ONEIROGEN, Hypnos

Hypnos

Newyorkese, con alle spalle una pubblicazione prestigiosa per la Tzadik di John Zorn (Enter Houses Of, 2009), Mario Diaz De Leon prosegue il verbo drone sulla scia di Nadja & Co.

Hypnos è una lunga suite metallica, durante la quale si intersecano senza sosta chitarre ed electronics, in un continuum particolarmente affascinante. La parte del leone la fanno oscure rifrazioni e arditi giochi ritmici nel corso dei quali non sembra mai di vedere la luce: l’impenetrabilità espressiva, infatti, è sempre al limite, come un prisma dalle mille facce sfuggenti. Spiccano “Consumed”, che erutta note nero pece intervallate da screpolature di synth (pezzo notevole, insomma, se ancora non s’era capito) e l’incedere badalamentiano di “Cinerum”, muta bellezza senza tempo. Non vengono tralasciati omaggi al miglior kraut-rock (la robotica “Faithless” e la nerboruta lezione degli impazziti dark-synth di “Hypnocaust”). Più volte il musicista di origini ispaniche gioca con l’umore, come nella lunga ed estenuante “Kukulkan”, dove la chitarra ricama dissonanze proprio alla maniera dei Nadja, fino a toccare una solennità disperante. Quest’ultima caratteristica viene però meglio sviluppata dalle note della conclusiva “Dissolution”, pezzo-cuscinetto che serve a far atterrare in tutta sicurezza un disco complesso e dalla non facile fruizione, ma in grado di domare turbolenze e nuvole come fosse un collaudato aeroplano.

Il ragazzo ha talento, e probabilmente farà ancora parlare di sé.