ANJA LAUVDAL, From A Story Now Lost

La pianista norvegese Anja Lauvdal, già componente del magnifico collettivo Broen (il cui I Love Art resta, a ben cinque anni dall’uscita, un gioiellino pop scintillante), ormai da qualche tempo ha iniziato a muoversi lungo traiettorie più sperimentali, affinando le proprie doti jazzistiche e confrontandosi con colleghi musicisti in progetti non esattamente pensati per il pubblico meno paziente ed esigente. Anche il debutto solista, pubblicato dai suoi prestigiosi connazionali di Smalltown Supersound, prosegue lungo queste coordinate personali e avanguardiste, grazie anche al lavoro in fase di produzione della producer e sperimentatrice americana Laurel Halo: proprio il contributo di Halo sembra portare l’album su territori più astratti e concettuali rispetto alle precedenti pubblicazioni realizzate da Lauvdal.

Un approccio evidente sin dalle prime tracce: “Tehanu” innesta, infatti, perturbazioni analogiche su un docile tappeto strumentale, mentre la successiva “The Dreamer” incrocia kosmische, noise elettronico, field-recordings e un insospettabile lirismo, ponendosi tra i brani migliori dell’intero disco. Con “Fantasie For Agathe Backer Grøndahl” si entra invece nel vivo del concept: il brano omaggia esplicitamente la pianista e compositrice norvegese vissuta a cavallo tra XIX e XX secolo, artista che è stata ben presto dimenticata rispetto a molti suoi contemporanei (maschile non casuale), nonostante in vita avesse raccolto le attenzioni e i riconoscimenti che meritava. La sua figura, dunque, la sua arte e la sua storia hanno avuto grande impatto su Anja Lauvdal, spingendola a rielaborare frammenti sonici di lei in un flusso senza tempo (la melodia pianistica percorsa da disturbi elettronici di “Xerxesdrops”) dove s’incontrano emotività e riflessione, passione e studio.

Da questa fascinazione arriva anche il titolo del disco. Come spiega la stessa Lauvdal nelle note: “From a Story Now Lost significa che la storia è ancora lì. Non è andata da nessuna parte, anche se nessuno nel frattempo l’ha più ascoltata e forse qualcuno la sta ascoltando ora per la prima volta”. L’album può essere così inteso come una osservazione sul potere della memoria e sulla persistenza dell’arte.

Tra bozzetti comunque pienamente compiuti (la breve e sospesa “Mother”) e vette avant (la distorta ed eterea “A Swim”) il risultato è un disco molto bello in cui convivono sorprendentemente calore e atmosfere haunt (predominanti, per esempio, nella frammentata “Sukkertare”).