GRISCHA LICHTENBERGER

 

La cosa più divertente di quest’anno è stata intervistare due artisti raster-noton e vedere come Kyoka risponda a monosibillabi e Grischa abbia una storia per ogni domanda. Il suo triplice ep parte da riflessioni molto complesse e dunque era giusto andare ad approfondire ulteriormente l’argomento (foto di Sarah Ambrosi).

Noi ascoltiamo e recensiamo un sacco di musica elettronica: piccole etichette, net label, autoproduzioni, tanta gente che prova a emergere da una scena iper-satura. Ora ho il piacere di intervistare un artista che ha debuttato su raster-noton. Come hai raggiunto quest’importante etichetta e come hai iniziato a collaborarci?

Grischa Lichtenberger: Penso di essere stato molto fortunato. Mettevo un po’ della mia musica su MySpace e la piattaforma era ancora relativamente nuova. Voglio dire che non ero un pioniere o cose così, ma all’epoca nessuno sapeva davvero cosa aspettarsi o credeva di guadagnarci. Non era così specializzato come Bandcamp o Facebook sono diventati nel corso degli anni. Penso semplicemente di aver catturato l’attenzione di Carsten Nicolai, che mi ha mandato un messaggio via MySpace (chiedendomi dei demo), perché c’era molta meno gente là fuori, almeno rispetto ad adesso. Comunque mi ricordo ancora che la decisione di pubblicare del materiale su MySpace non era stata di tipo “carrieristico”, piuttosto il bisogno di comunicazione immediata che è la cosa che mi interessava e mi interessa ancora di un social network.

All’epoca ero appena arrivato a Düsseldorf, in origine per iniziare a studiare all’Accademia di Belle Arti della città. Ero stato rifiutato e dunque dovevo pensare a cosa volevo dalle arti al di fuori del percorso tradizionale e senza una grossa istituzione che mi appoggiasse. L’Accademia mi aveva scritto che non potevano prendermi perché mancavo di talento artistico. Ovviamente la diagnosi mi aveva devastato e gettato in crisi, perché ero cresciuto con l’arte intorno a me e ne ero appassionato sin da piccolo. Però ricordo che, mentre superavo la crisi, avevo la sensazione che qualunque cosa avessi fatto, avrei potuto tentare di farla con quello che pensavo andasse bene, senza preoccuparmi di cosa avrebbe funzionato in un determinato contesto, perché tanto ero “fuori”. Era liberatorio, davvero. Quest’oscillazione tra crollo, dubbio, crisi e questa interiorizzazione che si era trasformata in improvvisa realizzazione di libertà e apertura al mondo esterno diventò molto centrale per il modo in cui avrei poi lavorato.

Penso che l’ipersaturazione della scena, così come l’hai chiamata tu, porti molto a un tipo di atteggiamento con cui tu cerchi disperatamente di dare un senso alle cose che farai, prima di farle, in relazione a cosa c’è già. La pressione che ti dai per “emergere”, farcela o avere successo può sviare molto, perché puoi confonderti sul dove stia l’arte. A questo riguardo può essere molto liberatorio vedere che sei tu a decidere cos’è l’arte e non le politiche delle etichette e della distribuzione, nonostante tu debba superare un periodo in cui dubiterai pericolosamente di te stesso prima di renderti conto di questa cosa.

Credi di essere influenzato dai primi artisti o da qualcuno dei primi album raster-noton? Ti piace qualcuno dei “new kids” (Kangding Ray, Kyoka…)?

Immagina questo ragazzo (17-18?) che cammina per la “downtown” di Bielefeld (è uno scherzo, sono 500 metri con due supermercati, un negozio di scarpe e un McDonalds, parliamo di una piccola città della Germania Occidentale in mezzo al nulla), con un minidisk-man, cuffie e in ascolto Vrioon di Nicolai e Sakamoto… quindi sono le cinque di mattina, dopo una festa o qualunque cosa ti abbia tenuto sveglio, non c’è nessuno, solo un po’ di nebbia e una cannetta, solo un po’ di piccioni che ti guardano insospettiti. Questo sentimento adolescenziale di non-appartenenza ti rende timido, nervoso, ma anziché rivoluzioni punk o grunge da contrapporre all’oppressione percepita (da piccioni di ogni tipo, principalmente), hai la delicata melanconia dei pattern di piano di Sakamoto e l’incredibile precisa brutalità delle alte frequenze e il groove secco del ritmo di Carsten. Era qualcosa che mi dava molta fiducia e conforto in quei giorni.

Mi è sempre piaciuta la relazione tra arte e musica in raster-noton. Mi sembrava liberatoria se paragonata alla techno per club o al breakebeat e al drum’n’bass di quegli anni, e mi portò, assieme ad altre cose, a credere nella possibilità di esprimersi musicalmente in un modo molto personale, individuale. Per certi aspetti la sentivo come fosse musica classica, molto seria, molto autoriale, ma allo stesso tempo non perdeva groove, funk e ironia, non si involveva in modo pretenzioso.

I “new kids”… è divertente pensarla in questo modo. Ho incontrato così tanti artisti brillanti grazie all’etichetta, suonandoci, vedendoli a Roma per la celebrazione annuale “Electric Campfire”, dovrei sentirmi fortunato solo ad averli conosciuti. Ed è un vero piacere, che raster-noton sta dando anche all’ascoltatore, il poter seguire gli sviluppi di un artista, penso. Ad esempio, quando ho suonato con Kyoka per la prima volta (credo fosse a Stoccolma), ho pensato ‘wow, questa musica è così danzereccia, luminosa e provocante, molto diversa dalle solite oscurità e astrattezza (di cui credo di essere anche io accusabile) che troviamo in giro’. Quando, a inizio anno, sono andato in tour con lei e con Ueno (Masaaki, ndr) in Giappone, ho realizzato che a fianco del sano funk lei mette anche un profondo interesse per la forma fisica della musica e ne ha una profonda conoscenza e sono stato felice di realizzare la complessità della sua arte. Per me raster-noton fa ancora una cosa molto contemporanea e importante, cioè incapsulare un momento nel tempo, una capsula costruita intorno allo sviluppo di un artista. Alcuni dei “new kids” quest’anno per me sono stati Robert Lippok e Olaf Bender, “vecchi new kids”, dato che sono sull’etichetta da sempre, ma sono stato spazzato via dall’ascolto dell’intenso nuovo materiale live e dal set quasi umoristico – ma molto ispiratore – di Olaf, quindi spero in una nuova uscita per entrambi. È  impressionante seguire questi sviluppi a ogni pubblicazione e a ogni show.

L’opportunità di scambiare qualche idea con te è data dalla pubblicazione di un trittico (Spielraum-Allgegenwart-Strahlung), ma prima voglio chiederti qualcosa sulla tua collaborazione con Jesse-Osborne Lanthier: che ci puoi raccontare del tuo interesse per la tecnologia obsoleta? Sembra essere un discorso importante nella musica elettronica oggi, perché tu e Jesse non siete gli unici ad aver usato tecnologia obsoleta come sorgente sonora…

Penso ci sia uno spostamento globale per quanto riguarda l’avant-garde nella cultura di oggi. Negli anni Settanta del secolo scorso c’era questo desiderio futuristico e rivoluzionario di costruire, di contribuire a un impensabile, ma (necessariamente) luminoso futuro. La tecnologia giocava un ruolo crescente nel distribuire questa speranza. La musica elettronica è sempre stata un imbastardimento di questo, in un certo senso. Da un lato illustrava un semplice bisogno di nuovo, dall’altra attraeva outsider e generava espressioni molto individuali.
Oggi, con la maggior parte dei producer cresciuta nel contesto appena descritto e con la musica elettronica come lotta per la libertà d’espressione artistica, c’è anche una grande consapevolezza della sua dimensione personale. Penso che lentamente potemmo persino cominciare a essere infastiditi dall’essere chiamati “musicista elettronico”, io non sono elettronico e la riflessione sui mezzi per produrre va al di là del fatto di utilizzare componenti elettronici. È un po’ come chiedere a Bob Dylan se fa folk-music, lui ovviamente non la fa. Penso che con la musica elettronica ci sia voluto un po’ per realizzare come sia ingannevole un genere definito solo dal suo progresso tecnologico. Credo che uno dei modi per sottolineare questo cambio di paradigma sia quello di concentrarsi non sulla novità, ma sull’obsolescenza di metodi e materiali. Non che quest’atteggiamento non possa essere commercializzato tutto una serie di plug-in e compressori o rifacimenti di sintetizzatori degli anni Ottanta, ma in generale direi che è una gran cosa che la musica, e l’arte in generale, si sia in parte (che non è quella dell’arte tipo giornalismo politico) tolta da questo ruolo avanguardista di evocare un futuro. Se è facile concentrarsi su l’ipersaturazione e la ridondanza apocalittica della cultura di oggi, è importante per me avere coscienza delle singolarità. Complessità vuol dire non solo algoritmi complicati, ma anche la realtà della biografia di ciascuno di noi.

I caratteri e i significati di tecnologia obsoleta stanno nella traccia che hanno lasciato nella tua relazione con essa, crescendoci assieme o scoprendola come un passato dimenticato… o, per metterla giù più provocatoria, tu non puoi sul serio salvare il pianeta dal riscaldamento globale se ogni volta sei impaurito dalla primavera calda e temporalesca, devi apprezzare la magnificenza delle foglie che diventano verdi di fronte a te. Se no, non c’è niente che valga la pena non distruggere. Dunque, il progetto CSLM (Conversation Sur Lettres Mortes) con Jesse, su cui mi hai fatto la domanda, non era solo una questione di utilizzare suoni fighi da materiale insolito e dimenticato (almeno non unicamente questo), ma noi lo abbiamo affrontato agendo come persone che devono fare conoscenza raccontandosi a vicenda storie del passato, dicendosi da dove vengono, guidati da questi vecchi televisori catodici e le abitudini ad essi collegate, abitudini alle quali entrambi eravamo familiari, dunque zapping, svegliarsi presto per i primi cartoni animati, sentire l’elettricità sulla pelle quando ti avvicinavi allo schermo, roba di questo tipo. Il senso comune del tempo era meglio realizzabile attraverso questi artefatti obsoleti che con una diagnosi del presente.

Parliamo del tuo trittico. Come pensi lo ascolteranno? Qualcuno si innamorerà di uno solo dei tre ep o invece tutti ascolteranno tutto dall’inizio alla fine? 

Non so come gli ascoltatori lo useranno o reagiranno ad esso, sarebbe bello che se lo sentissero tutto, in circoli infiniti… davvero non mi sono mai immaginato un ascoltatore specifico o ideale, piuttosto sono andato alla ricerca di lati diversi del mio modo di essere recepito. Quindi i tre ep hanno un specie di curvatura stilistica, è vero, ma questo è dovuto di più a gesti e abitudini che mi interessavano e che si legavano ai titoli, secondo me. Forse però c’era l’idea inconscia di raggiungere specificatamente persone che fossero in grado di comprendere non solo la roba dance o quella harsh noise, ma che non si sarebbero lasciate alienare da qualche melodia carina, e viceversa. Però non le stavo cercando consciamente. 

Spielraum (il primo ep) sembra essere più “d’intrattenimento”: un sacco di beat che parlano alla testa ma anche al corpo di chi ascolta. Hai un buon rapporto oggi con la dance? La tua collaborazione con Jesse-Osborne Lanthier è uscita per Cosmo Rhythmatic, che rappresenta il lato astratto e rumoroso di Repitch Recordings, un’etichetta noise/techno…

L’ep Spielraum vuole decisamente esplorare la gioia della dance-music, soprattutto l’aspetto di resistenza che sta nella sua innervazione corporea, più che nella sua ridondanza ritualistica e affermativa. Per qualche anno la dance-music e la techno mi davano la sensazione di essere troppo rigide, ingolfate nella ripetizione standardizzata di armonie, break e stili ritmici, ma di recente sono diventate di nuovo interessanti, perché mi pare che la cosiddetta “roba sperimentale” sia riuscita a entrare nel regno del dancefloor. Non sono assolutamente uno specialista in ambito dance, ma – di nuovo – penso ci sia un cambiamento nella direzione di un individualismo cosciente dal quale questo genere e la gente che va alle feste hanno solo da guadagnare. Il sound si sta allontanando un po’ da una condizione ultrapulita e fatta bene a una sporca, personale, noisy ed emotiva. Per un po’ di tempo l’unica filosofia dei club sembrava essere contro tutto e per un edonismo dopato e ubriaco, almeno a Berlino per come la vedevo io. Adesso, anche se ascolti della normale pop-music come Ariana Grande, Banks o Lorde, senti che le idee di produzione sono passate davvero a suoni più spezzati. Paragona “Only Girl” di David Guetta del 2010 con “Fuck With Myself” della Banks o Beyonce con Abra. Penso che la vicinanza tra la cosiddetta “musica elettronica sperimentale” e la “dance-music” abbia condotto a riflessioni abbastanza interessanti sulla produzione musicale e abbia fatto entrare un po’ d’aria fresca grazie a determinati individualismi (anche se rivolgersi solo a individui non è certo l’obiettivo della musica pop, non ci sono dubbi).

Allgegenwart è più spaventoso e noisy di Spielraum. Parlando di questo ep, tu ci racconti di fantasmi scozzesi e li associ al chiacchiericcio costante intorno a noi: voci dai social media, voci dai media ufficiali, voci dalla società industriale e così via… Tu ti proteggi da tutto questo? Come ti proteggi da tutto questo? 

Forse non possiamo proteggerci da tutto questo, anche se comunque sono cresciuto in campagna e ho ancora un rapporto con ciò che mi circonda non del tutto definito da questo continuo vocio nell’aria…
Più che altro, ciò che volevo evidenziare con questo paragone (che è quello di Canetti in “Massa e Potere”) tra le voci costanti del passato e le voci dei movimenti di massa, dell’industrializzazione e dei mass-media è che c’è una relazione molto più ambigua in gioco rispetto a come sembra a prima vista. Tutti i movimenti di massa totalitari del Ventesimo Secolo avevano quest’idea di rimpiazzare le strutture di potere tradizionali con una realtà assolutistica, la cui ideologia era molto vaga sulle loro responsabilità storiche e sulle loro promesse. E gli hippie californiani, turn on tune in drop out, non solo hanno aperto la strada al neo-liberalismo della Silicon Valley con lo stesso desiderio di trasformare il potere tradizionale (dimenticandosi però dei suoi problemi storici), ma inoltre hanno – con la loro ideologia “drop out” – rinforzato le formazioni neonaziste… e tutti si chiedono da dove diavolo questi vengano fuori oggi. Questa definizione della società – appartenente al periodo della Guerra Fredda – del tipo “questi idioti sono mainstream” ha condotto a una pericolosa separazione a mezza strada tra la gente. Però non voglio dire ‘umani, uniamoci tutti in questo meraviglioso (preferibilmente cristiano) stile di vita sostenuto da torri di fattorie eco-friendly di polli’… Non credo che non sia necessario sottolineare che non c’è metodo disciplinare, piano di allenamento o stile di vita bio che possa davvero fronteggiare la struttura del nostro linguaggio, che è pieno di disturbi continui provenienti da vite passate, problemi irrisolti e desideri mai realizzati dai quali non possiamo sfuggire o proteggerci.

Ci sono melodie fantastiche in Strahlung. La melodia non è la prima cosa che mi viene in mente quando penso a te. La prima è il beat. Nella mia immaginazione il creare melodie è qualcosa di doloroso per te…

(ride, ndr) Che immagine… no, a quel punto non farei proprio melodie. Ovviamente a volte può essere difficile, magari la sera sei straconvinto di una linea melodica e la mattina dopo, con sentimenti diversi, non ti ci riesci più a mettere in relazione. Spesso le melodie sono veramente difficili, ma mi piace farle, come mi piace anche abbozzare delle canzoni tipo ballad di tanto in tanto. Del resto ho iniziato a fare musica cantando sopra dei pezzi improvvisati, senza parole vere e proprie (semplicemente facevo finta fosse inglese). E la costruzione del beat spesso assomiglia al costruire melodie o anche al pensarlo come una melodia (e non come “un” beat).

“Invisible freedom”, “invisible presence”, “invisible force” (mi riferisco ai sottotitoli dei tre ep). L’arte è un modo di scoprire cose invisibili? I filosofi dicono che a volte gli artisti possono intuire ciò che i filosofi o gli scienziati scopriranno più tardi con le loro ricerche.

Penso che la scienza possa scoprire cose prima invisibili. Per me l’arte è qualcosa di speciale nel suo paradossale – pur essendo visibile, ascoltabile, ricevibile – non esporre qualunque cosa invisibile affinché sia scoperta. Per me ha più a che fare con la natura dell’invisibile stesso, non importa se si tratta di un indicibile ricordo sepolto nell’inconscio, una complessa proprietà di un materiale o una presenza inquietante. L’arte, secondo me, dà uno spazio al problematico e al dimenticato, senza bisogno di dare risposte chiare o soluzioni, ma solo un occhio o un orecchio per qualunque cosa sia mostrata.

L’ultima domanda è per i tuoi progetti futuri, quelli che verranno dopo questo ambizioso triplo ep. Suonerai presto in Italia? Grazie molte per quest’intervista.

Al momento sto lavorando su un mucchio di cose diverse, che non so dove mi porteranno. Voglio però finire presto la seconda parte dell’album “Demeure” (noi abbiamo parlato del primo, ndr). Più in generale voglio provare in futuro a unire lati diversi della mia pratica artistica, quello visuale e la musica. Spero di mostrarvi qualcosa, prima o poi.

Eh, l’Italia, sì, spero… penso ci possa essere qualcosa a inizio del 2017 al Sud Italia e a Roma tra la primavera e l’estate. Ma è tutto in fieri…

Grazie molte per le tue domande gentili e la ricerca dettagliata che hai fatto. È stato un piacere cercare di rispondere.