TOFUSMELL, Humor

Tofusmell esce col suo primo ep per Hardly Art (Sub Pop) dopo una serie di pezzi autoprodotti, l’ultimo dei quali, la bellissima “Shower Song”, era già finito nella compilation di singoli celebrativi per i quindici anni dell’etichetta. In questo nuovo Humor sono ancora più evidenti i temi di fondo della sua poetica – direzionata e coerente dagli esordi – fra i quali spiccano un approccio particolarmente intimo, identitario, diaristico, alla scrittura, che però rimane universale nei temi anche quando questi si fanno meno scontati o universali.  Parlare di sé stessi e nello stesso tempo parlare al mondo è una faccenda complicata, di quelle che hanno fra i numi tutelari persone come Elliott Smith, Sufjan Stevens e il Conor Oberst dei primi dischi di Bright Eyes, tutta gente che emoziona qualunque sia l’argomento trattato. A Rae Chen rimanere in bilico tra l’onesto e la fiction, tra l’autenticità, spesso sporca, delle cose fatte in casa e la crescita musicale e compositiva, riesce con molta naturalezza, rendendo evidente un forte percorso di evoluzione stilistica, anche se arginata nei termini di un folk molto grezzo.

I pezzi scorrono bene, l’uno dietro l’altro, fra ritmi ternari strappacuore (“Keith”) e accelerazioni più marcate e decisamente Nineties (“Slip Of The Tongue”). Chiarita la matrice derivativa, Humor, con i suoi pezzi brevi ma di atmosfera, offre un interessante e complesso panorama emotivo, condensato in quarto d’ora di ascolto. “I Can Keep Myself”, ultimo e più lungo brano del disco, è un ottimo compendio di quello che riesce a fare Chen quando decide di raccontarsi: un testo che parla della difficoltà di badare a sé stessi, accettarsi come esseri umani e fautori di scelte intime e personali, di contenersi nel mare emotivo di tutti i giorni riuscendo anche a dimostrare tutto questo buon lavoro a chi si preoccupa per noi.

Un testo che ha il sapore di una preghiera per il futuro, ripetuta come un mantra, arrangiata con un arpeggio che è un loop e un drumming incalzante senza essere invadente, che si chiude con un “I am somebody” con il quale Chen dichiara tutto sé stesso, ma che non possiamo non sentire bruciare anche sotto la nostra pelle.