Dall’angolo di Lucy Railton

Lucy Railton, Corner Dancer

Lucy Railton è una violoncellista, compositrice e curatrice inglese, il cui lavoro, al di là della matrice “classica”, tocca tanti tipi di sperimentazione. Infinite le sue presenze in dischi altrui e le collaborazioni: Mica Levi, Beatrice Dillon, Laurel Halo… Quest’anno l’ho sentita insieme a Michiko Ogawa (Fragments Of Reincarnation, su Another Timbre) e a Kali Malone e Stephen O’Malley in Does Spring Hide Its Joy, che probabilmente passerà alla storia come il miglior disco “minimalista” (o “drone”, come semplifichiamo oggi) del 2023.

Venerdì 24 novembre Railton suonerà alla seconda giornata del Transmissions di Ravenna, dopo Youmna Saba e prima di Puce Mary. Con sé forse avrà anche qualche copia del suo nuovo solista Corner Dancer, uscito il 10 novembre per Modern Love.

Corner Dancer è una sorpresa, un album che di certo non finirà in ogni casa, ma un lavoro che svela una violoncellista al picco dei suoi poteri, come tutti i grandi a suo agio anche nel vuoto e al buio. Railton – che qui si cimenta anche con synth, elettronica e altri strumenti come violino o arpa – non ha problemi a suonare cruda, difficile, acuminata, a chiedere a chi l’ascolta di fermarsi con lei e di seguire percorsi non lineari, ferendolo con gli stridori di “Held In Paradise”, per poi alla fine appoggiarlo a terra con la soavità quasi r’n’b (ma in assenza di r’n’b) di “Blush Study”. Corner Dancer, nonostante il titolo, si muove libero da costrizioni, è digrignante, inospitale e pieno di incognite: proprio per quest’ultima caratteristica attrae gli ascoltatori più avventurosi. Questo approccio così spietato mi ha portato – forse più per associazione di atmosfere che solo di suoni veri e propri – a Life… It Eats You Up di Mika Vainio, dove il finlandese, insolitamente, torturava uno strumento a corda nel mezzo del nulla, ed è per questo che lui compare in due domande di quest’intervista.

Sarai al Transmissions Festival, curato da Kali Malone. Hai suonato con Malone e O’Malley in uno dei dischi dell’anno (portato da poco dal vivo anche al LeGuessWho?). Diventa difficile per me non chiederti cos’hai imparato da Does Spring Hide Its Joy. E sono innamorato della voce del tuo strumento in quel disco.

Lucy Railton: Grazie. Does Spring Hide Its Joy è focalizzato sull’ascolto. È un esercizio forte di ascolto e di comunicazione, nel modo in cui è stato fatto, nel modo in cui lo proponiamo: tre voci assieme, che s’intrecciano. Portiamo sul palco e rivisitiamo regolarmente quest’esperienza, nella quale io posso – tutti e tre possiamo – entrare in uno spazio profondo, ricco dal punto di vista spettrale e fisico. È stato possibile per noi cementare una pratica di “deep listening”, un modo di dire coniato da Pauline Oliveros che però va vissuto per essere capito. Lavorare con musicisti abili e sensibili come Kali e Stephen permette di andare lontano con queste idee. Ogni volta che entriamo in quello spazio siamo destinati a cambiare: questo è il perché noi facciamo musica, e si spera sia anche il perché le persone ascoltano.

Sembra che Malone abbia voluto una line-up quasi di sole donne per Transmissions. Non ti conosco, ma vedo che tu ti preoccupi dell’uguaglianza di genere nel tuo mondo artistico e fuori da esso. Stiamo progredendo? Siamo ancora lontani dall’uguaglianza?

Curare e programmare line-up a maggioranza o pari presenza femminile è importante per spostare l’ago della bilancia in uno scenario a predominanza maschile, ma il lavoro importante andrebbe fatto sull’atteggiamento degli individui che gestiscono le strutture. Se misoginia e atteggiamenti patriarcali passano inosservati all’interno del team organizzativo, del team tecnologico, di quello della comunicazione, allora il cambiamento è solo illusorio o parziale. Il programma di Kali è stato messo assieme sulla base del fatto che lei ha una relazione speciale con ciascun musicista selezionato e lo rispetta, almeno penso che questa volta il genere non sia il criterio che ha guidato la sua curatela.

Mi piace la copertina di Corner Dancer. È così “classica”. Quando l’ho vista, ho pensato “questo disco è un’affermazione forte, lei si mette in copertina, è sicura, sta guardando chi ascolta e non ha bisogno di effetti speciali. Ti va di raccontarmi qualcosa di questo ritratto che ti ha fatto Rebecca Salvadori?

Certo, io e Rebecca siamo vecchie buone amiche. Abbiamo lavorato insieme anche in ambito performance, quindi ci capiamo molto bene. Rebecca è principalmente una film maker e approccia i suoi soggetti con molta profondità personale. Le relazioni sono molto importanti per lei, così come per me, ed è stato importante anche come lavoro col mio materiale musicale. La foto sulla cover è stata una delle ultime della seduta, io originariamente non volevo uno scatto lunatico e cupo, ma Rebecca è molto brava a capire le espressioni, così alla fine abbiamo compreso che questa foto diceva qualcosa di chiaro, e si percepiva come autentica. L’autenticità è la chiave per me, non mi interessa più di tanto reinventarmi. La mia missione principale nel corso degli anni è stata quella di andare nel profondo di ciò che io desidero dire attraverso la musica. La foto e grezza e appena stilizzata, ed è così che io mi sento più a mio agio.

Una volta ho parlato di silenzio con Mika Vainio. Lui ha detto: “Il silenzio è un elemento fondamentale che io taglio coi suoni. Come nell’architettura giapponese, lo spazio vuoto è l’elemento più importante”. Sono stupito dall’uso dei silenzi in Corner Dancer. Il silenzio è fondamentale per te?

Mi approccio al silenzio in modo un po’ diverso, ma apprezzo ciò che ha detto Vainio. Ovviamente c’è un aspetto strutturale che, come in architettura, parla di spazio negativo. Lo spazio negativo contestualizza il materiale, la forma è creata all’interno del silenzio… Il mio realizzare musica è molto influenzato dalla mia esperienza come performer e quindi su questo disco il mio silenzio ha a che fare con l’energia. Pensa ai concerti che hai visto, al prima o dopo la musica, a quando il performer sta per salire sul palco o a quando crea, la suspense per il momento successivo. Questi momenti significano molto per me, sono energia che ingloba nervosismo, paura, emozione, aspettative, una pausa per respirare. In Corner Dancer, ad esempio, pensavo molto allo svelare un suono o al coprirlo… Inoltre, parlando con Shlom Sviri di Modern Love (Sviri è il fondatore dell’etichetta, ndr), ho realizzato quale è stata una delle mie primissime influenze musicali: giochi per computer, entrati naturalmente all’interno del mio processo creativo. Forti ricordi del giocarci quando ero molto giovane e ricordi di questa sensazione di paura e prigionia quando entri in una stanza buia, senza sapere con cosa ti confronterai: la musica e il sound design di questi videogiochi devono aver avuto un impatto su di me, e io mi sono sempre interessata alla tensione del silenzio durante la performance, e ovviamente non è che sia una cosa poco comune farlo… tanta musica ti fa provare questa sensazione, ma hai ragione, quest’album ha a che fare con spazio e silenzio molto più di altri miei, non è stato intenzionale, penso che avevo proprio bisogno di spazio, è apparso naturalmente.

Mi meraviglia anche quanto sei viscerale e cruda sul disco (penso a “Held In Paradise” o alla title-track): devo tornare di nuovo a Vainio, quello solista. Ho assistito a un paio di suoi concerti e ho subito percepito che aveva molti demoni personali da esorcizzare. È lo stesso per te?

Penso che tu abbia appena descritto che cosa significhi fare musica, il perché l’arte esiste e il perché noi creiamo.

La prima traccia a essere diventata pubblica è stata “Blush Study”, ed è una delle più morbide, secondo me. Perché questa scelta? Perché è stata la prima?

La pubblicità è davvero solo attirare l’attenzione verso qualcosa, e con “Blush Study” è possibile, penso, capire velocemente la musica, sperabilmente dà qualcosa all’ascoltatore da tenere in mente. Le altre tracce del disco chiedono di più a chi ascolta, evolvono più lentamente a l’album si svela finché non arriviamo proprio a “Blush Study”, che vedo come una specie di esalazione e un’estatica esplosione di energia, proprio come l’arrossire, una risposta fisiologica a suono, esperienza, emozione, paura, amore ed eccitazione.

Cosa dobbiamo aspettarci dalla tua performance solista a Transmissions?

C’è stata una richiesta speciale: suonare da sola il violoncello, un po’ di musica dal mio Lament. Si tratta di musica che incorpora pratiche “just intonation”.