SIMON HANES, Tsons Of Tsunami

Simon Hanes è arrivato pressoché ovunque negli anni. Sono ormai lontani i tempi dei Guerrilla Toss, poi è stato il turno dei moniker dietro ai quali sempre a lui si tornava: Luxardo, Tredici Bacci, le collaborazioni con Foetus, Gary Wilson, gli Elyysian Fields. Il losangelino (ma newyorkese d’elezione) sembra riuscire a domare con maestria stile e personalità, capendo quando questa può esplodere al limitare della no(w)wave e quando invece serve il mestiere del jazz, della cocktail e della più fumosa musica strumentale. Impensabile, con questi presupposti, non arrivare al contatto e al disco come ideatore su Tzadik Records, da sempre snodo per stilosissimi irregolari e già bazzicata nelle “bagatelles” con John Zorn e come bassista in una traccia di The End Of Summer di Anthony Coleman.

Qui gioca efficacemente con il ricordo della sua surf music californiana, portandola a New York per riconfezionarla, dandole tutt’altro taglio, non derivativa nel citazionista come Tredici Bacci né eclettica e fuori dalle righe come Luxardo, bensì in pieno controllo, come se volesse infilare l’oceano in una camera. Si prende la chitarra baritono lasciando le incombenze dei bassi a Jesse Daniels ed Eugene Hasley, forma un quartetto di fiati composto da Alexander Johnson, Billy Martin, Kevin Newton e Selandis Sebastian, e mette John Starks alle pelli. Dopo un’apertura maestosa e amniotica dove la musica jazz si mischia a intenti cinematografici e marini in maniera pressoché perfetta, in bilico fra il bozzetto, la caricatura e la fotografia, con “Quest For Crest” sembra di tornare a certe sonorizzazioni per cartoon d’anteguerra, colme di ritmo e di sentori Western. C’è una modalità free che sepreggia fra l’ottetto, un’aria di libertà che riesce a riempire di vitalità le tracce, travalicando generi e stili ma tenendo ben saldi confini e intenzioni. Con il passare delle tracce il viaggio assume sempre più un mood Western, ma tutto può cambiare da un secondo all’altro, come in “The Saga Of Grettir The Strong”, dedicata al personaggio di una – appunto – saga islandese scritta fra il XIII ed i XIV secolo, colma di forza, sciabordio e crescita. Oppure corse a perdifiato suonate in scioltezza come divertissement in corsia di sorpasso (“DR20”), veri e propri Anthem che, se questo progetto avesse l’assetto di una rock band, sarebbero tranquillamente legnate nel moshpit mentre qui diventano estasi creative fra una batteria che tira mazzate e i fiati sognanti in primo piano, quasi dei Lordi intrufolatisi in una boccia di vetro con i paesaggi nordici e la neve che scende. C’è tempo per altre apertura cinematografiche da campo lungo, i paesaggi della Death Valley e il fumo di mille sigarette all’orizzonte, sopra ogni cowboy in sella. Il dosaggio dell’epica che Simon Hanes riesce a fare in questo disco dimostra ormai una maturità incredibile: i brani lasciano a bocca aperta per la loro forza nel farci viaggiare. Difficile segnalare un punto debole in Tsons Of Tsunami, con un baillamme di suoni che sorprende dalla prima all’ultima nota. Facilissimo che se innamorino amanti del jazz più avventuroso, del desert rock, della psichedelia e semplici curiosi. Salite e lasciate che Simon Hanes si occupi di gestire il maremoto, con le onde sonore è un mago e sarete in ottime mani.