L’Adriatico immobile di Populous

Populous by Silvia Violante
Populous by Silvia Violante

Stasi, prodotto e mixato in Salento, è uscito l’11 giugno per La Tempesta International. Siamo di fronte a un disco diverso da W del 2020: Andrea ha finito di ballare con M¥SS KETA, è andato a casa e ha messo su Raul Lovisoni e Francesco Messina (per carità, sono sicuro che poi M¥SS KETA, quando deve ripigliarsi, ascolti solo Basinski ed “Everytime” della Spears al rallentatore) come niente fosse. Oggi molti ricordano i suoi inizi su Morr Music, ma i 16 anni di distanza tra Queue For Love e Stasi si sentono, perché tutto è più disteso e meno legato ai cliché dell’epoca: qualunque influenza pre-esistente (facilissimo dire Boards Of Canada, e lui stesso mica li nasconde) è stata assorbita a tal punto da non essere più distinguibile dal resto, che – come l’artwork suggerisce – l’insieme suona più notturno, femminile e liquido, con qualche controllatissimo rimando etnico e alcuni frangenti meno accessibili. Per uno come Populous togliere i beat è un azzardo e in questo senso la title-track, profondissima e senza confini, si rivela una giocata vincente. Io ho le mia cautele su Andrea Mangia, nel senso che lo ritengo molto sottovalutato ma allo stesso tempo non lo considero il mio pane. Ho voluto fare quattro chiacchiere con lui per capirlo meglio e dargli lo spazio che si merita.

Cosa rappresenta per te la donna sulla copertina del tuo nuovo album?

Andrea Mangia (Populous): Quando ho chiesto ad Alessandro Cripsta di illustrare l’artwork di Stasi mi ha chiesto delle references. Gli ho risposto “mare, notte, luna, mediterraneo, quiete”. Per cui penso che quella donna sia una sorta di ninfa, di divinità del mare. Un’entità ultraterrena. La parte umana è rappresentata dalla figura che compare nel retro, seduta sulla mano che emerge dall’acqua.

Un titolo come “Stasi” porta inevitabilmente ad associazioni con la clausura che abbiamo dovuto osservare. Per qualcuno, direi molto privilegiato, è stato un momento per riflettere. Per te?

Durante il primo lockdown ho trascorso uno dei momenti più sereni di tutta la mia vita. Per la legge del contrappasso il secondo è stato puro drama. Non volevo in nessun modo che il disco avesse dei rimandi espliciti a tutto quello che abbiamo vissuto (e stiamo ancora vivendo), quindi nella comunicazione non c’è traccia di parole come lockdown, pandemia, distanziamento… Lo state deducendo. E non sarò certo io a dire che sia una deduzione errata.

Sei in giro da anni, hai suonato ovunque, hai fatto più dischi e diversi tra loro, basta mettere vicini W e Stasi, ma non solo. Stabilito questo, dentro te c’è sempre un po’ dei Boards Of Canada, vero? Se non è vero, spiegami perché.

Quel mondo parallelo che hanno saputo creare, così onirico e intriso di nostalgia, è da sempre ispirazione massima. È parte di me. Li seguo praticamente da sempre, non si tratta più di ammirazione, si tratta di culto.

Stasi è il titolo del disco e anche dell’ultimo pezzo dell’album, che sto amando molto. Ha una sua autonomia sonora rispetto al resto, ecco perché ti chiedo di parlarmene un po’…

È stato il primo pezzo che ho scritto e all’inizio l’idea era che il disco fosse totalmente aritmico e statico come la title-track, ma ho pensato che fosse una rottura troppo grande con tutto quello che c’era stato prima. Ho pensato che aggiungere dei ritmi hip-hop in slow motion sarebbe stato un ritorno ai primi due dischi, Quipo e Queue For Love, per cui è venuto molto naturale. Per non essere tentato dal ritmo, durante la scrittura del prossimo cestinerò tutti i drum kits.

Proseguo lungo il solco della domanda precedente. “Orizzonti Bagnati Dell’Adriatico” è forse un modo di omaggiare Prati Bagnati Del Monte Analogo. Nel corso degli ultimi anni, oltre alle ristampe del Battiato dei primi Settanta, etichette e ascoltatori sono tornati su musicisti come Lino Capra Vaccina, Walter Maioli, Riccardo Sinigaglia, Luciano Cilio, Giusto Pio… Per te sono nomi che significano qualcosa?

Ma certo! “Prati Bagnati” di Lovisoni e Messina penso sia stato uno dei dischi che ho ascoltato di più negli ultimi anni. Assieme a “Clic” di Battiato. Ricordo che quando ho cominciato ad appassionarmi a tutta la scena della Warp, mi è capitato più volte che molti degli artisti di quel giro citassero nei loro ascolti dischi italiani degli anni Settanta. Io non capivo. Poi ho collegato tutto, anni dopo.

Anche qui, in realtà, sto girando intorno alle stesse cose, ma penso sia un modo diverso con cui posso far vedere Populous a chi mi legge. Cambiano i dischi, sì, ma rimani sempre gentile e sognante, colorato. Io non ho niente contro tutto questo, però ho spesso bisogno dei Pan Sonic. E tu? Perché sei così buono?

Giuro che mi ero imposto di fare un disco oscuro, ma alla fine che senso ha mentire al proprio essere? Sarebbe un inganno doppio, per sé e per il proprio pubblico. Non ha senso. Mia mamma mi ha partorito buono. Forse un po’ snob e precisino, ma buono. Comunque ho una cartella piena di glitch campionati dai Pan Sonic. Un giorno la userò.

Visto che lentamente stiamo rimettendo la testa fuori, dicci per favore dove ti troviamo in futuro se vogliamo sentirti suonare.

Sicuramente a casa mia. I set migliori sono sempre quelli che faccio per gli amici, in compagnia di una bottiglia di vino buono. Sarete miei ospiti.

Hai detto la tua, politicamente, su quotidiani e settimanali come Manifesto ed Espresso. Segui il dibattito sul disegno di legge Zan? C’è qualcosa che ti fa incazzare?

Il fatto che la destra (da Lega a Fratelli d’Italia) abbia in qualche modo ammesso che parte di quella legge sia necessaria dice già tutto. Poi forse non starei a giocare a chi ce l’ha più lungo, applicherei quelle modifiche su cui si sta discutendo fin troppo e andrei avanti. Sarebbe già più di qualcosa. La Chiesa può soltanto sucare.