Memoriam, chi si ferma è perduto!

I Memoriam sono arrivati al quarto disco, un traguardo ragguardevole se si pensa al breve tempo trascorso da quando quattro musicisti del giro death metal inglese si sono ritrovati per rendere omaggio a un amico scomparso. Con il nuovo capitolo, la band, dopo aver parlato di morte nei tre album precedenti, apre un nuovo ciclo basato sulla vita, ma di questo come di tutte le novità legate a To The End abbiamo preferito parlare direttamente con Karl Willetts, cantante con un passato di tutto rispetto (se vi sfugge il nome, forse siete capitati qui per sbaglio).

La mia chiacchierata con Karl parte da una mia battuta sulla sua “today beer of choice”, nome di una sorta di “rubrica” che il cantante tiene su Facebook con post inerenti le caratteristiche delle varie birre provate. Da qui appare inevitabile stravolgere la scaletta che mi ero preparato e cominciare chiedendogli del suo rapporto con i social.

Karl Willetts: Sì, sono decisamente coinvolto dai social media, credo che siano molto importanti soprattutto in questo periodo di isolamento sociale dovuto al Covid. Penso sia fondamentale avere una piattaforma per comunicare e permettere alle persone di sentirsi meno isolate e ricostruire un senso di comunità. Non sono attivo su tutte le piattaforme, ce ne sono molte tra cui scegliere e non posso coprirle tutte, ma diciamo che mi aiuta a tenermi impegnato e mi permette di stare in contatto con le persone.

Prima di cominciare a parlare del nuovo disco ti faccio un’ultima domanda collegata ad una mia curiosità personale: io vengo dal mondo delle ‘zine anni Ottanta, per cui parliamo di colla, forbici e buste da lettera, quindi tempistiche lunghe. Anche tu come me non sei un nativo digitale, per cui mi chiedo come tu abbia affrontato il cambiamento e come ti trovi ad agire con questi nuovi mezzi.

Credo che siamo tutti costretti a cambiare e adattarci in modo costante: al tempo eravamo coinvolti nel tape-trading e nelle fanzine cartacee, ricevevi le domande per posta e rispedivi le risposte, magari passava un mese o più perché tu ricevessi indietro la ‘zine con la tua intervista stampata. Credo ci sia un qualcosa di magico nella possibilità di far parte di una comunità locale, è bello avere una piccola comunità quando fai le cose nella tua zona ma poi scopri che c’è un intero mondo interessato a ciò che fai. Negli Ottanta tutto si limitava al tape-trading ma si cambia e ci si evolve e, così, eccoci qui nel 2021.

E con il quarto disco dei Memoriam in uscita…

Sì, il quarto in cinque anni, stiamo lavorando a ritmi frenetici, continuiamo a creare e siamo sempre occupati, ci piace quello che facciamo e non amiamo riposare troppo sugli allori o far passare troppo tempo. In fondo siamo esordienti, non un nome grosso, per cui dobbiamo raggiungere i nostri obbiettivi in fretta, perché non potremo farlo per sempre. Per questo cerchiamo di divertirci e darci dentro. Oltretutto questo segna per noi un nuovo inizio dopo i primi tre dischi con la Nuclear Blast: ora siamo con la Reaper Entertainment.

Avete anche un nuovo batterista…

Un nuovo batterista, una nuova direzione di speranza, dopo i primi tre album che erano circondati di oscurità, tristezza e di cordoglio per la perdita di Martin (Martin “Kiddie” Kearns, batterista dei Bolt Thrower, ndr). Ora, dopo cinque anni, crediamo sia giunto il momento di un cambiamento, per cui questa nuova trilogia sarà intitolata il “ciclo della vita”, così – mentre i primi tre album rappresentavano la morte del personaggio centrale del nostro concept – questo nuovo ciclo ne celebrerà la vita.

Chi è questo personaggio centrale, di chi state raccontando la vita?

Be’, può essere chiunque tu credi che sia, l’interpretazione sta totalmente nelle tue mani, come lettore. Come puoi vedere nella copertina è una figura iconica, ma puoi interpretarla come vuoi, una volta che condividiamo i testi ne perdiamo il controllo, sta a chi legge interpretarli come preferisce. Questa figura centrale è ancora viva nel nuovo album, così come lo sarà nei prossimi due su cui stiamo già lavorando.

Avete continuato la collaborazione con Dan Seagrave per l’artwork.

Alla fine del terzo album ci siamo chiesti che direzione dovevamo prendere, ci siamo domandati: dobbiamo restare così o magari fermare la storia e provare qualcosa di nuovo? Del resto c’era una forte visione, una storia importante raccontata con i primi tre dischi e che aveva funzionato bene. Dan aveva stabilito un determinato standard, ci aveva portati a un certo livello, per cui ricorrere a qualcun altro dopo di lui avrebbe rischiato di apparire un compromesso. Ci siamo anche domandati se cambiare avrebbe portato con sé un che di negativo, perché avrebbe marcato una distinzione, volevamo evitare che magari le persone partissero pensando che il nuovo disco non fosse all’altezza dei precedenti, quindi su questo aspetto abbiamo preferito mantenere una connessione con i primi tre. Inoltre, lavorare con lui è grandioso perché è brillante: quando hai delle idee nella tua testa e le condividi con Dan è incredibile vedere come queste si trasformino in immagini nel giro di qualche mese come solo lui sa fare. È incredibile far parte di questo processo creativo. Siamo anche stati molto fortunati perché non abbiamo messo a fuoco la cosa fino ad agosto/settembre, per cui quando lo abbiamo contattato avevamo a disposizione solo qualcosa come sei settimane per realizzare il tutto e lui è stato fantastico nel ri-arrangiare le sue scadenze per noi. I nostri dischi precedenti avevano artwork decisamente cupi, in questo c’è una fonte di luce che brilla al centro.

Sì, c’è un approccio differente nei colori…

Assolutamente, c’è una speranza, la luce in fondo all’immagine che è anche un simbolo, credo che in questi tempi turbolenti che stiamo vivendo sia necessaria una speranza. Siamo stati immersi in questa situazione causa Covid per tutto l’anno scorso, ma anche in questo inizio anno. Non solo, siamo ai ferri corti anche per quanto riguarda la politica e la società, per cui credo che una piccola speranza per il futuro sia ciò che tutti stiamo cercando.

Grazie alle possibilità offerte dai social, ho avuto modo di conoscerti meglio e ti descriverei come una persona dalla mentalità aperta e con posizioni chiare per quanto riguarda certi argomenti, per cui non ti definirei un amante della guerra, piuttosto uno critico…

Vero, diciamo che ho un interesse profondo per la storia militare, ho letto molto, sia libri che documenti, ho guardato molti documentari e li trovo di grande ispirazione. Come sai ho basato un’intera carriera sull’argomento guerra, praticamente trent’anni. Con i Memoriam ho avuto però l’opportunità di allargare lo spettro di soggetti da trattare, partendo dalla stessa base si possono sviluppare molti argomenti, come ad esempio la politica, che in questo periodo è decisamente importante. Soprattutto sono invecchiato e questo ha portato maturità e sicurezza in me stesso, così da farmi scrivere più testi sulla vita, sulla mia vita nello specifico, così che le persone ci si possano interfacciare e riconoscere. Siamo tutti cresciuti insieme per cui ho iniziato a scrivere della vita e di come trovar forza per superare le difficoltà, la sofferenza e il dolore, ma anche della gioia, argomenti con cui credo le persone possano relazionarsi maggiormente, credo che queste siano le canzoni più forti tra quelle che scriviamo. Ovviamente posso scrivere anche di guerra e ad occhi chiusi, ma non amo esprimere giudizi nei miei testi, è ciò che è.

Uno specchio della società, potremmo definirlo una costante nella storia umana…

Esatto, è un prodotto dell’inumanità degli uomini verso gli altri uomini, un prodotto della civilizzazione. È un’eredità della nostra natura, è ciò che è, la mia è una voce esterna che non vuole glorificarla né condannarla ma semplicemente raccontarla perché mi offre sempre degli spunti nuovi, per questo continuo a guardare documentari e leggere libri quando posso. Per questo continua ad affascinarmi.

Tu hai già l’intero concept dei tuoi testi prima di ascoltare le parti strumentali o si sviluppano insieme alla musica?

Questa è una domanda interessante. Di sicuro sono molto influenzato dal mondo reale, dalle questioni mondiali. Ho passato venticinque anni a trattare di cose passate o senza un vero aggancio alla realtà, con i Memoriam invece tendo a scrivere di cose che leggo magari nelle notizie o che vedo in documentari, o comunque che accadono intorno a me. Queste oggi guidano la mia scrittura. Avevamo tantissimi concerti organizzati per il 2020 quando la pandemia ci ha colpito, così abbiamo avuto più tempo libero per scrivere questo nuovo album, per questo la musica fosse già pronta tra giugno e luglio, il che mi ha lasciato due o tre mesi per scrivere i testi. Se normalmente hai i weekend per provare o scrivere, quando devi pubblicare un album è sempre uno shock, tipo: “ok, abbiamo un mese prima di entrare in studio”. Per questo in genere scrivo i testi mentre si sviluppa la musica, come per il precedente album, a volte scrivo in studio mentre registriamo, ma questa volta avevamo tantissimo tempo perché non c’erano concerti per cui ho potuto scriverli in anticipo, ad agosto erano pronti. Quindi ho potuto fermarmi e guardarli di nuovo e non ne ero completamente soddisfatto, tendevano ad essere troppo apertamente politici perché ero influenzato dalla Brexit, dall’ascesa di Trump, dal movimento BLM, da tutte queste cose che mi giravano in testa e componevano la maggior parte del contenuto dei testi che avevo scritto. Questa volta, però, dato che avevo tempo, ho potuto fare un passo indietro e guardare le cose per capire quali erano i contenuti politici davvero importanti che volevo lasciare e ho cambiato ciò che girava loro attorno. Ho scritto cose meno dirette, ovviamente anche dei testi sulla guerra (che è ciò che le persone si aspettano da me), in modo da dare più equilibrio al tutto, e ho avuto la possibilità di riscrivere alcune parti. Così sono andato in studio da Scott e abbiamo fatto delle demo della voce prima di registrare l’album. Era la prima volta che lo facevo: ho potuto provare in anticipo le strutture, le tempistiche, gli approcci. In questa maniera, quando siamo entrati in studio eravamo davvero preparati e sapevamo già cosa volevamo ottenere: credo che questo disco rispetti ciò che volevamo fosse, ci ha permesso di raggiungere un nuovo livello, lo definirei davvero solido, scorre davvero bene, perché ci ha dato modo di pensarlo e lavorarci sopra.

È anche un disco che ha il tipico marchio dei Memoriam, ma è al contempo un nuovo inizio anche dal punto di vista della musica. Ha il classico stile della band, ma lungo l’album ci sono delle spezie differenti, come nel brano “No Effect”. Ci sono parti di chitarra di Scott così come (ovviamente) la batteria che aggiungono piccoli cambiamenti, come se aveste acquistato sicurezza e aveste osato nuove soluzioni senza alterare il vostro suono.

Assolutamente, credo che i primi due/tre album siano serviti a definire ciò che siamo, in fondo vale per tutte le band: devi conoscerti, crescere insieme e maturare, il che necessità di un paio di dischi per trovare la tua strada il tuo carattere. Del resto, le persone si aspettano da noi un certo livello, un certo tipo di album, per quello che abbiamo fatto in passato. Noi dal canto nostro volevamo fare qualcosa di nuovo, per cui abbiamo passato molto tempo a sperimentare e provare nuove soluzioni, alcune valide e altre che al contrario non funzionavano. Con il terzo disco abbiamo trovato il suono dei Memoriam, abbiamo sfruttato le risorse dello studio per aiutarci a scoprire la nostra essenza, e con To The End avremmo potuto facilmente riprodurre un nuovo Requiem For Mankind perché eravamo felici delle coordinate che avevamo raggiunto, ma al contempo volevamo costantemente evolverci, provare nuove cose ed essere creativi, che è un po’ ciò che significa stare in una band, per cui abbiamo continuato questo processo anche con il coinvolgimento di Spike, che ha portato livelli e tecniche differenti nello stile di batteria, non per mancanza di rispetto per Andy Whale (il batterista dei primi tre dischi, ndr) ma perché è un musicista differente con dei suoni differenti. La chiave di questo album e la parola che lo definisce è “vario”: nelle sue strutture ci sono molti stili e influssi, ad esempio in “Mass Psychosis”, che è molto influenzata dai Killing Joke, o ad esempio in “Each Step (One Closer To The Grave)”, che ha questo forte carattere epic-doom, qualcosa che non abbiamo mai fatto prima. Cerchiamo sempre di spingerci oltre e metterci in gioco. Questo è il bello di essere nei Memoriam: non siamo legati ad alcuna formula specifica, vogliamo sempre progredire. Questo è il motivo per cui il nuovo disco è speciale, per tutti questi tipi differenti di effetti, sapori, livelli e così via. La mia canzone preferita è l’ultima, “As My Heart Grows Cold”, che ha decisamente un altro sapore rispetto a tutto ciò che abbiamo fatto prima, ha un taglio malinconico che potrebbe richiamare per alcuni aspetti i Paradise Lost. Sarà una grossa sorpresa per chi ha ascoltato finora solo la prima traccia “Onwards Into Battle” – molto diretta e vicina al precedente – quando si troverà di fronte le altre canzoni nel disco.

Essere in procinto di pubblicare un album simile e non poterlo portare in giro dal vivo deve essere parecchio frustrante. Quanto pesa questa situazione per te come persona e per la band?

Ovviamente è un momento pericoloso per cui dobbiamo stare più attenti agli effetti personali del virus che a quelli sulla band, oltretutto noi di base non facciamo tre o quattro settimane in tour, ma pochi show nel weekend, muovendoci in aereo. Comunque, nel 2020 avevamo una programmazione molto piena che è stata prima posticipata al 2021 e ora ci troviamo nella situazione in cui la maggior parte degli show è slittata al prossimo anno. È probabile che per giugno o luglio la situazione potrà essere un po’ più leggera e qualcosa potrebbe muoversi nel campo live, ma è un argomento decisamente sensibile e dobbiamo stare a vedere cosa succederà. È difficile, dobbiamo solo osservare il mondo intorno a noi e muoverci insieme, ci sono alcune band che hanno fatto cose interessanti nel campo dei concerti in streaming, capisco perché qualcuno voglia farlo se è l’unica opzione di suonare live e finché lo sarà è ovvio che dobbiamo comunque esplorarla. Inoltre potrebbe per alcuni versi essere una buona cosa, perché è in qualche modo inclusiva e può permettere di far vedere un live anche a chi non ha la possibilità di andare ad un concerto magari per problemi fisici o altro, perché vive distante o in zone rurali lontani dalle grandi città. Da questo punto di vista potrebbe addirittura aumentare le possibilità per una band di raggiungere la sua audience e per le persone di usufruire di un concerto. Resta comunque una cosa differente, non voglio prendere in giro nessuno. Resta la sola esperienza audio-visiva, ma non copre gli odori, i sapori, le emozioni, l’esperienza completa, ma se è l’unica opzione possibile non c’è nulla di negativo se le persone la abbracciano e vanno per questa strada. Del resto, visto che questo problema si è trascinato per un anno intero e probabilmente si ripercuoterà sulla gran parte di questo, probabilmente saremo più connessi e capaci di apprezzare la musica dal vivo una volta che tornerà, magari ci saranno più persone che vanno ai concerti e di sicuro più concerti, visti tutti i dischi usciti nel frattempo. Sarà interessante, ma dobbiamo arrivarci.

Un’altra novità è rappresentata dalla nuova label, come vi siete incontrati?

La Reaper Entertainment, anche questa è una storia interessante. Noi eravamo alla fine del contratto di tre album con la Nuclear Blast, abbiamo avuto un rapporto davvero buono con loro ma di recente c’è stato un cambio di proprietà, con il gruppo Believe che ne ha preso il controllo. Come conseguenza c’è stato un grosso sconvolgimento non solo nelle band della loro scuderia ma anche nello staff, per cui abbiamo perso molte persone con cui lavoravamo a contatto diretto che hanno lasciato la label. Ci è stata offerta un’opzione, ma abbiamo deciso di non accettarla e tornare liberi. Siamo stati contattati da un ex della Nuclear Blast, Florian Milz, che aveva lasciato l’etichetta per aprire la sua Reaper Entertainment e semplicemente ci ha fatto una proposta che non potevamo rifiutare, di fatto proponendoci un contratto migliore di quello che avevamo prima. Per noi è bene far parte di qualcosa di nuovo, di fresco e differente e aiutare Florian a raggiungere nuovi obiettivi con la sua Reaper Entertainment. Oltretutto con la label precedente eravamo pesci piccoli in una boccia enorme, con tantissimi artisti nella scuderia e dieci/venti uscite ogni settimana, con la Reaper ci sentiamo dei pesci grandi in una piccola boccia. Florian è concentrato sulla qualità e impegnato a mettere tutte le sue energie in quello che fa con la sua piccola scuderia, realizzando uno o due dischi al mese e concentrandosi totalmente su quelli. Ad esempio, per TO The End è stato lui a voler realizzare il box in edizione limitata e finora sta facendo un gran lavoro, per questo siamo felici di esser parte della sua nuova realtà e cominciare qualcosa di nuovo. Siamo davvero contenti di fare questo viaggio insieme a lui, è davvero una bella persona.

Questa è una cosa che apprezzo molto di te, il coraggio di rimetterti in gioco e cominciare da capo.

Assolutamente, dobbiamo abbracciare questi cambiamenti e goderci ciò che ci viene incontro nella vita, a volte non hai scelta, ma devi adeguarti a ciò che ti capita e muoverti andando sempre avanti godendoti tutto ciò che puoi. Ho imparato che le cose più brutte nella vita sono sempre dietro l’angolo per cui devi apprezzare ogni momento per quello che è. Credo che questo sia ciò di cui parlano i testi del nuovo disco, una celebrazione della vita, una cosa che devi fare sempre di più andando avanti negli anni. Credo che molti lo apprezzeranno e, di certo, io ne sono orgoglioso. Per quanto a lungo possa durare.

Mi fa davvero piacere vederti così propositivo, in fondo, i Memoriam sono nati per rendere omaggio ad un amico scomparso e giorno dopo giorno sono arrivati a celebrare la vita.

Esatto, abbracciate la vita, godetevi la vita e fate festa con i vostri amici. Appena il Covid sarà un ricordo ho intenzione di incontrare faccia a faccia quante più persone possibile e condividere una birra artigianale. Magari venire in Italia.

Spero allora ci sarà possibilità di incontrarci di persona.

Assolutamente, purtroppo non siamo mai riusciti ad organizzarci per venire in Italia con i Memoriam, so che ci sono un sacco di birre artigianali, adoro molto la storia e la cultura italiana, anche la mia mail Willexio è un modo per celebrare l’Italia (si mette in posa come un imperatore romano), per non parlare della Lambretta e della Vespa, visto che sono un appassionato di scooter. Per cui se c’è qualche promoter che legge queste righe, si metta in contatto e vediamo di organizzare.