CHAT PILE, God’s Country e Tenkiller Motion Picture Soundtrack

La voce che si leva da Oklahoma City negli ultimi mesi non è quella colorata dei Flaminig Lips: è quella disperata dei Chat Pile, al loro primo album lungo dopo due ep e una colonna sonora per un film thriller. Si muovono tra noise rock, sbraiti tra il recitato e l’hardcore e la pesantezza musicale dello sludge. Non sembra però solo rabbia, la loro, piuttosto una disperazione sparsa per il disco che puzza di marginalità e di buchi nell’acqua, “… Fuckin’ tragedies every day, people have to leave… why? why?”, urla il frontman Raygun Busch al microfono in “Why”… e non c’è nessuna risposta da dargli. Si avanza, quindi, nella disperazione arresa di un pantano che, in più di un tratto, puzza del cadavere del miglior tocco Touch & Go, quasi un incrocio bastardo e campagnolo fra Jesus Lizard e Shellac. Ma uscirne pazzi è un secondo, come in una “Wicked Puppet Dance” che finisce a spari, in un mondo collassato in “Anywhere”, in un dolore offerto onestamente.

Sono mazzate, a ogni brano. Morali più che sonore, ma più lo ascolto più credo che in realtà i Chat Pile possano essere e siano la giusta e triste espressione di un mondo di merda. Anche la famiglia, anche il tempo libero, l’esercizio, l’oceano, è andato tutto in vacca. Si butta giù, masticando e sputando boli hardcore come “Tropical Beaches Inc.”. Da qui in poi il baratro vero, qualcosa che può essere una strage, la raggelante “I Don’t Care If I Burn”, solo voce e sputi di brace. Si chiude con un treno d’altri tempi, “Grimace Smoking Weed.jpeg”, in cui le facce e le smorfie non sono buffe ma squarci di visi di persone allo sbando. Disco sofferto, intenso, da assorbire strato dopo strato, con il buono ed il cattivo umore, in salute ed in malattia, fuck.

A corredo, per cogliere altre sfumature del mondo dei Chat Pile ascolto anche la recente colonna sonora effettuata dai nostri per Tenkiller, film di Jeremy e Cara Choate (uscita solo su Bandcamp, è stata fatta un’edizione limitata su cassetta contenente però soltanto due brani). Il film racconta i tormenti di un giovane operaio 18enne fra la separazione dei genitori, la tragica morte del miglior amico e la vita che lo circonda. Lo score si divide tra veri e propri brani come l’iniziale “TAH”, sardonico e caracollante come di norma, stacchi più intimi e brevi, potenti intermezzi, con delle puntate nel territorio del western più pesante. Alcuni brani notevoli, come la tortura che possiamo solo immaginare di “The Return Of The Sandman”, tra urla sorde, trapani e quel che sembra cioccare di mucche. Poi brani country swing assolutamente irresistibili come “Lake Time”, momenti più soft come “Kids”… sembra che, liberi di descrivere un mondo non loro, i Chat Pile riescano a prendere maggior respiro ed a mostrare lati di sé impensabili, che, ne sono convinto, ricoperti di malessere e violenza potrebbero tranquillamente rientrare nella poetica della band. Non avendo il film posso dire però che codesto Badman, più volte citato quindi credo il villain della situazione, anche solo con la presenza sonora incute un discreto terrore (sono parecchio incuriosito anche dalla “Punishment Box”, che sembra parecchio bastarda) spero quindi di riuscire a far mia anche la controparte visiva di questo nuovo viaggio dei Chat Pile.