RIVAL CONSOLES, Now Is

Ryan Lee West non ha bisogno di presentazioni particolari. Sette dischi in 13 anni, una lunga sfilza di collaborazioni in curriculum e una costanza invidiabile sono il biglietto da visita di Rival Consoles, navigato veterano del sottobosco elettronico, che a poco meno di un anno di distanza da Overflow (e con la colonna sonora di un documentario Netflix di mezzo) dà vita a un’altra creatura sonora. L’ennesimo tassello di una carriera lineare puntellata da alcuni picchi e molti solidi calembour sintetici, che ormai pare andare avanti con il pilota automatico. Forse fin troppo.

Nel corso degli anni il talento del produttore inglese negli anni ci ha affinato il palato, rendendoci delle buone forchette, e quindi trovarsi davanti a un mezzo passo falso crea ancora più eco. Now Is è ancora una volta un’uscita che viaggia su solidi binari ambient techno, scegliendo un suono che fa della profondità la sua arma migliore, il classico ascolto da hi-fi che rende felici gli intenditori. La stratificazione dei vari inserti elettronici è encomiabile, e tutto è esattamente al suo posto: il risultato è un lavoro di soundscape impeccabile. L’insieme scorre fluido senza intoppi, andandosene proprio come è arrivato: quasi con timidezza, in punta di piedi. Non viene mai sferzato il fendente che mette KO l’ascoltatore, e le scorribande elettroniche non trovano mai un vero apice. Gli arpeggi digitali del disco si avvicinano all’approccio dell’ultima uscita di Max Cooper, che però con il suo Unspoken Word è andato più a fondo nella tana del Bianconiglio, scovando uno dei migliori dischi del 2022. Qui invece apprezziamo sempre il viaggio, e quasi mai la destinazione. L’apertura fluisce con un buon dinamismo, con la cassa tellurica di “World Turns” a scandire il tempo e con “Frontiers” che si erge come la prima vera svolta, con echi che ricordano il Nils Frahm più sperimentale. L’occhiolino al cosmo della classica moderna fa capolino anche durante ultimi scampoli dell’album (la closer “Quiet Home” ne è rappresentazione ottima), accendendo una nuova fiamma nelle trame ben oliate del producer inglese. Nel mezzo troviamo i soliti arpeggi e le classiche armonizzazioni sintetiche, un ascolto pieno che non disdegna derive ambient, come nel caso di “The Fade”. Ma si ha come la sensazione che Ryan stia usando una Ferrari per andare dal salumiere. Alla fine dei quasi 52 minuti (!) di Now Is si percepisce un senso di incompletezza, un sapore di mezza occasione persa. Al netto del fatto che dovrebbero essercene a centinaia, di occasioni perse di questo tipo

Ryan, è solo colpa tua: ci hai abituato troppo bene.