può rendere difficile la vita a quelle band che cercano di farsi un pubblico. Per fortuna alcuni di questi posti sono molto vicini, così le persone possono vedersi due o tre show a sera. Andare dai gruppi che vogliono sentire. Questa spinta costante fa di Austin soprattutto un campo di allenamento. Un luogo dove affinare le tue capacità su diversi tipi di palco.

Parliamo di “tradizione”. Un futuro premio Oscar una volta mi ha detto che la tradizione è una conversazione tra persone che non si sono mai incontrate. Cosa vi hanno insegnato le band più vecchie sull’hard rock? E che cosa pensate di aggiungere a questa discussione?

È una domanda difficile, perché usiamo molti elementi del passato come il blues, il proto-metal, il classic metal, il soul, vedendoli anche attraverso il filtro del revival in ambito heavy dei Seventies, che è stato molto popolare negli ultimi dieci anni e passa, ma anche tanti altri elementi. Quindi io non credo che siamo collegati a qualcosa in particolare. Gli Stati Uniti sono un luogo molto poco tradizionale, influenzato molto dalla cultura pop in continua evoluzione, quindi è difficile sentire una qualche appartenenza. Semplicemente ci nutriamo della musica che vogliamo ascoltare, un giorno è quella dei Saint Vitus, quello dopo è quella di Stevie Wonder, poi tocca ai Pantera… e così via.

Per quella che è la mia esperienza, vedo che in città da me e in Italia la gente vi associa allo stoner rock, forse per via che la vostra etichetta è Heavy Psych Sounds. Ma quando leggo recensioni estere, si nomina spesso Danzig. È un’influenza per voi?

Sì, assolutamente! Sono cresciuto “Fiend”! Ero totalmente in fissa coi Misfits e anche coi primi due solisti di Danzig. Amo il tiro e l’immaginario di quelle band. La mia voce è sullo stesso range di quella di Danzig, e io sono sempre stato fan dei toni più bassi, dello stile da crooner solenne di gente come Morrison e Lemmy.

Ora parliamo del vostro ultimo disco, In Carne Persona del 2021. Sono pazzo della copertina. Da quel che so, l’ha realizzata il vostro (oggi ex) bassista Shaun Avants. Per favore raccontami quello che vuoi della genesi di questa cover.

Sì, è uno dei lavori di Shaun. Li ottiene disegnando sopra a pagine di riviste di moda e altre pubblicazioni. Quella di In Carne Persona mi ha sempre colpito. È stato così gentile da lasciarcela usare per il disco.

Pensare alla vostra copertina mi fa pensare anche alla pelle. “Skin” torna come parola in “The Veil”, uno dei miei pezzi preferiti. Mi fate felice in quanto fan dei Duel e mi dite qualcosa sulla nascita di questa canzone?

Questa canzone si è scritta praticamente da sola. Ho messo insieme un demo che era già pressoché la canzone com’è sull’album. Si è creata in modo molto organico e in quel periodo io stavo leggendo molte cose sulle esperienze di pre-morte e sull’Aldilà. Ecco perché l’idea dietro al pezzo ha a che fare col velo tra vita e morte e di come possiamo vedere attraverso di esso nel corso della nostra esistenza.

Dopo avervi visto farla dal vivo, non posso evitare di chiedevi qualcosa su “Children Of The Fire”. Avete aggiunto il vostro capitolo alla storia delle canzoni “Children Of”. Avete capito subito che l’album doveva iniziare con questo pezzo? Cercavate consciamente di comporre una “cavalcata”?

A me questa canzone ricorda i Kiss. Alcuni stop e break hanno reminiscenze di “Detroit Rock City”. L’avevo scritta senza chorus e c’era un riff pesante di chitarra in sostituzione. Il chorus è saltato fuori mentre stavamo registrando l’album e il titolo ci è venuto in mente subito. Mi sono convinto immediatamente che non avrebbe potuto essere diverso.

Avete già suonato a Trieste. Eravate sempre in tour a quell’epoca. Come descrivereste le sensazioni provate nel ricominciare a girare alla fine degli anni pandemici? Come perdere di nuovo la verginità?

Sì e no. Ci è mancato molto in quel periodo suonare dal vivo. Abbiamo dovuto cancellare tante cose fantastiche. Quando abbiamo potuto suonare di nuovo è stato incredibile trovarsi sul palco, ma per qualche strano motivo non sembrava che fosse passato del tempo. Il nostro locale preferito a Austin, The Lost Well, è un posto dove abbiamo suonato varie volte prima della pandemia. Poi due anni senza uno show da loro. Uno dei nostri primi concerti è stato proprio lì e nel momento in cui abbiamo cominciato sembrava che ci fossimo stati la settimana prima. Del tutto naturale e normale, come andare in bici.

Avete una forte presenza scenica. Siete eccellenti dal vivo. Secondo me, se hai un gruppo, devi portare la tua musica dal vivo al pubblico, è l’unico modo, pare, per vendere dischi fisici oggigiorno. Che cosa consigli alle band più giovani che cercano di capire come mettere insieme un live show decente?

Immagine e promozione fatte bene aiutano molto. Capirlo subito ti risparmia molto tempo. I primi show devono essere visti come opportunità di creare contenuti (poster, foto live, video) che aiutano ad avere altri show. I concerti sono per il pubblico che è venuto, ma anche per i follower sui social media. È come se fosse una sola cosa a nutrirsi. E poi procuratevi un backdrop figo! Anche questo aiuta molto.