FRANCESCO GIANNICO / ZAC NELSON, Les Nomades Paysages

Giannico

Elettronica e percussioni è un insieme troppo grande. Per fare uno dei mille casi possibili, chi ascolta industrial e dark ambient conosce bene la formula magica, ma non è ai Test Dept. che bisogna pensare per Les Nomades Paysages, come nemmeno ad alcun tipo di tribalismo/primitivismo (esempio odierno: Cannibal Movie). Lo stile del batterista Zac Nelson, infatti, oltre ad avere parentele col jazz e l’improvvisazione (ma, ancora, non si va in follia come gli Aufgehoben), pare proprio essere il “prodotto” di ascolti molto più eterogenei. Forse Zac in qualche modo somiglia a figure polivalenti come Steven Hess (Locrian, Haptic, Ural Umbo, On, Pan•American…), un musicista bravo sia con le bacchette sia con l’armamentario “elettronico”, però anche questa volta le vere similitudini ci sono e non ci sono. Ecco, durante l’ascolto di Les Nomades Paysages possono magari venire in mente gli Æthenor: nel secondo disco di questo progetto due (!) batteristi “free” rubavano il palcoscenico a maestri nel creare atmosfera come O’Sullivan e O’Malley, però ancora non ci siamo. Tra l’altro, quest’anno ha pure fatto il suo esordio anche il duo italiano drone/batteria The Days Are Blood, il cui modus operandi è accostabile per certi versi a quello di Giannico e Nelson, anche se i colori sono differenti. Insomma, questi sono solo raffronti che aiutano a farsi alcune delle domande che si devono essere posti questi musicisti che li hanno preceduti. Ad esempio: se field recordings di oggetti possono fungere quasi da punteggiatura percussiva/ritmica o comunque da increspatura che spezza la monotonia e ravviva l’attenzione, come sarebbero le cose con un batterista vero che magari prova a imitare l’imprevedibilità di certo materiale “concreto”? O come potrebbero essere se questo stesso batterista volesse diventare il punto focale dell’insieme?

A livello visivo, la prima traccia, molto malinconica, potrebbe essere resa con Nelson che “danza” nel mezzo dei paesaggi sonori che Giannico gli ha fabbricato intorno. L’approccio percussivo, infatti, è molto concitato e anarchico, in contrasto appunto con il lento evolvere della “scenografia” (vedi appunto gli Æthenor di Betimes Black Cloudmasses).

Nel secondo episodio, complice la presenza di una voce femminile lontana e inintelligibile, sembra quasi di ascoltare una band vera e propria: forzando moltissimo, potrebbe trattarsi di qualcosa di simile ai primi Seefeel, questo a causa del loop utilizzato da Giannico, che sembra uscito da Quique. Presto questa sensazione si squaglia nel dronegaze predominante nei due terzi rimanenti del brano, se si esclude qualche sussulto di Nelson, che però rimane più indietro nel mix.

Nel terzo e ultimo tratto di strada del disco Zac riesce a emergere di nuovo e a stare sotto il riflettore un po’ più con i suoi solismi, anche se l’impronta dell’italiano rimane quella più forte.

In buona sostanza, nel corso di questo lavoro si va da momenti in cui le percussioni sono il crepitio della legna (ma tu guardi il fuoco, soprattutto) a fasi in cui il protagonista è proprio l’uomo nella sua fisicità, passando in mezzo a frangenti dove c’è una fusione più bilanciata. L’impressione è che i due si siano soprattutto sbizzarriti, trovando comunque in vari frangenti una buona alchimia. Resta la curiosità di sapere se questo è destinato ad essere un progetto di lungo periodo e se riuscirà a costruirsi un’identità chiara, sviluppando al meglio quei frangenti di cui sopra.

Tracklist

01. Briques De Fer
02. La Race Des Loups
03. Les Nomades Paysages