Silvia Tarozzi, 7/6/2021

immagini di Paolo Zanotti

Modena, Teatro Tempio.

Centra il punto senza troppi preamboli Claudio Rastelli, compositore ed organizzatore del concerto di stasera in qualità di direttore artistico dell’associazione Gli Amici della Musica di Modena, quando parla, in apertura della serata, di problemi legati alle programmazioni dovute a etichette insopportabili ed inutili, riferendosi per contrasto alla capacità dei musicisti invitati stasera di muoversi in diversi ambiti espressivi: in effetti il concerto di Silvia Tarozzi (composizioni, voce, violino, chitarra elettrica, oggetti), con Valeria Sturba (violino, theremin, voce), Edoardo Marraffa (sax tenore e sopranino), Stefano Pilia (chitarra baritono) e Cecilia Stacchiotti (synth, tastiere, voce, bansuri) rifugge le definizioni univoche e ci regala un’idea di musica fertile, obliqua, abitata da un delicato senso di stupore e da una curiosità infantile (sia detto nella migliore accezione possibile del termine) per il suono come teoria di mondi possibili e impossibili.

immagini di Paolo Zanotti

Cianfrusaglie elettroniche, carabattole, come in un gioco serissimo, aprono il sipario su canzoni sghembe e a mezza via tra toy music celestiale, orchestre di burattini o bambole, la Penguin Cafe Orchestra in Giappone e tanto altro, caratterizzate da uno spiccato nitore melodico e da testi efficaci nella loro essenzialità poetica, sghembi e personali testimoni di uno sguardo del tutto personale. “Tu sei nata il 21 a primavera/ Ma non sapevi che il tuo suono è un atto d’amore/ con la forza del canto sei piovuta sui miei pensieri”. Ipnotiche costruzioni avant-pop, ombre di Arthur Russell, i violini parlanti e meccanici di Jon Rose, quelli struggenti e speziati di folk di Iva Bittová, “quel sole che sempre abbaglia la nostra idea di cosa sia una primavera”. Poi echi del primo Battiato, sequenze, frequenze, brezze di una rivoluzione gentile, la medesima abilità di un Jim O’ Rourke nel coniugare avanguardia e cantabilità (non a caso il genio di Chicago è un noto fan della fase sperimentale del cantante siciliano), i synth liberi e spettinati di Cecilia Stacchiotti come un Terry Riley nei giorni d’oro del minimalismo estatico ed un quid da romanzo acustico neorealista eppure sottilmente allucinato: “Avevi per la scienza del mio cuore/ l’esatto suono di un verso d’amore”. “Smettila di ascoltarli, ti sfrutteranno”, cantano le due voci armonizzate di Tarozzi e Sturba (da brividi al microfono, imperdibile nel duo Ooopopoiooo con Vincenzo Vasi) e fiorisce una specie di canone celeste che stacca inni al cielo, seguendo binari paralleli che portano verso l’infinito. Poi l’acqua nel deserto di una melodia che sa di Mali (il chitarrista Pilia suona con Rokia Traoré) ed ancora altre frasi luminose che restano impresse e chiedono alla penna del cronista di essere trascritte: “Parlavi di un bambino nella mia vita/ con occhi antichi e scuri/ parlavi di un bambino/che ci scoppiasse in petto”. Un madrigale psichedelico architettato su un ritmo di 5/8, poi un blues informalissimo ed astratto (Tarozzi alla chitarra a dialogare con Pilia), frasi come mozziconi spenti su certe pagine di David Grubbs. Un concerto pieno di suggestioni e di luoghi diversi, una sorta di teatro naturale dove assistiamo alla meraviglia della creazione senza limiti: Marraffa col suo sax barrisce da fuori scena come un elefante imbizzarrito avvolto in una coltre di carillon orientali ed un baobab gigante irrompe con la sua forza straripante in un giardino zen. Ogni intervento è calibrato al grammo senza risultare studiato, ma creando anzi l’effetto di una fluida semplicità quasi biologica, merito del talento dei musicisti e della solidità delle composizioni, accoglienti eppure sempre lontane da qualsiasi didascalia. Tutto è sempre straordinariamente musicale: verso la fine anche una radio ed una trombetta giocattolo donano altri colori a questo caleidoscopio. Nel bis l’intervento di Cristina Vetrone delle Assurd a voce ed organetto è la foce dove la febbre folk che covava sottopelle viene a galla. Un prodigio gentile e delicato, specchio fedele e magico di un disco speciale, pubblicato l’anno scorso dall’americana Unseen Worlds, che ci ha già regalato perle come EXTREEMIZMS di Philip Corner, di cui abbiamo scritto, o i lavori di quel genio che risponde al nome di Carl Stone.

immagini di Paolo Zanotti
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