Nicola Fazzini: inventarsi qualcosa di nuovo

Sassofonista, didatta, direttore artistico. Milanese ma veneziano di adozione, protagonista con l’XYQuartet (con il bassista Alessandro Fedrigo, il vibrafonista Saverio Tasca e il batterista Luca Colussi) di StraborDante, viaggio musicale in nove tappe nell’Inferno di Dante, fondatore con Alessandro Fedrigo di nusica.org, che nasce nel 2011 con lo scopo di documentare il jazz e la musica di ricerca e prende forma di etichetta discografica open content, organizzatrice di festival e concerti, promotrice di lezioni, incontri e workshop.
Siccome il disco in questione ci ha fatto drizzare le orecchie, ci sembrava il caso di approfondire.

Mi racconti come nascono l’idea del disco su Dante e quella di coinvolgere John De Leo?

Nicola Fazzini: Il progetto è nato da un’idea di Federico Pupo, Asolo Musica: realizzare uno spettacolo multimediale in occasione dell’anno di Dante. Personalmente non amo i progetti costruiti per via di ricorrenze ma la sfida di confrontarsi con un’opera così impegnativa e con la musica antica era molto stimolante e abbiamo deciso di farlo in chiave contemporanea, senza venir meno all’estetica che ha contraddistinto XYQuartet, il progetto che io e Alessandro Fedrigo portiamo avanti ormai da più di dieci anni.
Riguardo a John, abbiamo pensato di uscire dallo schema classico (attore di prosa accompagnato dalla musica) e abbiamo cercato una figura che potesse avere un ruolo di sintesi tra parola e musica. Mia moglie Serena, che è mancata lo scorso anno, musicista molto sensibile, ebbe la felice intuizione di John, le cui vocalità e capacità interpretativa sono state veramente perfette per questo progetto.

Come avete lavorato in studio? Improvvisazione, composizione? Come si mette in musica Dante? C’è un mood generale abbastanza scuro nel disco.

Abbiamo costruito il progetto grazie a una residenza presso il Teatro Salieri di Legnago, frutto della felice e inaspettata coincidenza di due bandi, quello del MIC e della Regione Veneto, che ci hanno consentito, grazie alla drammaturgia di Vincenzo De Vivo e ai video di Francesco Lopergolo, di realizzare uno spettacolo live e di registrarne l’audio in presa diretta appoggiandoci allo studio mobile Artesuono di Stefano Amerio.
Siamo partiti da una selezione di testi di nove Canti dell’Inferno, che nello spettacolo si realizzano in un flusso unico e continuo. Per la parte musicale abbiamo utilizzato un materiale che parte da alcuni elementi di musica antica: ad esempio la presenza del numero 3 nelle sue molteplici emanazioni ritmiche e melodiche, la presenza dell’intervallo di quinta, un certo tipo di andamento melodico e la modalità.
Abbiamo rielaborato alcune musiche antiche (Marchetto da Padova e Laudario di Cortona), scritto appositamente alcune composizioni strutturate, utilizzato dei frammenti per parti improvvisate utilizzando l’elettronica, in particolare grazie alla rielaborazione in tempo reale di Franco Naddei.
Credo ne risulti un lavoro complessivamente “oscuro”, così come ci siamo immaginati queste visioni infernali, inquietanti, disperate, astratte e oniriche.

Vivere all’italiana in musica jazz – Nusica.org – StraborDante. Viaggio musicale in nove tappe nell’Inferno di Dante from italiana on Vimeo.

StraborDante avrà un seguito?

Non saprei, ci piacerebbe, ma è stata una produzione impegnativa (per risorse ed energie): ci ha consentito di esibirci in diversi contesti, considerando anche il problema pandemico, ma ci saremmo aspettati qualcosa di più… ma, si sa, sono tempi complicati per produzioni costose e coraggiose.

Quali sono i tuoi progetti attivi al momento? Sono tutti riconducibili a Nusica?

Io ho vissuto e sto vivendo un un periodo difficile in cui sono stato costretto a rivedere il mio piano di vita, per così dire. Ho cominciato a insegnare Composizione Jazz al Conservatorio Tartini di Trieste, cosa devo dire molto stimolante, perché sto studiando cose nuove e vecchie e sento il bisogno di formulare e riformulare in modo chiaro alcuni aspetti della mia musica. Mi piacerebbe trovare il tempo per dedicarmi maggiormente a comporre e arrangiare per ensemble più ampi del quartetto jazz. Ho conosciuto un giovanissimo chitarrista abruzzese, Muhssin Piizi, uno dei migliori talenti che abbia mai incontrato e con il quale quale, nonostante i molti anni di differenza, sento una grande affinità artistica. Con lui spero di registrare e suonare dal vivo, prima di diventare o io troppo vecchio o lui troppo famoso e impegnato..
Poi c’è XYQuartet con Alessandro Fedrigo, un progetto a cui sono molto legato per tutto il percorso fatto in questi anni. Stiamo pensando a un nuovo disco, ma stiamo riflettendo su come realizzarlo. In qualche modo sentiamo inattuale, sterile e inadeguata la classica progettualità di produzione discografica. Ci chiediamo se in questo mondo così cambiato, nell’ambito della musica non commerciale sia possibile inventarsi qualcosa di nuovo per comunicare ed esprimersi in modo più compiuto e gratificante.

Il tuo primo ricordo musicale?

I vecchi vinili che ascoltava mia madre (Pink Floyd e colonne sonore), il regalo di una fisarmonica di plastica e il mio primo concerto da bambino, Severino Gazzelloni (ne ho detti tre…)

Cinque dischi fondamentali nel tuo percorso.

Da ragazzo i bootleg di Charlie Parker, My Favorite Things di Coltrane e La Sagra Della Primavera di Stravinsky. In tempi più recenti Travail, Transformation And Flow di Steve Lehman e Synovial Joint di Steve Coleman, aggiungo Are You Experienced di David Lang. Ma è difficile, ce ne sono stati talmente tanti… e poi ancora più importanti i concerti live: sentire, vedere e percepire i musicisti da vicino e di persona è un’altra cosa. Forse dovremmo riscoprire la dimensione dal vivo. Poi i musicisti con cui ho avuto occasione di condividere del tempo che hanno lasciato traccia in me: Karl Drewo, Maurizio Caldura, Enrico Rava, Pietro Tonolo, Miles Okazaki, Steve Lehman, Amir Elsaffar.

Il tuo punto di vista sulla musica creativa in Italia oggi: colleghi, pubblico, critica, locali, festival. Differenze con l’estero ed esperienze da te vissute in prima persona fuori dai nostri confini.

Questa è difficile. Non la vedo molto in salute la musica creativa in Italia (almeno quella vicina al jazz che più conosco). Non lo era molto nemmeno prima, direi che le chiusure del Covid sono state la mazzata finale, per non parlare della situazione economica. Sicuramente si sono avviati nel jazz dei processi di valorizzazione dei giovani e per favorire l’eguaglianza di genere, e questo è positivo. Però il resto il sistema (pubblico, critica, locali, festival) è rimasto lo stesso di prima, per cui il rischio è che sia un’operazione sterile per quel che riguarda contenuti e creatività.
Vedo molti musicisti creativi, che per me almeno lo sono anche la domanda su cosa sia creativo forse richiederebbe una riflessione a parte, completamente assenti dai cartelloni di festival e manifestazioni. Le line-up sono cristallizzate da ormai vent’anni sugli stessi big e questo, al di là del valore e dell’ indiscutibile capacità di questi, non è un buon segno per la creatività. Inoltre da qualche anno è richiesto un livello di imprenditorialità individuale di cui un artista alle volte per mancanza di propensione, risorse economiche può non essere capace di farsi carico. Non tutti sono social, non tutti possono ingaggiare un ufficio stampa o avere accesso a management efficaci o banalmente avere le risorse per autoprodursi. Per cui l’accesso alla produzione culturale, nonostante sembri democratico, facile e immediato, nella sostanza non lo è affatto e si disperdono energie e potenzialità. Un vero peccato.

Le mie esperienze all’estero sono state molteplici: negli anni Novanta ho studiato in Austria ed è stato un periodo molto formativo e tuttora sono molto legato al mondo Mitteleuropeo da un punto di vista del lavoro e delle amicizie. Paradossalmente in Italia, allora non ancora strutturata in dipartimenti di jazz nei Conservatori, percepivo un maggior fermento creativo. C’è sempre questa polarità tra accademizzazione e creatività. In Francia ho trovato molte musiche stimolanti o “bien fou” come dicono loro e un mondo lavorativo ben strutturato e con opportunità, forse un po’ troppo Parigi-centrico e protezionista. Per il resto, una volta rientrato in Italia nel 2000 ho avuto molte occasioni di lavorare all’estero: grandi stimoli da Canada e Stati Uniti, ma anche loro sono tendenzialmente protezionisti. In Asia c’erano prima della pandemia grande interesse e opportunità lavorative, in Europa ho riscoperto i paesi dell’Est, che hanno una grande tradizione musicale, ottimi musicisti e mi sembra ancora una cultura di fruizione musicale sociale semplice, intergenerazionale e aperta forse ancora non completamente succube dei modelli di consumo che ormai da noi vengono considerati scontati anche a livello di politiche culturali.

Cosa stai ascoltando in questo periodo?

Sto ascoltando Josquin de Pres, Ockeghem e altri compositori tra la seconda metà del XV e il XVI secolo perché sto approfondendo il contrappunto, e in particolar modo mi incuriosisce il pensiero della musica antica, che nella mancanza dei parametri noti affermatisi successivamente (tonalità, armonia funzionale, notazione mensurale), risulta estremamente moderno e stimolante.
Poi in questo periodo spesso ascolto Morton Feldman e Luigi Nono.
Per il jazz sto scoprendo la musica di Matt Mitchell. Il live di Steve Coleman al Village Vanguard II, molto intenso.