SATAN IS MY BROTHER, How Far Can You See?

2007, Boring Machines si è appena messa in moto (My Dear Killer e Be Invisible Now!) e alcuni Yellow Capra – autori di un disco, Chez Dédé, che ha preso votoni da chiunque – si trasformano in Satan Is My Brother per vedere di nascosto l’effetto che fa mischiare jazz, dub, drone, ambient. Succede così che Onga diventi il cognato di Satana per tre album. In quel momento, diversamente da adesso, in cui alcuni di loro danno un contributo a The New Noise, non so chi siano questi musicisti, ma approfitto comunque per parlare di entrambe le band in un’intervista cumulativa. Già nel 2007, insomma, porto sfiga, visto che poi degli Yellow Capra non si sentirà quasi più parlare.
C’è – e ci mancherebbe altro – voglia di divertirsi, del resto se i titoli dei pezzi di Chez Dédé sono “Il Mozzicone Di Morricone”, “Porco Io”, “Gazebao Papetti Crack (Sunday Bloody Samba)”, la prima traccia firmata dai Satan Is My Brother, comparsa sulla compilation First Aid Kit della net label Chew-Z, è “Lunch With Trotsky”… L’esordio è il commento a un viaggio notturno lungo l’autostrada Milano-Torino (troppo facile citare “Lost Highway”, parlando di influssi badalamentiani). L’intreccio tra elettronica, sax e trombone, basso e batteria è un unicum, il darkjazz dei mille progetti di Bong-Ra, di certe cose Denovali (Dale Cooper Quartet, tanto per rimanere in tema) o dei Bohren & Der Club Of Gore o non c’è o non ha preso piede, idem certi esperimenti dronejazz del giro Southern Lord. I Satan Is My Brother aspettano 4 anni prima di tornare con A Forest Dark, un lavoro ispirato a un film muto italiano del 1911 intitolato “Inferno”, a sua volta ispirato all’opera del fondatore di Fratelli d’Italia, Dante Alighieri. In questo caso si notano meno elettronica e più ragionamento rispetto alla libertà del disco del 2007. Altri 4 anni: They Made Us Climb Up Here nel 2015 non è altro che una conferma, molto perentoria perché molto oltranzista, pesante e rumorosa, della bontà del gruppo e di com’è in grado di stringerti nelle sue spire sonore.
Oggi, a otto anni di distanza da They Made Us Climb Up Here, dopo le colonne sonore di Colin Stetson e il suo album drone per Room40, l’inflazione che ha colpito “lynchiano” nelle recensioni, l’ennesimo auto-riciclo di Bong-Ra (The Lovecraft Sextet), la discesa in campo di Lynch stesso, la morte di Badalamenti, gli esperimenti di Ramon Moro, Dissipatio prende il testimone da Boring Machines e pubblica How Far Can You See?, un album con cui, ancora una volta, i Satan Is My Brother si mostrano padroni di un genere che non esiste ma funziona, suonando musica per gli occhi, tessendo dark ambient ma anche groovando come pochi, utilizzando l’improvvisazione come risorsa ma non senza imbrigliarla, questo perché hanno definito per bene l’estetica del loro progetto. Aggiungo – mentre ascolto certi passaggi – che chiudono un cerchio, riallacciandosi al debutto del 2007. Qualcuno, a questo punto, potrebbe chiedere perché questa cosa non arde abbastanza da permetterci poi di vederli in giro o a qualche festival: la risposta che posso dare è che andrebbero venduti in modo più furbo e che sono troppo liberi e sfuggenti per parlare a tutti.