PHILIPPE PETIT

Philippe Petit, in trent’anni, ha davvero fatto di tutto in ambito musicale, e da autodidatta: dj, giornalista, programmi radio, due etichette, una carriera solista, gli Strings Of Consciousness… ha collaborato con artisti di spessore incredibile (da Lydia Lunch a Murcof, passando per Edward Ka-Spel), ma anche con noi italiani, penso ai suoi dischi su Boring Machines e a quello, recente su Glacial Movements. Giovedì è a Milano a suonare per festeggiare proprio il compleanno dell’etichetta di Alessandro Tedeschi e ci ho fatto quattro chiacchiere via mail, anche perché l’evento vale parecchio ed è il caso di crearci attorno un po’ di rumore. È finita che gli ho consigliato la Intervallo Records e lui si è comprato il catalogo… 

L’occasione di fare quest’intervista ci è data dall’evento milanese “An Arctic Decade”: Glacial Movements festeggia il suo decimo compleanno con te, Rapoon, Netherworld ed Enrico Coniglio. Quindi penso che dovremmo iniziare col tuo recentissimo album per quest’etichetta, titolo You Only Live Ice. Com’è giunta l’idea? Chi ha contattato chi? Ti è stato difficile creare un sound che fosse vicino all’estetica Glacial Movements, che ha una forte identità?

Philippe Petit: So dell’esistenza dell’etichetta sin dai suoi inizi e la supporto, mandando oggi come ieri in onda i suoi dischi nel corso dei miei radio show. Io e Alessandro ci scriviamo regolarmente e per me è stato ovvio proporgli un mio disco e adesso sono fiero di essere parte della famiglia.

Come hai costruito You Only Live Ice? Sei sempre originale e personale quando è il momento di scegliere strumentazione e attrezzatura…

A essere sincere seguo l’ispirazione basandomi sullo stimolo del momento, una volta che ho un racconto/idea in mente, almeno il suo inizio… Per  You Only Live Ice il mio desiderio era restare contemplativo, rivelare dettagli piano piano, sviluppando tutto lentamente, secondo una tradizione “post-ambient”.

Nel preparare quest’intervista ho scoperto che uno dei tuoi primissimi album solisti, “Philippe Petit Scores Henry: The Iron Man”, sembra essere anche uno di quelli più apprezzati. All’epoca ne ricevetti una copia promozionale e lo adorai (sono un fan di “Eraserhead”). L’idea era molto buona e creativa, e c’era anche un po’ di sano postmodernismo in essa. Quale è il tuo rapporto con quell’album? Lo ascolti ancora?

Non lo metto su da un bel po’, ma di certo ne vado fiero.
“Eraserhead” di David Lynch è stato per decenni il mio film preferito. Nei primi anni Novanta sono stato spazzato via da “Tetsuo” di Shinya Tsukamoto e trovo dei punti in comuni tra questo ed “Eraserhead”. Una mattina avevo prenotato una sessione di registrazione e la notte prima avevo sognato che mi avevano chiesto di comporre la colonna sonora di un film che sarebbe stato un incrocio tra “Eraserhead” e “Tetsuo”. Così, sulla strada per arrivare in studio, decisi che avrei seguito quella direzione…

Sempre in “Philippe Petit Scores Henry: The Iron Man” usi giradischi e vinili come strumenti. Mi affascina questa tecnica, come mi affascinano artisti come Philip Jeck, eRikm, Thomas Brinkmann… Ci vuoi raccontare quando e come hai iniziato a fare musica usando giradischi e vinili?

Siccome sono un dj dal 1984, ho girato vinili per molto tempo e sono pure abituato a farlo di fronte a un pubblico. Come sai, prima di fare musica gestivo le etichette Pandemonium Rdz. e BiP_HOp, quindi ho cominciato una nuova vita creando me stesso nel 2005. Il turntablism mi era già noto, specie da quando avevo testimoniato a una “Battle of turntables” tra Christian Marclay e Otomo Yoshihide nel 1992, e quei due sono le reali influenze piuttosto che quelli che hai nominato tu…

So che sei un dj, ma come puoi immaginare conosco solo il tuo lavoro solista e la tua etichetta BiP_HOp. Quindi vorrei sapere se durante i tuoi dj set occasionalmente sperimenti coi vinili come fai nei tuoi dischi, perché qui dalle mie parti abbiamo un sacco di “selecters”, ma non buoni dj e raramente li vedo usare vinili (è considerata ormai una cosa molto speciale da fare).

Ho sperimentato nei primi Duemila quando facevo dj set per le serate “Generation BiP_HOp”, ma in questi ultimi tre anni ho adottato il nickname DJ/Sonic Seducer e il mio scopo è che le persone tra il pubblico sorridano e siano felici. Mi piace sorprendere e coprire tanti stili: Rock, Jazz, Groove, 50/60s Tityshakers, Yé-Yé Jerk, Garage Punk, Afrobeat, Cha Cha Cha, Disco (those rare sought after Extended Promo versions), Luk Thung, Bossa, Motown Soul, NY No-Wave, Northern Soul, Cumbia, Tropicalia, Exotica, Tiki, Rare Funk, Rocksteady/Ragga, Soundtracks, Psychedelic, Surf, Avant Hip-Hop, New-Wave, Minimal Techno, ProtoPunk, Post-Punk, Punk Rock, Acid House, New Beat, Grime, Electro.

Vorrei continuare a parlare del tuo approccio non ortodosso al suono. Sto pensando a Ear Me In. Consideri Bernard Parmegiani e/o altri compositori legati al GRM come un’influenza?

Tutto intorno a me può influenzarmi. Bernard Parmegiani è stata la principale influenza per quest’album, perché dopo averlo incontrato gli ho spiegato il mio desiderio di lavorare a un album incentrato sulle percussioni e sul modo in cui esse possono riflettere lo spazio e il tempo o suonare nello spazio nel tempo, così come lui ha fatto in passato. Parmegiani mi ha incoraggiato molto e gli è anche piaciuto ciò che gli ho mandato anni dopo, chiedendo la sua opinione. Ovviamente, quando ho saputo della sua scomparsa, ho pubblicato questo disco come un omaggio. Sono stato fiero di farlo per Bolt, visto che è un’etichetta molto buona, che dimostra un gusto eccezionale per quanto riguarda l’elettroacustica. Sai che non ho una formazione musicale, non ho quei diplomi che ti fanno accettare dai compositori seri/istituzionali, quindi essere accolto da quell’etichetta è stato davvero gratificante.

Un tema ricorrente nella tua eclettica discografia, piena di collaborazioni (Lunch, Kaspel, Murcof, Robinson, la lista è infinita…) è l’idea di realizzare una colonna sonora. Possiamo considerare molti dei tuoi dischi come la colonna sonora di qualcosa. Hai registi o film preferiti? Alcuni titoli di tue tracce o di tuoi dischi paino suggerirci che tu conosca il cosiddetto “giallo” italiano… E hai dei compositori di colonne sonore preferiti? Qualcosa/qualcuno che abbia catturato la tua attenzione?

Spero di essere un agente di viaggio musicale e portarti da qualche parte nel mio mondo… Conosco il Giallo e mi piace molto, ma in realtà preferisco Mario Bava, penso a “La maschera del demonio”, “Diabolik” e “I vampiri”. Per quanto riguarda le soundtrack io ne ascolto moltissime e del tuo Paese amo davvero Morricone, specie “Gli occhi freddi della paura” o “Escalation”, Nicolai e tanti specialisti di library come Alessandro Alessandroni. Divertente perché proprio oggi ho ascoltato i quattro volumi di “Criminale”, una serie di compilation presenti sul raro catalogo Flipper Music che ricostruiscono cosa sul tema fu fatto per la tv da tutti i compositori italiani di quell’epoca.

Come ho già accennato, un altro filo rosso che lega la tua discografia è il coinvolgimento di altri musicisti. Per certi versi mi ricordi gente come i Sunn O))): se una particolare sfumatura o strumento sono necessari, non è il caso di campionare o imparare come suonarli, devi solo invitare un amico che sappia come fare il lavoro. E sembra anche che sia gli americani sia tu lasciate che gli ospiti abbiano un ruolo creativo nei vostri album. Sto pensando a Cordophony… penso che questo sia legato alla tua auto definizione di “musical travel agent”…

Ovviamente quegli “amici” possono fare molto meglio di me e mi sento fortunato ad averli a bordo. Imparo costantemente dal loro talento e dalla loro presenza. Sono sempre felice di vedere Stephen O’Malley, che ha sicuramente i miei stessi orientamenti. Lui è uno di noi.

Curiosità finale: hai/hai avuto etichette, una carriera solista e un ruolo nei Strings Of Consciousness, un progetto a formazione variabile. La musica è un lavoro full time per te? Part time?

E sono anche un dj e questa è la mia vita/lavoro, quel che vuoi…  Io la chiamo passione.