PATERAS – PILIA – LA FORESTA, 30/7/2021

Le foto sono di Federico Sigillo

Modena, La Tenda.

Nell’immota afa estiva padana qualcosa si muove, e non è l’aria: la rassegna Orbite, che già venerdì 23 ci ha regalato Malaika Trio, con Filippo Orefice di Tell No Lies, Fabrizio Puglisi e Marco d’Orlando di Maistah Aphricah, propone un nuovo trio, con il local hero Riccardo La Foresta che, forte della fertile esperienza con il suo drummophone, torna a sedersi dietro la batteria e a suonarla, Stefano Pilia (se apro la parentesi coi nomi con cui suona e ha suonato non la chiudo più, ma oramai lo sanno tutti quelli che non vivono su Marte, mi auguro) alla chitarra e l’australiano Anthony Pateras a synth ed elettronica analogica, che era già stato protagonista di un workshop proprio a Modena nel 2020 con concerto finale per coro, pianoforte ed elettronica nello spazio La Torre. Insomma, con Galileo, e pur si muove! Fortunatamente c’è chi trova ancora spazio, ascolto, risorse ed opportunità per poter proporre dalle nostre progressistissime parti musiche divergenti, quindi un plauso a chi si occupa della rassegna, che proseguirà fino a settembre (per i dettagli seguite le pagine Facebook La Tenda e JazzOff).

Ci aspettavamo un concerto di impro ispida e selvatica, senza compromessi, ed invece siamo rimasti (piacevolmente) spiazzati da pezzi strutturati, quadrati, in movimento attorno a poche (ma buone) idee: bave di elettronica con un che di carpenteriano o del Morricone di Crime & Dissonance (pubblicato tempo fa dalla Ipecac di Mike Patton, sodale di Pateras nel progetto tētēma), il groove ricco e inventivo di La Foresta, la sei corde puntuale e chirurgica di Pilia. Siamo da qualche parte tra kraut rock e una library music incattivita e scura, tra i Can senza voce e ruggini fluttuanti nello spazio, con qualche parentesi addirittura che vira verso il black metal, come mood, con un incedere lento e minaccioso, trascinato ed inesorabile. Molto interessanti i pezzi con ritmiche dispari (una traccia sfoggia un travolgente 7/8 che non fa prigionieri) e curiosa la scelta di lavorare in qualche maniera in sottrazione, con pochi elementi ripetuti e ricombinati grossomodo sempre alla stessa maniera: i suoni minacciosi e minimali del synth, tra drone e colonne sonore per horror italiani, il drumming di La Foresta a cercare di resistere alla gravità, la chitarra a vagare circospetta tra abisso e nuvole di pioggia acida. Una specie di psichedelia che non ha nulla di freak, psichica, diremmo: il suono di una fine, perfetto per questa estate irreale, con la Siberia che va a fuoco e il mondo che manda diversi segnali di apocalisse dinanzi ai quali molti di noi fanno finta di niente. Era il primo concerto in assoluto di questo nuovo trio, le cui redini pare siano tenute saldamente in mano dal compositore classe ‘79 che viene dalla terra dei canguri ma è spesso in Europa (abbiamo recentemente ascoltato la prima di una sua composizione per flauto suonata da Manuel Zurria al Forlì Open Music organizzato da Area Sismica) e sembra proprio avere un legame speciale con l’Italia. Il pubblico apprezza molto, anche noi ci siamo divertiti e siamo rimasti, come detto, sorpresi. Senza voler aggiungere veleno in coda, riportiamo solo l’icastico commento di un amico a fine concerto: “Allora, ti sono piaciuti i This Heat?”