Mark Nelson (Pan•American/Labradford): dire di sì al nuovo

Kranky (Chicago) è una meravigliosa etichetta indipendente e forse una delle più note ancora in vita: Grouper, Tim Hecker, Godspeed You! Black Emperor, Low, Stars Of The Lid, Loscil, Charalambides, Benoît Pioulard, Windy & Carl, Jessica Bailiff… Il suo primo numero di catalogo è l’esordio dei Labradford, Prazision, uscito praticamente trent’anni fa. I Labradford (Richmond) sono stati un trio (un duo, all’epoca di Prazision) molto importante nello scenario post-rock internazionale: sono spesso portati come esempio per spiegare una definizione che è stata usata in tutti i modi (post-rock a un certo punto era qualunque cosa) e sicuramente sono anche un buon modo per dare un’idea a qualcuno di che cos’era e che cos’è il sound della Kranky, che è indefinibile eppure è familiare a chiunque ascolti i dischi di quest’etichetta. Mark Nelson è stato il chitarrista e la voce dei Labradford, tanto per capire chi abbiamo di fronte. Ha mandato avanti negli anni il suo progetto Pan•American, da solo o collaborando, ad esempio con Steven Hess, che è un musicista in cui ci siamo imbattuti spesso (con Steven e un altro Labradford ha fondato anche gli Anjou). Pan•American, nella mia mente, è un possibile sviluppo più ambient e più vulnerabile dei Labradford: l’ultimo album, A Son, in qualche modo è più vicino alla forma canzone, mentre dischi come Quiet City o For Waiting, For Chasing sono pezzi che non dovrebbero mancare nella collezione di chi ascolta quei musicisti che piegano il suono della loro chitarra in chiave ambient, arricchendolo di volta in volta con elettronica, percussioni o altri elementi che possano darne una versione nuova anche se sempre riconoscibile. Ho scritto qualche domanda via mail a questo gigante perché sta suonando in Italia e sarà a Transmissions mercoledì 24 novembre, con in apertura un futuro gigante come Andrea Belfi. Non ho capito se a un certo punto improvviseranno qualcosa insieme, ma se fosse così odierò tutti voi che sicuramente andrete a vederlo, vero?

A New Noise siamo vecchi. Molti miei collaboratori mi hanno proposto di chiederti di condividere giusto un ricordo (quello che vuoi) dell’album omonimo dei Labradford, che è il nostro preferito.

Mark Nelson: Mi sa allora che devo essere vecchio anch’io! Mi ricordo un episodio accaduto nello studio di Richmond (Virginia) dove abbiamo registrato quel disco. Lo studio si trovava al terzo piano di un palazzo in Broad Street, una delle vie più trafficate di quella città. Era la prima volta che lavoravamo con strumenti diversi da synth, basso e chitarra. Bobby, il bassista, aveva trovato vecchie catene e un grosso tubo del gas: li facevamo rotolare sul pavimento e registravamo i suoni. Era qualcosa influenzato dagli Einstürzende Neubauten di sicuro, ma divertente. Avevamo pure un violino su quel disco, suonato da un collega-amico di Bobby. Era davvero un periodo divertente. Ci sentivamo molto liberi e aperti a ciò che il nostro sound sarebbe potuto diventare.

A New Noise siamo anche grandi fan di Steven Hess e dei suoi progetti: Locrian, Ural Umbo, Cleared… solo per dirne alcuni. Come definiresti la tua relazione artistica con lui?

Steven è grandioso. Non ho registrato con lui negli ultimi tempi, ma sperabilmente lavoreremo insieme su qualcosa nel 2022. È un musicista molto sensibile e attento, uno di quelli che è più impegnato a suonare ciò che il pezzo o il progetto necessita anziché a esibire il suo sound o la sua tecnica. È anche una persona con cui è facile stare, senza mai tensione o stress sia dal vivo, sia in studio. Per questo quando lavoriamo assieme siamo sempre come amici e quasi sempre la vediamo allo stesso modo sulle tracce.

Quest’intervista accade perché c’è il Transmissions Festival. Suonerai lì. Dustin O’Halloran suonerà lì. Quindi ci sarà una piccola delegazione della Kranky a Ravenna. Una volta ho passato un pomeriggio nella mia città con Benoît Pioulard e lui mi ha descritto Kranky come una famiglia. Quale è la tua descrizione?

C’è sempre stata una connessione e c’è sempre stato supporto reciproco tra gli artisti dell’etichetta, anche se non conosco la maggior parte di loro. Sono amico da sempre di Adam e Brian (Stars Of The Lid), e anche Windy e Carl sono persone che conosco e alle quali voglio bene come se fossero amici. Ci sono artisti più nuovi della Kranky che non ho mai incontrato, ma coi quali sento in ogni caos un legame, ad esempio MJ Guider ed Earth And Sea. Per quanto mi riguarda, se tu ti sei guadagnato la fiducia e il rispetto di Mr. Kranky, allora sei un mio amico. Ogni artista Kranky può dormire da me se c’è bisogno, ad esempio.

Personalmente, amo For Waiting, For Chasing, ma sono meravigliato dalla nudità del tuo ultimo album, A Son. Io direi che hai mostrato la tua vulnerabilità con questo disco, però a me interessa sapere cosa pensi di aver mostrato tu…

Forse sei abbastanza vicino a quelle che erano le mie intenzioni, un tentativo di scrivere canzoni semplici, dirette e oneste il più possibile. In questi ultimi anni mi sono scoperto più interessato alla chitarra e al songwriting che al sound design e alla produzione, perciò penso che questo sia ciò che si vede subito in A Son.

I Labradford all’inizio erano ispirati dalla corsa allo Spazio. Pan•American origina ovviamente dal nome di una leggendaria compagnia aerea nata in quella che era un’Età dell’Oro. Secondo te la tua musica è ancora legata a viaggi e voli? O è diventata più intimista?

Domanda interessante a cui rispondere dopo 3 settimane di tour nel mezzo (o poco dopo il mezzo) della pandemia. Viaggiare è importante per me, ma non sono sicuro sia qualcosa che mi piaccia molto. È importante per me dire sì alle novità anche se stressanti. Per tornare alla domanda, per certi versi il viaggio è molto intimo, sei da solo con te stesso e con la tua capacità di rimanere sano e capire il da farsi. Mi manca la mia famiglia, la comodità di casa, ma sì, penso che il movimento e le transizioni siano aspetti della vita ancora molto legati alla mia musica.

Hai una tua voce, un tuo stile personale. I giornalisti racconteranno la tua storia scrivendo degli anni appena passati, perché tu (e i Labradford) hai detto qualcosa di diverso, qualcosa di nuovo. Chi sta dicendo oggi qualcosa di nuovo nel mondo della musica alternativa/underground?

Posso solo parlare delle cose che ho ascoltato, ma sono sicuro che ci sia in giro molta musica entusiasmante e interessante di cui non so ancora nulla. Specialmente il mondo della musica elettronica avrà novità, ma io non lo seguo più da vicino. La prima che mi viene in mente è Mary Halvorson, una delle chitarriste più originali alle quali posso pensare in questo momento. La considerano jazz, ma non penso sia una descrizione affidabile. Lei suona seguendo un suo stile che non è mai ciò che ti aspetti. Adoro il suo disco di chitarra solista Meltframe. Amo ciò che Joshua Abrams e la sua Natural Information Society stanno facendo, suona molto fresco a me, eppure anche con delle radici. Il disco con cui Makaya McCraven ha creato nuova musica per la voce e lo spoken word di Gil Scott Heron rappresenta per me una grande conquista. Eccotene tre, quindi. Per il resto ho comprato un sacco di dischi country del periodo compreso tra i Cinquanta e i Settanta, perciò sono un po’ fuori partita quando si parla di musica nuova, a essere onesto.

Che tipo di ascoltatore sei oggi? Hai adottato i servizi di streaming? Ascolti musica dallo smartphone o hai bisogno di sederti e mettere un disco sul piatto?

A casa cd e dischi, e uno stereo tradizionale. Alla fine è quello che preferisco. Mi piace muovermi per la casa, con la musica che rimane in un posto e io la sento in modo diverso da stanze diverse. Uso lo streaming al lavoro ed è figo, i vantaggi sono ovvi. Ho anche ascoltato qualche podcast l’anno scorso, e questa è una novità. La mia famiglia mi ha regalato degli air pods di recente e pian piano sto cominciando a usarli, anche se non sopporto di averli nelle orecchie troppo a lungo. Non mi sono mai piaciute molto le cuffie, anche se sono utili a volte. Non ascolto musica tutto il giorno, non sono quel tipo lì. Una o due cose al giorno sono forse abbastanza per me. Mi piace la musica come eccezione al silenzio, non come rimpiazzo del silenzio.

Cosa deve aspettarsi il pubblico di Transmissions dal tuo live?

Molta chitarra solista. Un po’ d’elettronica e poi altri layer di chitarra!