Due ep dalla frontiera: Santa Muerte e Coast2c

Per quanto spesso vengano utilizzati come sinonimi nella lingua italiana, confine e frontiera hanno significati differenti, se non addirittura opposti: il confine, infatti, è quella linea che separa due stati, è una cesura e stabilisce, spesso senza possibilità di discussione, chi o cosa appartiene a un determinato territorio. La frontiera invece è uno spazio, certo adiacente al confine, ma meno definito e, soprattutto, continuamente rinegoziabile: è quella fascia in cui persone e merci si muovono, si nascondono o si accalcano, proprio come sta accadendo tra Messico e Stati Uniti. E proprio dai territori separati da quel confine, che per lunghi tratti coincide con il Rio Grande, arrivano due proposte di musica elettronica capaci di riflettere tanto sullo stato dell’arte quanto sul valore delle differenze e della contaminazione.


Santa Muerte, divinità precolombiana traslata nella tradizione cattolica in protettrice degli ultimi e dei diseredati, è il progetto di Panch Briones (dopo l’abbandono del sodale Sines, titolare a tempo pieno della label Majia), originario del Messico ma stabilitosi ora a Houston, ed è tra i più recenti innesti del roster Hyperdub, etichetta discografica che da sempre s’interroga sul valore e sul significato della frontiera, arrivando quasi a immaginare le strade della capitale inglese, Londra, come l’ennesimo spazio geografico dove le popolazioni caraibiche diasporiche continuamente contrattano un’identità mutevole e ibrida. Il nuovo ep di Briones, Eslabón, si articola lungo quattro tracce per neanche quindici minuti totali, ma già l’iniziale “Tonatzin” certifica l’ottima scelta di Hyperdub: il brano è infatti una miscela marziale e irresistibile di bass-music, sfrontatezza hip-hop e influenze tex-mex. La successiva “Coahuiltecan” mantiene alto il coefficiente di eclettismo, ibridando accelerazioni UK-funky, sentori chopped & screwed e synth paranoidi, mentre la breve e atmosferica “Emma” funge quasi da preludio, post-industriale e apocalittico, alla conclusiva “Laberinto” che, come suggerisce il titolo stesso, nella miglior tradizione british fa smarrire l’ascoltatore in un susseguirsi di percussioni sincopate, sorprendendolo poi con improvvise aperture che guardano invece ai deserti del Messico.

Guarda invece alle poliritmie dell’Africa l’altro ep che vi segnaliamo: Machine Music, Human Dance della producer Coast2c, al secolo Sofia Acosta, originaria di Città del Messico, dove è recentemente tornata a vivere dopo un’esperienza negli States. Apre le danze, letteralmente, la title-track, monumentale e tenebroso esercizio post-techno affascinato, già a partire dal titolo, dai ritmi mutanti e inafferrabili della contemporanea Africa elettronica; il remix dell’americana Carly Barton ne dà un’interpretazione più soffusa e cibernetica, ma altrettanto fascinosa. La più essenziale “Polymorphism” è un’intrigante e intricata celebrazione modulare che sembra guardare alla scuola elettronica più europea, confermando così che nessun confine, fortunatamente, può bloccare musiche e idee.