Prendere appunti #2

Tanti dischi di etichette grandi e piccole, autoproduzioni, sorprese e conferme ma anche qualche delusione. A voi la seconda puntata di Prendere Appunti (qui la prima). 

Elettronica

YATTA, Spirit Said Yes! (PTP)


Afro-americana con base a New York, Yatta fa parte della stranissima e curiosa scuderia PTP, quella di Eaves, N-Prolenta e via elencando. A primo acchito pare non c’entrare nulla con le produzioni di mr. Geng, ma in tutto Spirit Said Yes! aleggia una strana inquietudine che seduce, i brani sono spesso inframmezzati da orpelli fatti di un’elettronica campionata, voci distorte… Se “Ain’t Misbehavin” pare una rilettura di un pezzo tratto dal songbook di Erykah Badu, e la stessa sensazione si ha in “Desert Song”, “Cyborg” è invece quasi il suo opposto, per capirci pensate ad una sorta di Björk in modalità soul che canta sperduta nelle paludi della Louisiana, per non dire delle spiazzanti bordate noise di “We Never Went To Church”. Spirit Said Yes! è un piccolo gioiellino di electro-fi-soul-rock uscito in edizione limitata in cassetta che vi consiglio di fare vostro. 

BLANCK MASS, World Eater (Sacred Bones)

Benjamin John Power (metà dei Fuck Buttons) torna con questo moniker dopo Dumb Flesh, a far incendiare le piste da ballo più underground e alla moda del globo, attraverso un’amara riflessione sul ruolo dell’essere umano, oggi. Se “The Rat” pare un divertissement tra John Carpenter e la techno volutamente più truzza in versione rigorosamente finto-cheap, il resto non è da meno in quanto a persistenti pruderie electro: la sciapa e sinceramente confusa “Silent Treatment” o l’incedere ansiogeno e cinematografico di “Rhesus Negative”. Blanck Mass alle mie orecchie suona troppo come una prova di Daniel Lopatin in grana grossa: in “Hive Mind” o “Please”, ad esempio, ricorda parecchio Oneohtrix Point Never. Magari, alle orecchie di altri e meglio disposti ascoltatori, suonerà più interessante, a me invece ha detto proprio pochino.

AA.VV., Source Book 1 (raster-noton)

L’etichetta tedesca, da pochissimo divisasi di nuovo in due, compie vent’anni e giustamente celebra questo lungo e prestigioso percorso con un box-set che include un cd con inediti e corposo libro fotografico con interviste. Elettronico il contenuto, va da sé, a base di potenti e poco addomesticate ricette, caratteristica principale di una realtà-simbolo di un certo modo di pensare la musica d’oggi, d’altronde i nomi in catalogo sono esempi di sonorità metalliche e futuribili. La scuola musicale teutonica vanta una lunga tradizione, peraltro piuttosto eterogenea a pensarci. Ora, data la dilagante affermazione di sintetizzatori e laptop, le cose si sono stabilizzate per dare la stura a una corrente che ha dato prova di grande appeal, quindi tutto torna. I nomi sono i soliti, tra i molti presenti: ovviamente Alva Noto, poi i potentissimi Emptyset, Anne-James Chaton, Frank Bretschneider, qui con la squadrata “Termik”, si distingue in particolare l’incedere sornione di Byetone, mentre l’omaggio quasi spudorato agli Autechre in salsa downtempo di Senking non fa una bella figura, come la prova sostenuta di Kyoka, invero non memorabile. Per fan incalliti.

NESS, Trancemigration (The Gods Planet)

Ness è un dj di origini sarde – ma vive ed opera a Barcellona – che sta cercando di farsi notare tra la miriade di suoi più o meno bravi colleghi della scuola elettronico-techno italiana. “Trancemigration” parte bene, colpiscono le ritmiche sostenute ma mai banali di “Blue Planet” e le virate à la Drexciya di “Psychotecnologies”, che procede con grande scioltezza; c’è poi la prova prismatica di “De Vuelta”, sempre molto sorda, il suono in generale è come ingabbiato a forza in una struttura complessa e a suo modo l’insieme è quasi sadico e lascia poche vie di scampo. L’album però non raggiunge dei particolari climax, ma a conti fatti è espressione di una consapevolezza che porterà di certo l’autore a fare ancora meglio di questo già promettente esordio. Tenetelo d’occhio.

AGAN, Amplification Of Movements (Stochastic Resonance)

 

In acque profonde, parafrasando un libro di considerazioni cinematografiche (e non) scritto da David Lynch qualche anno fa. A questo ho pensato già al primo ascolto di Amplification Of Movements, licenziato dalla Stochastic Resonance, giovane etichetta con base a Roma. Non è un caso, dato che l’album si ispira alle acque del lago di Vico in provincia di Viterbo.
Agan si chiama in realtà Giuseppe Carlini ed ha già collaborato con Gianclaudio H. Moniri aka Plaster (un paio di dischi per la Kvitnu). “Energy Flow” è come un ideale e lunghissimo tuffo nella Fossa delle Marianne, i tiri melodici accennati della lunga “Unconscious Connections” e “Flying In A Blue Dream” danno quel tocco di diversità a un album cupo, magari non originalissimo ma pensato e fatto con buona cura dei dettagli e delle ambientazioni. Se son rose, etc. etc.

Cantautorato

GRISELDA MASALAGIKEN, Memorie Del Nervo Ottico (Skank Bloc Records)

Torna Griselda Masalagiken, cantautore di stanza negli USA che avevamo già notato alla cassetta d’esordio, I Demoni Nel Taschino del 2012. In Memorie Del Nervo Ottico l’appartato autore condensa melodie agrodolci (“Io Vorrei Solo Svenire”), omaggi ad Elliott Smith nella calligrafica “Comode Rate”, l’honky tonk piano di “Canzone Alla Deriva”, dove si citano in poche battute Mallarmè e Belzebù (qui il fantasma di Lucio Dalla danza divertito), e l’andamento quasi slow-core della ballata “Film”. Masalagiken dimostra di possedere una scrittura pratica ma sapida, è abile nel mescolare gli elementi stilistici (gli arrangiamenti) e nell’incastrare le parole all’interno della musica, succede nella malinconica “Maluk”, non è mai cosi semplice come sembra, anzi… Cercate il disco tramite il sito della sua piccola etichetta, la bolognese con base parigina Skank Bloc. Eh, quella citazione del geniale pezzo degli Scritti Politti…

MT. ZUMA, S/t (More Letter Records)

I bolognesi Mt. Zuma fanno il loro esordio su cassetta con una manciata di pezzi che sostanzialmente trova ispirazione, ai limiti del calligrafico va detto, in canovacci punk-hardcore à la Bad Religion, ma in salsa più agrodolce: l’apertura di “The Matter With You” lascia poco all’immaginazione, mentre “Twenty-Four” si muove in ambiti grunge e punk-pop, più à la Dinosaur Jr.. “Sleepwalker” va da un’altra parte, è infatti una ballata indie-rock niente male, mentre la chiusura di “Frail” sembra volutamente pagare pegno ad altre ballate, quelle di sapore post-core di Sebadoh e compagnia suonante. Che altro aggiungere… che sono giovani, ci sanno già fare e la passione non manca, ora va solo capito se vorranno continuare su questa strada o se nel frattempo proveranno ad imboccarne altre.

GIANCARLO ONORATO, Quantum (Lilium)

Musicista lombardo di lungo corso (era negli Underground Life, band che si muoveva in ambito prevalentemente new wave attiva fin dalla fine degli anni Settanta), dopo Ex Live (in combutta con Cristiano Godano dei Marlene Kuntz) Giancarlo Onorato fa il suo ritorno con questo Quantum, album che lo vede praticamente solo al comando: con lui giusto un pugno di collaboratori, va segnalato in particolare il decisivo apporto di Marco Giuradei in fase di produzione. Spiccano brani come “Niente Di Te”, col suo efficace e languido pianismo, il funk-rock de “La Norma Dell’Attesa”, le più notturne “Invocazione Alla Notte” e “Scintillatori”. Il suo songwriting senza sbavature e gli arrangiamenti mai troppo eccessivi dimostrano che Quantum è una pubblicazione da apprezzare col tempo, senza nessuna particolare fretta.

VOUCHER BOY VS 35 EUROS, Ep (Autoproduzione)

È in free download dal loro sito Bandcamp questa collaborazione tra il triestino Lorenzo Fragiacomo e il messinese Alessandro Calzavara, meglio conosciuto come Humpty Dumpty. Questo ep serve ai due per intavolare un discorso che suona principalmente come uno sfogo indie-autorale che è ben evidenziato per mezzo di una scrittura consolidata, Fragiacomo le canzoni le sa scrivere, e anche il socio conosce il mestiere chitarristico a menadito. Nulla di particolarmente originale, va detto, forse lo stesso nome della band sembra più una boutade che un nome scelto seriamente, ma i brani ci sono, si ascolti la sardonica “Oh Donald”, le paturnie di “Sei Giorni”, la lamentazione di “Pacco Dall’Oriente”, qui si distinguono le tastiere, che danno del colore alla traccia. Credo si tratti di un assaggio, magari più in avanti potremmo ascoltare un disco più articolato.

Other Music

SYSTEM HARDWARE ABNORMAL, BUTZ (Stront)

Stefano Di Trapani è forse uno dei musicisti più irrequieti dell’underground di casa nostra: i progetti a suo nome non si contano, le uscite altrettanto. Stargli dietro è impegnativo, in fondo da dire qualcosa ce l’ha sempre avuta, anche quando sembra stia cazzeggiando, perché poi ascoltandolo meglio, dai suoi dischi escono fuori cose strambe, pure originali e folli, come questa in esame. BUTZ (dedicato nientemeno che al cane di Arthur Schopenhauer!), ennesimo parto col marchio System Hardware Abnormal (con lo zampino di Marta De Pascalis in fase di produzione), esce per un’etichetta olandese, la Stront (in catalogo gente con nomi tipo MAKAKAROOMA CRUDONGALONG, Vulvax, Wes Noise, gli oscurissimi Reynols). Dentro ci potete trovare paranoie à la Egisto Macchi sciolto incautamente nell’acido e perse in rivoli cine-noise, “Ambienti Climatizzati”, le svisate impro-horror-goblinesche di “Looking At Our Relationship On Facebook”, la violenta “Midlife Corea Crisis”, le ritmiche spastiche di “Heartbeat Like A Drug”. BUTZ è un lavoro piuttosto lungo come minutaggio, ma alla fine è meglio di una lavanda gastrica.

ENRICO FALBO, Tranceformer (Vulpiano Records)

Compositore campano, Enrico Falbo arriva alla seconda pubblicazione, questa su cassetta, dove le sonorità ricordano vagamente certi passaggi dei Metzengerstein più esoterici. Tranceformer, oltre ad avere un’intestazione che fa pensare a determinati rituali sciamanici e di conseguenza a un linguaggio psichedelico, sfocato apposta, è una prova direi sufficiente nel suo svolgimento. Non ci sono picchi memorabili, ma l’insieme mostra amalgama e certamente voglia di farsi largo tra la marea di produzioni simili, ma senza far troppo rumore, in questo caso solo in senso metaforico, per fortuna… Falbo, anche grazie alla passione per la musica indiana, lavora di stratificazioni fino a far idealmente decollare la sua proposta, tra vigorosi svolazzi kraut ed atmosfere tese, grazie ad evocativi passaggi percussivi, uniti come fossero un unico flusso sonoro. Al mastering un musicista che conosciamo bene: Attilio Novellino.

BARNACLES, One Single Sound (Boring Machines)

Dietro questo nome particolare (i barnacles sono i cirripedi, dei particolari crostacei) si cela Matteo Uggeri, instancabile agitatore noise che non ha mai smesso di far nascere nuovi progetti che si muovono in ambito più o meno improv-rock (Sparkle In Grey, Der Einzige e via elencando). One Single Sound (Uggeri precisa che Each of these four tracks is then built using only 1 drone, 1 field recording, 1 sampled drumbeat. Then a lot of effects) si caratterizza per un uso costante di ritmiche serrate e tappeti sonori cangianti: già la traccia di apertura, “I Hate A Barnacle”, chiarisce bene in che lidi siamo calati. Sempre rimanendo in tema di ritmiche tese, non sono da meno le fibrillazioni electro-noise di “As No Man Ever Did Before” e l’afflato all’apparenza zen, nella realtà in costante tensione, della successiva “Not Even A Sailor”, che nella progressione armonica – ancora non so bene perché – mi ha ricordato certe tracce più epiche dei June Of 44. In chiusura le brume cinematografiche di “In A Slow-Sailing Ship”, a sottolineare il viaggio tutto mentale e su acque melmose e agitate dal vento digitale del musicista lombardo, che rimane un esperto in fatto di atmosfere. Garantisce la fidata Boring Machines.

PAOLO SPACCAMONTI & PAUL BEAUCHAMP, Torturatori (Fratto9, Escape From Today)

I due musicisti di stanza a Torino se ne escono con un lavoro viscerale come Torturatori. Spaccamonti alle chitarre, Beauchamp a sega metallica ed effetti, fanno del loro meglio per architettare strutture armoniche dal sapore cinematografico, all’occorrenza funeste, come avviene in certi inquietanti passaggi della seconda traccia, la “Black Side” appunto, ma già nella prima (“White Side”, con ospite ad un’altra chitarra Gianmaria Aprile) si percepiva una maniera nervosa e poco accomodante di armeggiare le sei corde e gli effetti, d’altronde questo è un album collaborativo dove si sperimenta la loro propensione ad evocare più atmosfere, in sostanza si tratta di uno sfogo al quale poi è stato donato lo status di disco, che forse gli sta pure stretto, tanto l’insieme ricorda lo score di un film. Non è un caso che i due abbiamo partecipato qualche tempo fa ad una rassegna cinematografica dove accompagnavano delle immagini in movimento, a tratti davvero pare di stare a sentire dei Godspeed You! Black Emperor meno magniloquenti, solo che qui i Paoli mostrano una vena più rustica, meno tendente al progressive rock. Promossi.

Indie-rock

OAKS, The Sun Is Too Brilliant (Lepers Produtcions)

Sempre grazie alla factory pugliese Lepers Produtcions, questa volta facciamo la conoscenza degli Oaks, trio basso-chitarra-batteria ancorato a una forma di rock ormai storicizzata, tra post-noise-pop e sparate hardcore ma fatto con giudizio, insomma si sente che hanno ascoltato i dischi giusti (Minutemen? Karate?). “Brightest Place On Earth” è una bella commistione tra gli stili prima citati, mentre “Bones Are Made To Be Broken” sembra un richiamo a Gastr Del Sol e Storm And Stress, tutta filamenti chitarristici al sapore di ruggine. Non è da meno l’interessante samba revisited della conclusiva “How To Get Away Silently From Bil Danzerian’s Winter Party”. The Sun Is Too Brilliant regala quel che promette e fa la sua figura, confermando – provocatoriamente – quanto affermato sulla pagina Bandcamp dell’etichetta: 15 minuti con un sacco di idee, tutte confuse.

OLLA, A Day Of A Thousand Years (Dotto)

Vengono da Torino, sono in cinque e si muovono lungo un solco artistico riconoscibile, una chiara faccenda indie-rock la loro – nella press-page usano, non a caso, il termine indie-tronica – con cantato in inglese. Otto pezzi per ripresentarsi al mondo – dopo l’esordio di un paio di anni fa, A Serious Talk – altrettanti modi, simili a classiche variazioni sul tema, utili ai ragazzi per sublimare l’evidente passione per grammatiche ormai consolidate come quelle cui accennavo. Spiccano la tromba malinconica di Ramon Moro in “The Quicksands”, la melodia sofferta di “Gimme A Day” (qui ospite al violoncello Elena Diana, ex Perturbazione), la più granitica “Green Curtains”. Tutto suona bene ed è ben congegnato, questo è un dato che può dirsi oggettivo, mancano però un po’ di personalità, quel necessario tocco di follia che può fare la differenza. Insomma la stoffa c’è, il songwriting pure, però consiglio ai ragazzi di “perdersi” un po’, di solito fa crescere.

Post-metal

Daniele Brusaschetto, Demo ’17 (Autoproduzione)

Il musicista torinese ha alle spalle una storia lunga ed articolata, lo dimostra questo Demo ’17, che è praticamente un ripescaggio di session di registrazione avvenute a cavallo tra gli anni Ottanta e i Novanta. L’insieme è stato suonato e registrato nuovamente e sistemato in fase di mastering dall’amico Marco Milanesio, Brusaschetto ci ha aggiunto perfino dei testi nuovi (sono comunque in tre, lui alla chitarra, Francesco Lurgo al basso e Alberto Marietta alla batteria). L’operazione chirurgica è stata quindi parecchio profonda e di certo non indolore, deve essere ben strano ridare vita a canzoni rimaste nel cassetto per cosi tanto tempo. Tanto più se si considerano i vistosi cambiamenti nello stile stesso del musicista, che negli anni si è fatto apprezzare per la sua miscela tra cantautorato elettronico e svisate noise-pop in salsa da misantropo incallito. Qui invece siamo nientemeno che dalle parti di un (post)metal piuttosto tecnico, à la Voivod per intenderci – quasi slayeriano in “The Unreal Skyline” – e davvero sembra di essere tornati per un momento al 1990. Non c’è un pezzo che spicca tra gli altri, sembra di ascoltare un unicum, in fondo si tratta di un omaggio agli ascolti giovanili, di un divertissement che certamente non nasconde l’ironia del solo averla già pensata, una cosa simile. Gli estimatori di Daniele comprenderanno meglio il suo “da dove viene”, agli altri consiglio di stare alla larga.