MORE EAZE, PARDO & GLASS, Paris Paris, Texas Texas

Capita che alcuni film emergano dallo schermo ed entrino a far parte della nostra “realtà” e “Paris, Texas” (1984) è sicuramente fra questi, ancora di più per quella colonna sonora firmata Ry Cooder, tra le cose più belle mai prodotte dal californiano. Oggi quattro dei musicisti che seguiamo con più interesse – la texana More Eaze/Mari Maurice Rubio, il duo elettronico francese Glass e il nostro ex Casino Royale Michele “Pardo” Pauli, patron della label OOH-sounds – si trovano a condividere questo progetto tanto inclassificabile quanto perfettamente riuscito, un vero e proprio esperimento psichedelico.

L’album è un palese omaggio a quell’immaginario cinematografico e allo score a sua volta ispirato dal suono dei maestri dell’holy blues, vedi alle voci Blind Willy Johnson (Brenham, Texas 1897-1945), Lightnin’ Hopkins (Centerville, Texas 1912-1982)… eredità feconda da cui si diparte una storia musicale leggendaria giunta fino ai giorni nostri e di cui Pardo e soci testimoniano la trasformazione, come da immagine di copertina.

L’idea in realtà nasce nell’estate del 2022 quando Pardo e i Glass hanno iniziato a registrare ampie e ariose sessioni d’improvvisazione per chitarre ed elettronica ambientale con l’intenzione di realizzare un disco strumentale con protagoniste le chitarre acustiche ed elettriche di Pardo. Giunge in seguito l’apporto della compagna di etichetta More Eaze ed è una collaborazione che conta sull’obliqua sensibilità poetica dell’artista texana, sul suono della sua voce, sulle melodie, su stratificazioni digitali a iosa, dando al risultato finale una piega sonora (termine che definisce, per inciso, anche il nome di un deserto “risuonante” in California) dolcemente allucinata, desertica, acida, “west-coastiana”.

Dagli oltre dieci minuti dell’incipit “Still Part Of The Ceiling” a “Le Grand Sufflè Celeste” e “Weather Underground” (con queste due sembra di ascoltare extra-tracks dal futuro delle mitiche P.E.R.R.O. Sessions o di If I Could Only Remember My Name), dal crescendo lisergico di “Larger Blossom-Pleasure” e “I Dabbed At The Keys Of A Hammersmith Organ” fino all’estatico finale di “Orris Butter”, tutto fa credere che questo antico e modernissimo esercizio di stile creativo – dove la regola è che non c’è nessuna regola se non la consapevole libertà espressiva – ci accompagnerà per innumerevoli ascolti.

Un altro colpo vincente per il catalogo della picaresca label fiorentina OOH-sounds, sigla che, diciamolo, riferisce la sistemazione dello studio di registrazione all’ultimo piano di casa del Pardo. OverOurHeads: di nome e di fatto!