CTM Festival, 26/1/2024 – 4/2/2024

Felicia Atkinson, foto di Camille Blake

Berlino.

Si è conclusa il 4 febbraio la venticinquesima edizione del berlinese CTM, dieci giorni e dieci notti intorno alla ricerca musicale elettronica più radicale, con un approfondimento sulla sostenibilità condiviso con la piattaforma gemella del Festival Transmediale. Il focus era sulla scena artistica irlandese, ma anche la tragica attualità degli avvenimenti geo-politici si è fatta sentire (come già nel 2023, per via dell’invasione dell’Ucraina): quest’anno la tragedia di Gaza ha avuto come conseguenze alcuni ritiri di artisti o prese di posizione d’esplicito sostegno alla causa palestinese, anche in polemica con una proposta di legge che – se passasse – in Germania cancellerebbe di fatto i finanziamenti pubblici a qualsiasi organizzazione o collettivo culturale esprimesse posizioni critiche al Governo di Israele, ragione per cui dall’ottobre 2023 si è creata una fortissima tensione e anche eventi come CTM/Transmediale sono stati coinvolti in questa controversa tematica.

La serata inaugurale ha preso il via negli spazi Betonhalle del Silent Green di Wedding con il duo irlandese Moundbabout e la sua scarna psichedelia inquieta e nervosa, in contrasto per certi versi col set magniloquente, decisamente prog del sestetto con doppia batteria della svedese Anna Von Hausswolff, figlia di cotanto padre e in costante ascesa mediatica. Poi ci si è spostati al Berghain per i live di Monolake/Robert Henke, in splendida forma, e per Föllakzoid, che nella iterazione del suo set motorik (tipo Neu! 4.0) ha regalato l’ennesima performance sfavillante. Durante la notte, negli altri spazi come La Saulle e il Panorama Bar, si sono avvicendati nomi come Opium Hum (dj resident e consulente del festival), Safety Trance, Spekki Webu, il grande Ghostpoet, relegato però alle 8.

Rimandando all’intervista che avevamo realizzato a gennaio con il direttore artistico Remco Schuurbiers, nominerei ora esclusivamente i concerti che sono parsi i più significativi, in ordine cronologico. Anzitutto OSMIUN, progetto realizzato per CTM da un team di cui fanno parte l’islandese (Oscar 2020 per lo score di “Joker”) Hildur Guðnadóttir al violoncello, James Ginzburg (Emptyset), elettronica e basso percosso da solenoidi, Rully Shabara (Senyawa) alla voce, Sam Slater (percussioni), impegnato in un live che è stata una unica lunga suite in crescendo che sommava matematicamente il talento dei quattro musicisti, risultato notevole mai da dare per scontato quando ci sono i “supergruppi”. Successivamente Ben Frost con Greg Kubacki e Tarik Barri per il tempestoso progetto Scope Neglect (ne parlammo ad ottobre). ONE LEG ONE EYE di Ian Lynch dall’Irlanda, un duo fortemente caratterizzato dalla rilettura dei reel tratti dalle melodie popolari dell’isola come dalla tradizione vocale celtica, ma ricontestualizzata in un ambiente digitale tanto materico quanto spirituale. Riccardo La Foresta e James Ginzburg in una installazione potente, già presentata nel 2022 al Festival bolognese RoBOt, ma in questa sede arricchita dagli interventi live dei due e in particolare dal musicista italiano concentrato da anni sulla reinvenzione delle possibilità sonore degli strumenti a percussione. Il 30 gennaio, giorno del concerto, è uscito anche il loro Six And Forty Six (Subtext). Sempre al Berghain, il set di HMOT (sampler) e Aldana Douraan (suonatrice di marranzano proveniente dalla Jacuzia, terra ricca di virtuosi di questo antico strumento a bocca) davvero alieno e sorprendente, per non parlare di uno dei momenti in assoluto più intensi e riusciti di tutto il CTM 2024: lo straordinario batterista di Berna Julian Sartorius con Rabih Beaini – patron libanese della Morphine Records – all’elettronica, per un’ora e mezza di pura energia creativa, un flusso ininterrotto di suoni all’interno di un interplay fra i due chiaramente in serata di grazia, due mostri di bravura in trance! A questo punto nella main del Berghain, introdotta dalla proiezione di una grande bandiera della Palestina sopra al palco, arriva l’artista australiana Takiaya Reed titolare della band doom-metal Divide & Dissolve, che fra un brano e l’altro prende la parola descrivendo il genocidio degli aborigeni Maori, degli indiani d’America, degli indigeni africani da parte del colonialismo bianco, ma soprattutto solidarizzando con il popolo palestinese: riassumendo, al netto della coerenza e del coraggio di intrattenere una sorta di assemblea all’interno del Berghain alle due del mattino, è andata benissimo sia per il concerto a volume stratosferico, sia per il dialogo con un pubblico tutto, tranne un singolo spettatore, solidale! Arriviamo al primo giorno di febbraio con la serata dedicata all’etichetta irlandese GASH Collective e il performer polacco Dylan Kerr as Baptist Goth che ha ipnotizzato una platea orientata a ballare in Saulle con un live liturgico voce sola “a cappella” ed elettronica, sorta di messa laica nel più trasgressivo degli spazi berlinesi, e anche qui il risultato si è rivelato coraggioso e molto intenso musicalmente come pure il set di Maeve O’Neill, mentre sopra, nella sala grande, il duo italo-catalano Dame Area (Silvia Konstance e Viktor L. Crux) imperversava magnificamente con la sua miscela electro post-industrial.

Oltre agli incontri svoltisi anche all’interno del Festival gemello Transmediale riguardo la Sostenibilità, tematica centrale di riferimento, sul palcoscenico del Teatro Volksbühne in Rosa Luxemburgh Platz c’è stato spazio per il cinema e la danza con la doppia serata dedicata al compositore e regista islandese Jóhann Jóhannsson, scomparso a Berlino nel 2018, con la visione del suo film “Last and First Man” e la rilettura dello score da parte del compositore e contrabbassista Yair Elazar Glotman con le coreografie di Adrienne Hart della compagnia britannica NEON DANCE, voce narrante di Tilda Swinton, a seguire di corsa negli spazi multifunzionali del Radialsystem per la performance post-umana del nostro Marco Donnarumma.

Siamo giunti ai concerti che più abbiamo apprezzato nel secondo e conclusivo fine settimana con lo show assolutamente minimale della onnipresente parigina Felicia Atkinson, piano ed elettronica gentile, coadiuvata sul grande palcoscenico Volksbühne dalle chitarre della statunitense Jules Reidy e da crys cole (iniziali rigorosamente in minuscolo), sound-artist canadese, per novanta minuti di suoni, accordi e risonanze diffuse dal sofisticato sistema audio Soundscape-SSC sviluppato per l’occasione da d&b Audio su commissione specifica del CTM. Per l’ultima notte al club prescelto, l’RSO di Schoneweide, si alternano 14 fra dj set e live di cui il più interessante risulta quello della giovane artista multidisciplinare olandese upsammy (Thessa Torsing), già al suo secondo disco, Germ In A Population Of Buildings (assistita in studio da due maestri come Rashad Becker e James Ginzburg), per un concerto dai ritmi sghembi, una sorta di IDM vintage imprevedibile. Arriviamo all’ultimo giorno, domenica 4 febbraio, con due controversi (ebbene sì) concertoni ancora in Volksbühne, quelli di Petra Hermanova (voce ed autoharp) in trio e quello, in solo, della svizzera di origini himalayane Aïsha Devi (elettronica e voce), grandissimo successo finale ma francamente entrambe, almeno per me, non poco cringe! Come sempre da segnalare la folta presenza di musicisti e operatori italiani del settore: Andrea Belfi, Massimiliano Cerioni, Bartolomeo Sailer/Wang inc, Caterina Barbieri, Francesco Perissi, Michele “Bardo” Pauli, Marco Ligurgo, Elisa Trento, Federico Fiori, per quello che come dice qualcuno è un vero e proprio corso annuale d’aggiornamento. Morale: di tutti i festival europei il longevo CTM, per la Storia che marchia la capitale tedesca,  per un pubblico omogeneo ed estremamente competente, per i luoghi dove avvengono i concerti ed in sostanza per l’aria vagamente apocalittica che si respira, risulta sempre trasformarsi da semplice esercizio culturale a memorabile esperienza di vita.