Extrema Ratio: il sonno della ragione genera dischi

Sotto la cenere degli hype che durano una mezza stagione, negli anfratti remoti di quella che un tempo si chiamava scena, nei sottoscala umidi e polverosi, lontano dalla retorica, dagli artifici e dalle pose continua a pulsare il cuore di musiche che non si allineano e – perdonatemi la retorica – non si arrendono. The New Noise ha tra le sue missioni proprio quella di scandagliare questo mondo sommerso: stavolta è il turno di Extrema Ratio (.xlx. alla voce, Val all’elettronica, Alessandro Cartolari – già con Anatrofobia e Masche – al sax baritono e Diego Rosso (anche lui con Masche) alla batteria, piemontesi con furore che hanno da poco esordito su ADN Records con un bel disco, ispido e personale, pieno zeppo di rabbia, consapevolezze, riferimenti eclettici ed una visione politica ed utopica del fare musica ed arte di un certo tipo e con una certa attitudine che non poteva non destare il nostro interesse. Ecco la nostra conversazione con alcuni membri della band.

Extrema Ratio sono non ortodossi, eterogenei e dissidenti: come e rispetto a cosa?

.xlx.: Innanzitutto nelle intenzioni del suono proposto. Il nostro vuole essere un linguaggio che esuli da qualsiasi codifica, liturgia e grammatica. Un ribollente e sulfureo crogiolo dove le profonde ispirazioni dei singoli, frantumando iconoclasticamente le strutture architettoniche idiomatiche, intendono approdare ad uno stato di pura apocatastasi (ritorno allo stato originario, ndr) da cui assurgere a nuova forma.

Venite da storie ed ambienti musicali diversi che in alcuni casi si sono sovrapposti: mi raccontate brevemente le vostre storie, come vi siete incontrati, come lavorate in sala e come avete lavorato in studio?

Alessandro Cartolari: Con .xlx. avevamo già iniziato ad ipotizzare una collaborazione dopo Tesa Musica Marginale degli Anatrofobia, mi interessava molto poter unire il nostro suono con quel tipo di voce e attitudine e i .right in sight. erano stati una band molto significativa dell’hardcore canavesano. Non se ne fece niente, ma siamo sempre rimasti in contatto. Nell’estate del 2018 ci siamo nuovamente incontrati, trasformando l’ipotesi in musica, partendo da sax e voce, immaginando un suono ruvido, scarno, primitivo, cercando appunto di unire l’urgenza free popolare e quella di stampo hardcore. In poco tempo abbiamo coinvolto Val e Diego e quindi iniziato il nostro percorso musicale partendo da libere improvvisazioni spesso guidate da suggestioni (un testo, un suono, una serie di campioni, a volte un tema musicale) cercando di essere fedeli all’immaginario di cui scrivevo prima. Poi bisogna fare i conti sempre con i propri limiti e magari spostarli sempre più avanti di un cm… o indietro? Mah…

Cosa state ascoltando in questo periodo? Tre dischi fondamentali per la band?

Val: Collettivamente i nostri ascolti sono veramente ampi: dalla musica etnica alle colonne sonore passando per grindcore, techno e sperimentalismo. Personalmente vado a periodi abbastanza monotematici, cercando cose il più possibile diverse rispetto a quelle che suono. In questo periodo in particolare mi piacciono molto Ic3peak, Gloomstone, Gazelle Twin e Aisha Devi. Come gruppo credo che Suicidio Modo D’Uso dei CCC CNC NCN, il disco omonimo dei 16-17 e il primo dei Last Exit di Brötzmann siano stati fondamentali, non tanto come ispirazione diretta quanto come approccio e definizione delle coordinate del nostro immaginario sonoro.

Mi è piaciuta molto l’impostazione grafica di stampo sovietico del cd, meno, in tutta sincerità, il proclama filosofico-politico al suo interno: mi raccontate ispirazioni, modalità, finalità?

.xlx.: Il concetto grafico intende mettere in relazione (dal punto di vista visuale) l’azionismo viennese (nello specifico le aktionen di Günter Brus) con il suprematismo/costruttivismo sovietico (qui l’ispirazione più profonda è senza dubbio Kazimir Malevič), il Proletkult e la propaganda rivoluzionaria marxista-leninista. Registriamo con piacere il tuo apprezzamento: anche noi siamo molto soddisfatti dell’eloquente crasi espressiva fra shock catartico e iconografia militante.

Il “manifesto” gronda passione, palpita convulsioni febbricitanti d’urgenza e incalza, come tutto ciò che è passionale, prediligendo il bisogno di annientamento, la furia di liquidazione, l’agire rivoluzionario. La scrittura non è quindi né imparziale né protocollare; piuttosto un vortice, una vertigine accanita: esprime eccessi ed è eccesso essa stessa, è ossessiva e ossessionata, estrema, esagerata. Spesso è inappellabile, talvolta ostinata, fascinata sempre. Citando Machiavelli: bisogna essere tumultuosi per forza.

.xlx., leggo che hai una lunga storia nell’hc ed anche che hai scritto di musica: mi racconti un ricordo bello ed uno brutto di entrambe le esperienze e cosa ti sei portato di quei mondi in questa esperienza?

.xlx.: La musica mi permea con la sua potenza immanente: suonare è/è stato sempre strumento per dare corpo all’estro e alla fecondità creativa. L’edizione fanzinara prima e le collaborazioni con le riviste musicali dopo mi hanno permesso di coniugare alla dedizione per l’ascolto la passione per la scrittura, indagando suoni e motivazioni dei musicisti.
Entrambi gli ambiti sono per me spazi fisici/metafisici fermamente e risolutamente positivi. I momenti negativi sono infatti esclusivamente ascrivibili alle disillusioni e alle frustrazioni nella pratica fattuale di queste intenzioni.


Come si tengono insieme Mingus, l’hc, l’industrial e l’improvvisazione?

Alessandro Cartolari: Personalmente sono un grande fan di Mingus e so che sarebbe molto orgoglioso di questa nostra versione… Fosse ancora tra noi ci ammazzerebbe a mani nude! Tutto è iniziato con delle improvvisazioni dai contorni bluesy, buttate nel nostro mondo sonoro ci sono parse da subito suggestive. Secondo me il blues, in particolare quello delle origini, è una grande ispirazione per quel che riguarda l’essenzialità e l’intensità. Una prova dopo l’altra questa improvvisazione si è trasformata in un’allusione sempre più forte al tema “Canon” di Mingus e io non ho fatto nulla per evitarlo, mi dispiace. Deve essere stato un mio rigurgito di ribellismo adolescenziale, perché ho maltrattato un sacco di bei pezzi in vita mia, quindi uno più, uno meno… d’altronde è pur sempre un gioco.

Nel disco partecipa Fritz Weltch dei Peeeseye: come nasce questa collaborazione? 

.xlx.: Conosco Fritz personalmente da quando attraverso il festival “Musiche possibili” di Ivrea (To) invitammo Peeesseye. Nel tempo siamo poi sempre rimasti in contatto e ho avuto il piacere di fissare per lui in solo e in duo con Olivier Di Placido altri concerti. All’idea di affidare il testo di “Asthenic Rite” ad una voce altra è stato quindi naturale pensare a Fritz (grande amico e notevole sperimentatore), che ha assunto l’incarico con entusiasmo regalandoci un’ottima interpretazione e lasciandoci molto soddisfatti del risultato.

Pasolini, Gramsci, Mao, Burroughs: riferimenti importanti, anche impegnativi; qualche parola sul vostro immaginario di riferimento per quanto riguarda la parte testuale? Come mai l’inglese e non l’italiano?

.xlx.: Il nostro pantheon culturale di riferimento è ampio e in continua evoluzione, la letteratura è un grande moltiplicatore di empatia: sincero attingervi quando la volontà è quella di esprimere un concetto storicizzato e molto abilmente circostanziato da pensatori illustri. Circa la scelta dell’idioma fino ad ora è stato spontaneo affidarsi all’inglese, forse sulla scorta di quanto fatto in ambito hardcore. L’interesse per la resa sonora di altre lingue è profondo, quindi penso in futuro ci dedicheremo a codici linguistici differenti assecondando la suggestione che suoni/testo saprà suscitare: già pronto un pezzo in tedesco.

Nella recensione al disco io cito, alla rinfusa, Converge, Cripple Bastards, Cop Shoot Cop, Amiri Baraka, Albert Ayler, This Heat, Bad Brains. Volete aggiungere altri nomi o dirmi dove ho preso a vostro modo di vedere un abbaglio? Vi ci riconoscete?

Val: Direi che di abbagli non ne hai presi assolutamente, anzi. Ciascuno di noi ha alle spalle almeno due decenni abbondanti di ascolti variegati, spesso e volentieri frutto di una vera e propria passione per la ricerca di sonorità nuove. Questo, unito al fatto che fin dall’inizio abbiamo deciso di non darci limiti o dare riferimenti espliciti a nessun genere musicale in particolare, fa sì che in Extrema Ratio siano presenti tutte le suggestioni che abbiamo metabolizzato negli anni, e che emergono in maniera spontanea e non prevista a tavolino.
Credo sia poi abbastanza naturale che ciascuno colga poi durante l’ascolto i dettagli e le sfumature che gli sono più affini, così come tu hai colto Converge e Albert Ayler un altro può sentire echi di Pan Sonic e Keiji Haino, piuttosto che di Meira Asher e Peter Brötzmann, giusto per fare qualche nome.

Il titolo dell’album ha qualcosa a che vedere con il film di Cronenberg?

.xlx.: Sì, l’ispirazione arriva proprio dal film di Cronenberg – nello specifico non eccezionale – anzi, per meglio dire, dalle suggestioni evocate dalla sua filmografia. Sono un grande appassionato di cinema e i primi film del regista canadese, nonché i più recenti “A history of violence” e “La promessa dell’assassino”, indagando le livide connessioni fra la psicologia e la fisicità dove le suppuranti infezioni della carne contaminata liberano le esalazioni psicotiche dell’uomo di fronte alla mutazione del corpo (anche qui si può rimandare a Günter Brus e al suo programmatico: My body is the intention. My body is the event. My body is the result), ben rappresentano quello che la musica di Extrema Ratio vuole essere: tesa, urgente, irrequieta, scura… pericolosa…

Band italiane che rispettate o sentite affini?

Alessandro Cartolari: Tante sono le band italiane che rispetto e di cui amo la musica e tanti i musicisti con cui trovo affinità, anche se questi sono tempi in cui mi manca il confronto ad un concerto, piuttosto che davanti a pane e grappa. Tantissima è la musica bella nel nostro paese, ora ad esempio mi viene in mente quella di Mirco Ballabene (scoperto da poco grazie ad un carissimo amico), i progetti di Maurizio Argenziano e Mario Gabola di A Spirale, quella di Acre, il jazz di Francesco Massaro o Andrea Grossi Blend 3, le sonorità estreme di Ad Nauseam e Ape Unit, giusto per fare qualche nome.

La vostra musica è… e in futuro sarà… a voi la parola.

Val: Tesa, primitiva, istintiva e non mediata, e speriamo che lo diventi sempre di più.