Qualcosa è rotto, qualcosa è a puttane: KEN mode

Something is broken, something is fucked

A Love Letter

Non ci sono molti pezzi più corrosivi di “A Love Letter” nel 2022. Non si riesce a prendersi un minuto per riflettere su come il sax Kathryn Kerr si sia fuso alla perfezione col resto dei KEN mode, perché Jesse Matthewson sequestra la scena. Non ci sono, inoltre, testi più cinici e pessimisti di questa lettera d’amore.

I’m scared. Scarred

Throw Your Phone In The River

Dopo tanto tempo i KEN mode sono ancora un gruppo pericoloso. L’energia degli inizi è intatta, è cambiato nel tempo il modo di sfruttarla. Non mi viene in mente qualcuno (forse gli Whores) che porti così bene Jesus Lizard e Unsane nel 2022.

maybe they always knew that this never actually mattered

The Tie

Non parliamo in ogni caso di musicisti che ripetono (non importa se bene o male) la stessa formula: questa è gente che non mette una sassofonista per darsi un tiro jazz, ma una band che inserisce in pianta stabile una musicista che sa suonare anche il sax e continua il suo percorso. E si inventa anche l’entr’acte “industrial” “The Tie”.

No valuable lesson learned, only loss

But They Respect My Tactics

Non era facile ripetere un album come Loved, un vero e proprio bagno di sangue, eppure i KEN mode sono qui con la stessa aggressività, se vogliono, ma durante l’ascolto si capisce come non hanno sempre bisogno di correre per spaventare. Possono fermarsi, e senza paura d’esser catturati.

We deserve this

Lost Grip

Bastano del resto il basso di “Lost Grip” e la sua introspezione amara per tener seduto chiunque ad ascoltare.

 And here’s the thing that we did before, that you liked so much

The Desperate Search for an Enemy

Se i vecchi schemi – Kathryn o non Kathryn –  funzionano bene, alternarli alle automutilazioni swansiane di “Unresponsive” fa un sacco bene alla band e alla sua sopravvivenza creativa.

Without release, without relief

Unresponsive

NULL è uno dei dischi estremi dell’anno, questa è una band che abbiamo alla fin fine sempre sottovalutato, una di quelle che forse non inventa nulla ma rimastica tutto alla grandissima senza poi più assomigliare a nessun’altra se non se stessa. L’intervista è un po’ troppo old-Vincenzo-Mollica-school e non nascondo di essere stato tattico nel mettere Jesse a suo agio. Volevo questo gruppo, quest’anno, sulla webzine. Basta schiacciare play sul Bandcamp qua sotto per capire.

Cominciamo con una buona notizia: siete sulla copertina di Decibel. Non so se sia la prima volta o no. Come la vivete? Aiuta? Aiuta ma non così tanto come si pensa? Qualcuno legge ancora interviste e recensioni? Lo spero.

Jesse Matthewson (voce, chitarra): Proprio la prima. Spero che aiuti? A essere onesto non ho idea quanto aiuti o no. È di sicuro un onore abbellire la copertina dell’unica rivista a cui sono abbonato! Forse un paio di persone si sono incuriosite e come risultato ci hanno ascoltati. Se è successo, allora per me ha funzionato!

Sono grande fan di Loved. Non molla la presa per almeno sei pezzi (comincio a respirare di nuovo con “This Is A Love Test”). Non puoi spegnere lo stereo fino alla fine. Non succede spesso nel mondo delle playlist e delle Stories su Instagram. Cosa provate per quel disco a quattro anni di distanza?

Do per certo che ci renda giustizia, che rappresenti ciò che cercavamo di ottenere in quel momento. Sento che diventiamo sempre migliori di album in album nel mettere in pratica la nostra visione, quindi ogni volta che ne abbiamo in mano uno nuovo, ecco che riesco a trovare i difetti di quello prima, che non è una cosa bella da fare. Loved mostrava dove stavamo nel 2018 e adesso noi siamo qui con NULL nel 2022. È di sicuro ancora un buon disco, uno di quelli molto selvaggi, almeno secondo me.

A proposito di Loved… sapete che vi devo chiedere perché avete preso stabilmente a bordo Kathryn Kerr dopo di esso. Ovviamente penso sia una buona idea. Però vorrei sapere da voi com’è successo.

Volevamo suonare con lei dal vivo dopo aver collaborato per Loved, ma semplicemente non aveva senso per noi portare qualcuno on the road giusto per fare due pezzi del set. Quando abbiamo iniziato a sviluppare il materiale per NULL, le ho chiesto se voleva lavorare con noi di nuovo, anche per espandere il suo ruolo, perché io stavo sperimentando pure con dei synth. Lei ha reagito in modo entusiasta alla proposta ed eccoci qua oggi. Adesso possiamo proseguire l’esplorazione di strumenti aggiuntivi che si trovino al di fuori della classica equazione chitarra-basso-batteria e farlo pure come live band, qualcosa che prima per noi non era possibile. Sono preso assai bene dall’idea di collaborare all’aspetto della composizione.

Molte band underground mollano dopo qualche full length oppure seguono una parabola, diventando ripetitive al terzo o al quarto disco. Oggi parlo con voi, un gruppo con sette album in mano, e sembrate al massimo dei vostri poteri. Vi sentite così? Oppure sentite il peso di vent’anni di storia sulle spalle?

Di sicuro sentiamo di aver investito degli anni nel gruppo, ma allo stesso tempo ci rendiamo conto di usare nuovi mezzi a ogni nuovo album per articolare meglio di tutte le volte precedenti la nostra visione. Questo è un “ego project”, tutto quello che facciamo è toglierci un prurito che sembra non andarsene mai. Se non ci pare di andare oltre i nostri limiti o di costruire sopra quanto già fatto, non andiamo avanti. Tutto ciò che pubblichiamo ha un suo significato, che poi rientra in un quadro più grande, comprendente quello che abbiamo presentato per più di venti anni. Quindi, per rispondere in modo diretto alla domanda, sentiamo vent’anni di storia sulle spalle, ma consideriamo ogni album come quello di una band nuova. Speriamo di trasmettere quell’urgenza che non sempre band in giro da così tanto tempo trasmettono.

Tra l’altro, quando ascolto Null, penso “questa band non ha nulla da dimostrare, può far quel che vuole”. Mi sembra che voi prendiate tutto il tempo che ritenete necessario, andando piano a volte, essendo più teatrali e non per forza rumorosi quanto potreste. Vi sentite più liberi ora? O lo siete sempre stati? Vi interessa l’opinione degli altri?

A questo punto di sicuro non ci interessano le aspettative altrui. Al massimo hai una chance di esplodere come band, poi la gente finisce di cagarti e quindi noi siamo a nostro agio nella fase “facciamo ciò che vogliamo”, il che è molto liberatorio. Non che abbiamo mai ricevuto pressioni per essere qualcosa, non siamo chiaramente un gruppo “commerciale”. E ci siamo sempre vantati di poter mostrare il nostro eclettismo. Guarda bene la nostra discografia: vedrai che le cose cambiano frequentemente, semplicemente per noia. È per questo, credo, che la gente ha sempre fatto fatica a categorizzarci.

“Winnipeg is a Frozen Shithole”: è il titolo di uno dei primi album del vostro concittadino Aaron Funk aka Venetian Snaers. È una sorta di Aphex Twin per canadesi, se non lo conoscete. Lo conoscete? Siete d’accordo?

Aaron è amico della mia partner, onestamente non ricordo se ci hanno mai presentato, ma come ovvio so di lui. Ah, solo i Winnipegger sono autorizzati a dire certe cose e per questo motivo tendo a essere d’accordo. Ma la maggior parte delle città è terribile. E anche grandiosa allo stesso tempo. Più viaggi, più realizzi che sono gli umani a essere terribili e a fare di questi posti ciò che sono.

Siete stati in tour molte volte nel corso della vostra storia e con molte band differenti: alcune erano grosse e sono ancora attive, alcune sembravano grosse all’epoca, ma non sono durate… Chi vi ha colpito di più?

Il tour coi Torche è ancora uno di quelli che preferisco. Erano una forza come live band e all’epoca portavano sul palco i loro dischi che mi piacevano di più. Era il 2013 e fu divertente. Anche con gli Inter Arma c’era molto da ridere. Una grande band, una grande live band e gente con cui era bello andare fuori.