Al cinema con la Hidden Orchestra

Hidden Orchestra, foto di Jesse Williams

L’avventura per Hidden Orchestra inizia nel 2010 con Night Walks. Night Walks esce per Tru Thoughts, poi lo ristampa Denovali, un’etichetta molto in ascesa e molto seguita. In quel periodo Denovali è in una fase di passaggio, dato che diminuisce le pubblicazioni di dischi di area post-metal/post-rock e inizia a occuparsi di progetti più vicini al concetto di “cinema per le orecchie”: Kilimanjaro Darkjazz Ensemble, ad esempio, guidato da Jason Köhnen (il dj Bong-Ra), che mette insieme la musica più o meno da solo, ma poi in campo va con – appunto – un ensemble vero e proprio. Così fa anche Joe Acheson/Hidden Orchestra, assemblatore di elementi di varia provenienza (strumenti reali, digitali, musica concreta) con cui realizzare la colonna sonora di film che esistono solo nella sua testa. Sicuramente chi ascolta le varie incarnazioni di Bong-Ra avrà da ridire su questo parallelo, e anche viceversa, ma può starsene tranquillo: io non scrivo equazioni, ma propongo confronti per aiutare a inquadrare le band. Le cose, come si vede, non avvengono nel vuoto, c’è sempre un contesto, e se io lavorassi in un negozio di dischi e vedessi un cliente abituale prendersi qualcosa dell’uno, gli porterei anche il vinile dell’altro. Non è mai critica della ragion pura, è passarsi i dischi tra amici, con quel minimo di convinzione che siano quelli giusti. Di Night Walks si accorgono in Inghilterra e – come succede sempre da quelle parti – iniziano a coccolare molto il loro connazionale, BBC compresa. L’album è in effetti una mina, e i successivi (Archipelago, Dawn Chorus) non tradiscono le aspettative. To Dream Is To Forget, uscito da pochissimo per Lone Figures, etichetta personale di Acheson, è più asciutto, conciso e diretto rispetto ai suoi predecessori, ma non per questo privo della componente cinematografica. In qualche modo, con queste caratteristiche, riesce ad avere la stessa freschezza dell’esordio.

In Italia non pare che Acheson sia poi così popolare, ma Scenasonica dà la possibilità al Nord Est di scoprirlo il 2 dicembre a Pordenone, in quella cornice perfetta che è l’Ex Convento di San Francesco. Qui di seguito la mia intervista con lui, che si è dimostrato più che disponibile e aperto al dialogo.

Hidden Orchestra, Nine Inch Nails, Groove Armada. Nulla in comune, apparentemente. Invece siete tutti uno o due solitari in studio e una band completa on stage. Significa qualcosa? Sembra che tutti voi pensiate che gli umani siano fondamentali sul palco, non importa quanto sia buona la musica.

Joe Acheson: Sì, gli umani sono importanti, ho provato dal vivo da solo e non mi è andato a genio e poi mi piace lavorare con strumenti live. Per questo tour stiamo usando un setup minimale con me all’elettronica con due batteristi. I batteristi sono sempre stati i frontman della mia live band, portando appunto l’elemento umano, mentre il nuovissimo set di visuals creato da Tom Newell aggiunge la profondità cinematografica.

Verso la fine dei Novanta mi sono trovato ad ascoltare molto trip hop (la scena di Bristol) e downtempo (per esempio Thievery Corporation). Quel periodo ti influenza quando componi i tuoi ritmi? Mi viene difficile immaginare un decennio differente se penso al tuo progetto da un punto di vista ritmico.

Certo, specialmente Portishead e Tricky. Le mie influenze più grosse sono forse precedenti: hip hop ed elettronica, DJ Premier, Madlib, DJ Krush, DJ Shadow, Aphex Twin, Orbital, Luke Vibert e i suoi alter ego, Four Tet, Squarepusher, per arrivare ad Amon Tobin, LTJ Bukem, e ancora drum’n’bass e techno… Ma allo stesso tempo mi hanno influenzato grandi batteristi come Gene Krupa, Buddy Rich e Joe Morello.

Ci sono alcune band giovani come King Gizzard And The Lizard Wizard (o Black Country, New Road) con album che suonano tutti diversi l’uno dall’altro. Alcuni cantanti pop fanno la stessa cosa, ma adattandosi ai trend. Anche alcune band del passato erano camaleontiche. Io, però, preferisco chi ha una sua voce che lo distingue dagli altri. Come hai trovato la tua?

Credo di essermici imbattuto, rimescolando le mie influenze per ottenere qualcosa che avrei voluto sentire. Compongo da quando ho dieci anni e il progetto Hidden Orchestra è nato dopo la scoperta del sampling. Quando da teenager ho realizzato che molta della musica che si sentiva era fatta combinando altri dischi, mi è sembrato di avere la grande opportunità di fare due cose che mi interessavano, cioè raccogliere frammenti di suono che ritenevo meravigliosi ed editare parti di batteria di modo da farle durare per un’intera traccia. E così ho finito per realizzare dei miei campionamenti originali, partendo dallo scrivere piccoli pezzi e registrando improvvisazioni. Mi fa piacere che tu pensi che il progetto abbia una sua voce, è qualcosa a cui aspiro.

Allo stesso tempo però ogni mio album è distinguibile e spero a modo suo: Night Walks è stato il melting pot prodotto da tutti i miei primi esperimenti, Archipelago ha pagato il tributo agli anni vissuti in Scozia lavorando con i musicisti classici e folk del posto, mentre Dawn Chorus presentava una registrazione di un differente cinguettio diurno. Ho anche pubblicato un album fatti con poeti, una raccolta di ri-lavorazioni di miei pezzi a cura di altri musicisti, una colonna sonora per un videogame.

Dicono che – se confrontato col materiale precedente – To Dream Is To Forget sia più immediato, con meno field recordings. Di solito i progetti musicali tendono a diventare più barocchi, invecchiando. Perché hai preso il percorso opposto?

Sembrava il momento giusto per un disco più “punchy”.
Volevo mettere insieme qualcosa con meno lunghi intro e outro, e che fosse in contrasto col canto degli uccelli in Dawn Chorus. Volevo provare a metterci qualcosa che sin dall’inizio facesse capire a chi ascolta cosa aspettarsi, lasciandolo decidere se lasciarsi portare in giro dal pezzo o meno.

L’album precedente a cui è più vicino probabilmente è Reorchestrations, dove avevo aggiunto livelli con orchestrazioni, bassi e battiti a tracce di musicisti classici e folk. Mi sono servito di quell’album per esplorare il mio stile a livello di produzione, perché libero dalla costrizione di dover inventarmi melodie e armonie…

Forse è tutto il mio percorso a essere all’indietro, dato che da bambino ho iniziato con la musica barocca, suonando tanto Monteverdi, Bach e Purcell…

Molti musicisti si focalizzano sull’apertura del disco, perché pensano che sia un buon modo per tirare dentro l’ascoltatore. Con “To Dream Is To Forget” tu ci hai donato invece un gran finale. Per dirla coi Radiohead, la title-track è un esempio di grande exit music (for a film). Lo avevi pianificato?

Grazie, sì, cerco sempre di trovare un finale bello e questa traccia è stata scritta per andare per ultima, nonostante si basi per davvero su qualcosa per un quartetto d’archi che avevo scritto a scuola.

Ricollegandomi alla domanda precedente: la maggior parte delle persone associa cinema e occhi. Direi che la tua musica è cinema per le orecchie. C’è un po’ di verità in quest’affermazione? Sei appassionato di film?

Grazie, sì, una delle idee dietro al nome Hidden Orchestra è il riferimento a quelle orchestre nascoste dei vecchi cinema, dei teatri d’opera… Cercare di creare una colonna sonora per un film che non esiste, utilizzando un’orchestra immaginaria con strati e strati di registrazioni di singoli strumenti.

Mi piace che l’ascoltatore possa dare una sua interpretazione, la musica è molto densa e appunto stratificata, piena di contrasti ed emozioni “astratte”, di solito con battiti che si muovono a mezza e a doppia velocità contemporaneamente, quindi uno può sentirla luminosa o buia, uptempo o downtempo, così che alla fine la tela narrativa ed emozionale è bianca per chi ascolta, che può trovare un suo modo di reagire a tutto questo.

Sei in tour. Chi c’è con te? Ci presenti la tua live band? Il grande Tim Gane sarà della partita?

I batteristi Jamie Graham e Tim Lane sono con me sul palco, e abbiamo un nuovo AV show creato da Tom Newell, un mio collaboratore abituale. Io, come dicevo, mi occuperò della parte elettronica, combinando effetti live sul suono dei batteristi con live dub e remix improvvisati delle tracce originali.

Ci portiamo con noi Tim Southern, un fonico eccellente, quindi siamo sicuri che lo show suonerà e si vedrà fantasticamente, e siamo tutti entusiasti di essere al primo tour completo dopo la pandemia… Grandioso tornare a suonare dal vivo, ci stiamo divertendo molto ad addentrarci nelle parti più cupe e pesanti del materiale.