LUMINANCE RATIO, Uncanny Valley

Un giorno capirò perché Midira, tedesca, si occupa così tanto di italiani. Quest’anno tocca – anche – ai Luminance Ratio, una storia raccontata troppo poco. Abbiamo riempito per anni spazi in Rete e su carta (molto, molto meno nella realtà) con ogni tipo di revival kraut spinto dall’estero, ma non abbiamo saputo far girare il personalissimo ambient/psych scaturito da un nostro “supergruppo” underground. È come se non riuscissimo mai a salire quel gradino in più che ci permetterebbe davvero di avere uno scenario “sperimentale” più consolidato.

Oggi i Luminance Ratio sono tre (Gianmaria Aprile, chitarra e moltissimi effetti, Luca Mauri, chitarra e moltissimi effetti, Luca Sigurtà, synth e loop; rimane fuori Andrea “Ics” Ferraris, che nel frattempo ha scritto “Disconnection” sull’hardcore italiano novantiano) e prendono le mosse dalla (o vanno a occupare la) zona perturbante, teoria sui robot di cui non sapevo niente e che per me durante l’ascolto è stata poco più di una suggestione. Come nel caso di Reverie del 2013, sembra esserci una dialettica tra ripetizioni ipnotiche e gli squarci destabilizzanti dell’improvvisazione. È una sorta di flusso di coscienza, ma in qualche modo guidato. Siamo su di un treno o una macchina, siamo entrati in una galleria interminabile, corriamo a velocità costante, entriamo in una specie di trance, ma ci sono luci strane e bagliori che ci scuotono dal torpore. Oppure: siamo con loro nel “sogno condiviso” di “Inception”, solo che non vogliono né ammazzarci, né rubarci qualcosa. Il problema, a fine disco, è che quella cazzo di trottola continua a girare.