I suoni della Biennale Arte 2024

La 60. Esposizione Internazionale d’Arte intitolata “Stranieri ovunque” (a Venezia dal 20 aprile al 24 novembre 2024), diretta dal curatore brasiliano Adriano Pedrosa, si presenta come la più multiculturale e “diversa” di sempre, con 88 partecipazioni nazionali, di cui quattro – Benin, Etiopia, Tanzania e Timor Est – presenti per la prima volta in laguna. Edizione non a caso attaccata a spada tratta da tutta la stampa nazionale reazionaria… e che palle! Quanto è becera, prevedibile e noiosa la nostra maggioranza malpensante.

L’intrinseca rilevanza delle sonorizzazioni di alcuni dei Padiglioni è materia di questa riflessione.

In direzione delle sedi principali dei Giardini della Biennale e dell’Arsenale, sulla Riva degli Schiavoni, si incontra, all’interno del  Palazzo delle Prigioni, il Padiglione di Taiwan con “Everyday War”, drammatiche installazioni audiovisuali – create dall’artista multidisciplinare Yuan Goang-Ming – che trasmettono il senso del quotidiano stato di allarme che permea la vita degli abitanti di Taipei: su un grande schermo appaiono le sequenze aeree della capitale con una ragnatela di strade e autostrade totalmente deserte (sono riprese effettuate durante la Wanan Air Defense Drill, annuale esercitazione anti-bombardamento) mentre una nenia elettronica ne amplifica l’effetto ansiogeno, poi è la volta delle immagini della disobbedienza militante del Movimento Studentesco dei Girasoli  con le immagini dall’interno del Parlamento Nazionale occupato (nel 2014 per 561 ore) dai giovani mentre dagli ambienti circostanti delle Prigioni si percepiscono esplosioni e sibili lancinanti, parte integrante della colonna sonora per “Everyday War” e “Dwelling”, i due video a camera fissa, rappresentazione delle conseguenze di un attacco militare all’interno di comuni pareti domestiche con divani, librerie, acquari e relativi pesci fluttuanti al rallentatore: Life During Wartime, intonerebbe David Byrne.

Uscendo dalle Prigioni e proseguendo nel percorso della Riva, lungo una stretta traversa si accede al complesso di Santa Maria della Pietà dov’è ospitato il Padiglione dello Zimbabwe con la sorprendente mostra collettiva “Undone”, da cui spicca la performance di Sekai Machace accompagnata da una arpista: con il suo canto evoca un immaginario spirituale arcaico in realtà mai dimenticato dagli artisti africani contemporanei, inoltre in alcuni video la sua estetica afro-futurista incontra, per un contrasto cromatico sorprendente, il barocco veneziano.

Stati Uniti

Ai Giardini il Padiglione degli Stati Uniti è stato curato da Jeffrey Gibson, artista multidisciplinare di origine cherokee. Una curatela U.S.A. affidata a un nativo americano (membro della Mississippi Band of Choctaw Indians) è una “prima assoluta”. Gli austeri ambienti esterni e interni sono stati trasformati da geometrici e coloratissimi dipinti, sculture e video musicali psichedelici in loop, con i canti, le musiche, le danze tradizionali cherokee trattati da software creati ad hoc, ricontestualizzando così efficacemente in chiave contemporanea l’estetica dei nativi americani.

Ungheria

Riempiono di musiche aliene gli spazi dei rispettivi padiglioni anche l’Ungheria, con la musica elettronica di Márton Nemes diffusa attraverso le policromatiche, metalliche installazioni denominate “Techno Zen”, e l’Austria con “Ribs”, una collezione di long playing registrati su lastre per radiografie ortopediche reperiti fra i rifiuti ospedalieri, reperti detti appunto Ribs/“musica sulle ossa” su cui venivano incise musiche proibite (jazz, rock’n roll…) dalla censura sovietica, realizzati da alcuni tecnici del suono e venduti clandestinamente fin dagli anni Cinquanta.

L’angosciante, bellissimo Padiglione della Germania indaga lo spazio oltre la soglia del conosciuto attraverso “Thresholds”, con la musica dei Tabernacle Of Whatever e in seconda battuta sull’isola della Certosa una installazione che vede coinvolti Robert Lippok e Jan St. Werner per interventi di idro-acustica e cibernetica sonora.

Infine Arabia Saudita, Italia, Polonia, Serbia e Gran Bretagna.

ARSENALE – Padiglione Arabia Saudita
“Shifting Sands: A Battle Song” di Manal AlDowayan

L’installazione è un percorso nel quale il suono funge da richiamo, si accede all’interno di un labirinto realizzato fra grandi elementi in seta, ispirati ai colori e alle variegate forme delle Rose del Deserto, sui quali sono serigrafati oltre ad immagini di volti femminili i testi dei canti registrati di donne saudite diffusi da decine di casse, canti eseguiti nella modalità Aldahha, rito tradizionale che combina musica, poesia, danza con il quale le comunità beduine chiamano a raccolta i componenti in caso di pericolo. I canti traggono ispirazione ed energia anche da una fonte geologica, quando nelle immense distese del Rub’al-Khali le sabbie mormorano e cantano. Camminando sulla loro superficie, il corpo della terra vibra ed il suono sgorga dalla sua profondità, producendo un involucro sonoro che si propaga e cinge le enormi dune del deserto. Una installazione affascinante che tuttavia inevitabilmente fa sorgere riflessioni contrastanti sull’intenzione tutta politica della committenza.

ARSENALE – Padiglione Italia
“Due qui/To Hear”.

L’artista toscano Massimo Bartolini torna alla Biennale in collaborazione con Gavin Bryars, Kali Malone e Caterina Barbieri. Allestisce un’immensa selva di tubi Innocenti sonanti tramite dieci mantici, posizionati ai lati, che immettono aria nel labirinto metallico, laddove gli spartiti di Malone e Barbieri sono interpretati da due grandi carillon meccanici. Al centro della struttura è posta una sorta di fontana circolare colma di acqua ed argilla la cui superficie tramite un meccanismo pneumatico si alza al ritmo di un battito cardiaco programmato. Fanno parte dell’installazione un primo spazio con un piccolo Bodhisattva posto su una lunga canna rettangolare di legno bianco che suona grave e profondo allorquando, per dieci minuti ogni ora, lo spazio centrale si quieta. Uscendo nel Giardino delle Vergini antistante le protagoniste acustiche diventano le partiture canoniche di Gavin Bryars, diffuse da altoparlanti nascosti fra i rami degli alberi. Dunque i tre spazi, Ingresso, Padiglione centrale e Giardino si trasformano in un unico immenso strumento musicale. Una giornata di rari visitatori offre la situazione ideale per sintonizzarsi con le vibrazioni profondissime di quest’organo dalle canne estese centinaia di metri come dell’arte minimalista del compositore e contrabbassista inglese coadiuvato in questa occasione dal figlio Yuri Bryars.

GIARDINI – Padiglione Polonia
“Repeat After Me – Ripetete dopo di me” a cura del collettivo Open Group

Si entra nel vasto e oscuro padiglione polacco dove su due schermi, uno di fronte all’altro, volti di donne e uomini declamano mantra di morte scaraventandoti immediatamente in un palinsesto sonoro di guerra. Appaiono i volti, si ascoltano le voci raccolte in questi due ultimi anni dall’Open Group di Yuriy Biley, Pavlov Kovach ed Anton Varga con testimonianze sonore di quello che i civili hanno udito  in Ucraina dall’inizio della guerra: le loro voci riproducono i suoni, impressi indelebilmente nella loro mente, di raffiche di mitragliatrici, allarmi aerei, sirene, missili, bombe, il boato dei caccia da combattimento… alcuni con le lacrime agli occhi, altri sotto shock eseguono perfettamente le sonorità scolpite nella loro memoria ma soprattutto ci invitano, come in un macabro karaoke, a ripeterle con loro in una terapeutica condivisione del terrore.

GIARDINI – Padiglione Serbia
“Exposition Coloniale” di Aleksandar Denić

Entrando nel piccolo e avvolgente padiglione della Serbia la percezione immediata che si ha è quella di accedere ad un mondo scomparso: una perfetta Macchina del Tempo anche sonoro con un juke-box che trasmette a-palla le hits in voga in Jugoslavia negli anni ’60 –‘70 dai Kraftwerk di Trans-Europe-Express ai locali Pro Arte. Musiche contestualizzate in una serie di ambienti “archeologici” e cimeli socio urbani: un Bar-chiosco illuminato da neon azzurri siderali, il frigo al cui interno sono esposte le confezioni di gelati d’importazione bulgara, il bancone del market con le confezioni di  biscotti marca autarchica Eurovafel, le vecchie cabine telefoniche stradali di Belgrado, la Stazione di benzina  con tanto di autentici bidoni del mitico olio Castrol, ancora la pubblicità della bibita Banania, una sauna spartana perfettamente ricostruita, gli interni basici di una casa popolare mentre dalla televisione un multicolore gruppo di giovani intona il claim epocale per lo spot della Coca Cola (girato in Toscana a metà degli anni ’70), coro che annuncia l’avvento di un Mondo Nuovo, il business globalizzato come forma di pacificazione definitiva, sogno/incubo deflagrato nei decenni successivi, prototipo di tutte le pubblicità come di tutta la muzak a-venire. Intelligente ed ironica riflessione storica quella operata dall’artista di Belgrado che non a caso si occupa da sempre anche di scenografia teatrale e mentre usciamo a tutto volume parte “Felicità”, nessuno è innocente!

GIARDINI – Padiglione Gran Bretagna
“Listening All Night to the Rain”

Al regista e artista multimediale inglese di origine ghanese John Akomfrah (Accra 1957) è stato affidato il compito  di trasformare l’imponente edificio neo-classico da sempre sede UK nel simulacro della storia coloniale britannica investigandone le reliquie, i simboli ed i suoni. Musica registrata, voci, interferenze elettroniche piovono direttamente dai soffitti dell’ingresso grazie centinaia di vecchi registratori, radio, vinili e registrazioni su cassetta affastellati uno sull’altro in una sorta di mosaico/discarica sonora. Si prosegue attraverso le varie stanze ascoltando e osservando i documenti raccolti della storia coloniale planetaria immortalati sugli schermi che presenziano ovunque. Sostanzialmente un’unica installazione immersiva costituita da opere multischermo interconnesse fra di loro, che richiede particolare attenzione e molto tempo. Il titolo – spiega Akomfrah – allude al potere performativo che le vibrazioni sonore hanno sugli spazi del grande padiglione, l’insieme finale riguarda la questione della memoria come del “memoriale” mettendo in relazione il presente con gli spettri del passato ed è proprio attraverso il Suono che è possibile trovare una nuova identità.