Tra Eros e Thanatos c’è LNDFK

Dopo averla ascoltata per la prima volta dal vivo e al Torino Jazz Festival insieme a Now VS. Now e Kurt Rosenwinkel, e come sempre accompagnata da Dario Bassolino, ho scambiato due battute con una delle protagoniste del Jazz italiano di oggi, LNDFK, parole che hanno confermato la mia idea che il suo album Kuni sia frutto di una reale propensione all’arte.

Raccontami il Montreux, visto che è stato qualche giorno fa…

Linda Feki (LNDFK): Esperienza fighissima. Anzitutto per me era importante suonare lì: festival leggendario, energia incredibile. C’è stata soprattutto una cosa stimolante: da poco ho suonato a Torino Jazz, invitata da Jason Lindner (Now Vs Now), ed era strano perché era pieno di over 60 e non di giovani come sarebbe successo da altre parti, invece al Montreux – oltre a tantissima gente in generale – c’erano molti ragazzi e c’era un’attenzione molto rara. Seguivano le frasi che facevamo, mentre in Italia al massimo seguono la voce, e questo per me e il mio gruppo è un problema, dato che abbiamo molte parti strumentali.

Anch’io ero a Torino: ho notato la cosa dell’età, ma anche il palco distante… Tu hai parlato di Europa, hai girato, il disco è uscito anche per Bastard Jazz (quindi Oltreoceano), hai suonato appunto con artisti internazionali. Differenze tra Italia e resto del mondo?

Domanda complicatissima. In Italia non sostengono la cultura. Il musicista non è ancora una figura accettata, ci stanno anche i meme sopra:

– Che lavoro fai?

– Il musicista.

– No, quello vero…

Altrove lo Stato supporta la figura del musicista, perché la ritiene necessaria.

Facendo radio, ho l’impressione che il genere da cui tu parti per poi seguire varie strade, cioè il jazz, si trovi oggi in una zona più mainstream e che ci sia più attenzione nei suoi confronti. Questo con le dovute proporzioni, specie rimanendo in Italia.

È vero. L’Italia segue la scia americana ed europea. In Inghilterra, ad esempio, si è formata una scena nu jazz molto forte. Anche in Italia, in ritardo, qualcosa sta arrivando. Nel 2015, quando ho iniziato, eravamo pochissimi. Siccome ora ci sono musicisti diventati un po’ più famosi, che fanno roba diversa ma sono influenzati dal genere (prendi Anderson Paak), ecco che le persone cominciano a capirci qualcosa di più.

Kuni è uscito in Italia per La Tempesta, all’estero per Bastard Jazz. Com’è successo?

Io e Dario (Bass, co-produttore del disco, ndr) avevamo finito di scrivere il nostro disco. Avevamo la demo. Ci interessava un’etichetta che potesse farci arrivare – più che a molti – alle orecchie giuste. Alcune etichette americane potevano essere quelle adatte. Così a Bastard Jazz hanno ascoltato la demo, è piaciuta moltissimo e hanno deciso di aiutarci, poi abbiamo cercato anche un partner italiano e abbiamo trovato La Tempesta. Anche tutte le altre collaborazioni sono venute fuori naturalmente: con Jason Lindner ci eravamo già conosciuti e l’occasione per suonare insieme è stata il mio disco, pure i rapper ospitati nei pezzi (Chester Watson, Pink Siifu) avevano già ascoltato il materiale e queste cose già le facevano. Solo Asa-Chang è stato proprio cercato, perché ci tenevamo a collaborare anche con lui.

Da cosa è nato l’amore viscerale per Takeshi Kitano, tanto che in pratica metà del disco è dedicata a lui?

La mia ricerca artistica è incentrata su eros e thanatos. L’estetica giapponese e lo stile giapponese esplorano questa dimensione, Takeshi Kitano lo fa. Io e Dario un giorno abbiamo visto insieme “Hana-bi” e ci ha ispirato per collegare le tracce del disco, che fino a quel momento erano isolate. Kitano è stato un collante.

A proposito di eros e thanatos: il disco è equilibrato in questo senso, un lato per parte. Nella vita reale c’è questo equilibrio? Lo cerchi?

Nella mia vita reale c’è questa dicotomia, poi la traduco nella mia vita artistica. Ho iniziato questa ricerca con Kuni e la porterò avanti coi prossimi lavori. Non è qualcosa che ho pensato solo per questo album. Fa parte di me.

Domanda difficile, che faccio spesso: hai una canzone preferita in questo disco o tutti i figli sono uguali per te?

Varie. Amo infinitamente questo disco, rappresenta tante sfumature di me. Se mi stacco da me stessa, “Hana-bi” e “Ku”. Intendo però Kuni come un’unica grande traccia, per la verità.

Non c’è, mi sembra, rinnovata attenzione solo per il jazz, ma anche per il ruolo della donna nel jazz, non più solo cantante, ma soggetto che compone, suona…

In minoranza, ma c’è sempre stata anche questa donna che descrivi tu. È una questione più che altro politica, questa. Io mi identifico come artista, l’arte per me è sempre svincolata dal genere.