PAOLO SAPORITI, La Mia Falsa Identità

Il caso, la maturità, il giusto momento. Paolo Saporiti al nono disco in cinquant’anni se ne esce con La Mia Falsa Identità, disco magnum suddiviso in due capitoli: “Lo Sfratto” e “La Zattera”.

Lo fa affidandone la parte visuale ad Alessandro Adelio Rossi, che dipinge l’immagine di un’elegante signore d’altri tempi, frac e cappello, mise che Paolo mantiene per le foto che questo disco riguardano. Questo è un cantautorato che si svela soltanto a tratti, vestito con l’abito delle grandi occasioni con produzione di gran classe gestita da Raffaele Abbate e il lavoro degli strumentisti Alberto N.A. Turra, Lucio Sagone e Stefano Cabrera. La voce e l’asprezza di Paolo riportano alla scuola rock milanese, indole confermata anche dal progetto Todo Modo da lui condiviso con Giorgio Prette e Xabier Iriondo degli Afterhours, ma c’è un’atmosfera più indefinita, ombrosa, poetica in questi brani qua: si leggono sfumature e intensità maiuscole in un ambito che comunque ha offerto negli anni moltissimo e potrebbe sembrare demodé, ma ascoltatevi “Muore Un’Altra Balena” e non faticherete a immaginarla come un futuro classico. Poi i suoni di chitarre, di intimità, di affetto e di disfatta come “Lettere Dal Plotone”. È un disco che appare umano e onesto, che riesce a farti intraprendere un viaggio credendo a ciò che il nostro cantautore ha cucinato e messo in tavola per noi, con quello stile acidulo e pulito. Alcune portate si dimostrano leggere e nutrienti anche quando gli ingredienti farebbero pensare il contrario, come una suadente e intensa “Sei Bellissima/La Dignità Di Elena”, che ci porta nel pulsare di un rapporto ancora vivo, una “Be Your God” che bilancia elegantemente i “conti angolofoni” di Paolo con il passato e “Un sogno Ancora Da Inventare”, vera e propria gemma storica e fantasiosa, con l’oboe di Mario Arcari a soffiare con il vento, … convinti di fare il nostro bene.

La costante impressione, anche con l’inizio de “La Zattera”, è quella di trovarsi di fronte ad un disco e a un cantautorato di una pasta sostanzialmente differente e più pura rispetto a quello sul mercato, come mangiare una fetta di pane fatta da un artigiano rispetto ad un precotto da discount, senza che però questo si sposi con un atteggiamento di superiorità o di presunzione. Leggera eleganza e intensità, sempre. Brani come “So Navigare Benissimo” sposano intentiva, animo rock “largo” e travaglio, proprio come la zattera in copertina. Poi lame come rasoi, fra violenze e razzismo in lucciole, cori greci e falci nere, la costante impressione di aver di fronte canzoni curate, con testi mai scontati e che ci accompagneranno a lungo.

Certo, questa è solo una recensione e sarà il tempo a dirci se avremmo ragione ma di sicuro – insieme a La Vita Nel Frattempo di Giuliano Dottori – il cantautorato italiano ha segnato standard difficilissimi da raggiungere per chiunque.