QUASI, Breaking The Balls Of History

Un disco che viene fuori dal primo lockdown, dalla sensazione di straniamento che tutti abbiamo provato in quei giorni di primavera del 2020, nato da un ex marito e una ex moglie, ex componenti di un gruppo che pensavano morto (il loro ultimo disco era di dieci anni fa) e invece risorto dall’urgenza di quel presente incomprensibile.

Breaking The Balls Of History è un parco giochi bellissimo: me le vedo queste due vecchie volpi della scena di Seattle, nel loro garage-bunker, a suonarsi in faccia dei pezzi che parlano di un modo di essere musicisti invecchiato non certo dalla pandemia, ma piuttosto dall’intera mitopoiesi in cui credono le nuove generazioni.
Le tastiere (il rock-si-chord!) scanzonate di Sam Coomes (Elliot Smith, Built To Spill) e la batteria secca e spigolosa di Janet Weiss (Sleater-Kinney, Stephen Malkmus And The Jicks), creano qualcosa che non suona come nuovo o rivoluzionario in sé e per sé, ma che, con l’aggiunta della dose di cazzeggio e understatement già visibile dalla scelta grafica della copertina e più che ascoltabile in questi dodici pezzi, diventa irresistibile.

C’è un vecchio live per KEXP durante il quale, interrogati sulla “sloppiness” (tradurrei con “pressapochismo”) del loro sound, rispondono abbracciando l’imprecisione, dichiarando l’importanza del sentirsi vivi e musicali, senza perdere di vista il quadro generale come spesso succede quando si cerca la precisione maniacale. Ecco, forse il segreto dei Quasi è proprio questa vitalità che poco si addice a quello che potremmo immaginare come un “vecchio gruppo della scena”, un brillìo che esce in ogni pezzo, dalla caustica “Doomscrollers” al finale amarissimo di “The Losers Win”.

Non c’è niente di fuori posto in questo disco, soprattutto se state cercando non tanto il disco della vita, ma qualcosa da canticchiare mentre il mondo crolla. Forse era proprio questo il loro obiettivo mentre registravano barricati nel bunker, assediati dalla prima pandemia da zoonosi di questi anni ‘20: seppellire la paura con una risata liberatoria quanto fuori luogo, di cui non possiamo che esser loro grati.