MARY HALVORSON’S CODE GIRL, Artlessly Falling

Pubblicato il 30 ottobre da Firehouse 12, due settimane dopo i quarant’anni della sua autrice, Artlessly Falling è il secondo capitolo di Code Girl, uno dei tanti progetti della multiforme Mary Halvorson, qui in sestetto con Amirtha Kidambi (voce), Maria Grand (sax tenore e voce), Adam O’Farrill (tromba), Michael Formanek (contrabbasso) e Tomas Fujiwara (batteria). Ai primi ascolti il disco, complice quello che continuo a trovare in parte come un difetto della leader, cioè la sua compostezza e il suo essere a volte vagamente professorale e/o troppo rispettosa di un certo galateo avant, mi aveva lasciato qualche perplessità. Poi, tornandoci a più riprese, il lavoro ha fatto breccia. Otto riuscitissimi tentativi di allargare le maglie della canzone per farci entrare la grammatica aperta del jazz, benedette in tre occasioni dalla voce di una guest per cui la parola speciale è poco: Robert Wyatt. Già dall’arpeggio sghembo e delicato dell’iniziale “The Lemon Trees” le cose si mettono subito in chiaro; siamo nell’Inghilterra del Sud a fine Settanta, la voce limpida e ferita di Wyatt illumina una struttura che rimanda proprio ai suoi dischi solisti, con la tromba di O’Farrill a sorvolare e ad aggiungere spezie jazz ad una pietanza cucinata con maestria e devozione nei confronti di una vera e propria leggenda vivente, che con la sua musica ha saputo far innamorare sia gli adepti del jazz meno composto e bacchettone, sia quelli del rock meno muscolare e retorico. L’architettura melodico/ritmica del pezzo lascia spazio anche ad una digressione improvvisata di Fujiwara alla batteria, che ci riporta poi in una nenia antica ed istantaneamente classica. La scrittura di Halvorson, qui impegnata anche ai testi, tutti in forma poetica (interessante “Last-Minute Smears”, un “poema ritrovato” basato – non saprei dire se nella realtà o se di artificio letterario si tratti – sulla testimonianza davanti al Congresso degli Stati Uniti di uno dei giudici della Corte Suprema, Brett Kavanaugh, protagonista di un caso di molestie sessuali) è inappuntabile, pure gli episodi con Kidambi alla voce proprio alle sghembe canzoni quasi jazz dell’autore di Rock Bottom riportano, anche se in questi frangenti il quasi scompare, per dare campo a un dettato punteggiato da un incedere che sta da qualche parte tra l’articolazione – sommariamente – prog e l’ampiezza di minisinfonie tascabili (il respiro largo e denso di pause e ripartenze proprio di “Last-Minute Smears”). Musica minuziosamente scritta e curata in ogni dettaglio, dove come sappiamo si annidano i diavoli: benvenuti deragliamenti uptempo con eruzioni quasi noise di Halvorson nella altrimenti immacolata Walls And Roses, un proiettile avvolto in un bocciolo. La chitarrista di Pittsburgh, non è una novità, padroneggia linguaggi diversi (parliamo di una musicista capace di spaziare da collaborazioni con Kevin Shea di Storm & Stress ad Anthony Braxton, per dirne solo un paio) ed è capace di coniugare tutti gli alfabeti in un suo mondo, personale e coerente. Ascoltate il virtuosismo lunare dell’incipit di “Muzzling Unwashed”, quasi undici minuti che hanno la profondità di un’orchestra da camera raccolta in una scatola da fiammiferi. Pezzi profondi e cantabili, a presa rapida eppure capaci di svelare nuove prospettive anche dopo ripetuti ascolti (merita una menzione il lavoro sulle armonie vocali di Kidambi e Grand). Anche l’aspetto testuale necessiterebbe un approfondimento, ma chi scrive non mastica sufficientemente bene l’inglese per potervisi cimentare.
Mi rifugio allora nella citazione dell’attacco di “Mexican Street Wars (Pittsburgh)” – all’inizio non così lontana da certi Dirty Projectors, per poi planare chissà dove – e che forse racchiude con cura il senso e l’intenzione di questo disco accogliente, perfetto per lenire i malanni dell’inverno del nostro scontento e i cui meriti vanno al di là dell’evento comunque straordinario di averci riportato alle orecchie la luminosa voce che ci parla dai tempi della fine del nostro orecchio (The End Of An Ear, per i non wyattiani, uno dei tanti capolavori del nostro). The nostalgia: instant.