Le note sbagliate di Nashazphone

L’etichetta di Hicham Chadly (sodale di Alan Bishop nella Sublime Frequencies), la cui base è a Il Cairo, torna con una serie di uscite davvero singolari, tra conferme e inaspettate ristampe (in catalogo ci sono già nomi di una certa caratura come Smegma e Ashtray Navigations). Ci siamo pure chiesti del perché avesse adottato tale nome e – interpellato via email – Chadly ci svela l’arcano: “nashaz” sta per “stecca”, dunque aggiunto a “phone” risulta come “nota sbagliata”, un errore insomma.

Una cinquina stortissima…

Costes

Definire Jean-Louis Costes un outsider è poco. Il musicista francese è la chiara espressione di un talento fuori dal comune, più un attore che un cantante vero e proprio, pensate a GG Allin che si invaghisce della chanson française, vituperandola e seviziandola col coltello tra i denti. Occorre immaginare un fantoccio che si anima all’improvviso e sciorina nenie in salsa bruitisme (“La Seule Solution”) o decanta convintamente il suo amore per le droghe (“La Drogue, La Morte, La Nuit”) o ancora si esibisce proprio in una canzone d’amore, ma scontornata da inutili smancerie (“Amour Eternel”). Pas Encore Mort è un disco che vide la luce nell’ormai lontano 1997 (si sente, soprattutto nelle chitarre, come quelle quasi à la Foetus in “Rien A Ajouter”). Ce lo ricordano le note vergate per l’occasione da Lisa Carver, attiva a fine Ottanta come Suckdog, che ebbe la sventura di suonare un po’ di tempo assieme a Costes. Sempre nelle note Lisa confessa: “I love and hate this album”; ma in fondo preferisce ricordarlo con affetto, ovvio. (Maurizio Inchingoli)

shalabi

Canadese, ma di origine egiziana, Sam Shalabi è un polistrumentista e virtuoso dell’oud (il liuto arabo dal manico corto) che non ha mai tranciato i legami con la propria terra d’origine, anzi ha affermato la sua predilezione per Il Cairo per dare forma alle sue composizioni. Lo abbiamo già ascoltato quest’anno nei Dwarfs Of East Agouza assieme a Maurice Louca e Alan Bishop (facile incappare nel nome di quest’ultimo e nella sua Sublime Frequencies quando trattiamo di musica proveniente da certe aree del Nord Africa). Isis And Osiris è diviso in due lunghe tracce, ragionevolmente registrate dal vivo a giudicare dagli applausi finali. La prima è decisamente cinematica, lo strumento di Shalabi passa da evoluzioni vorticose a un finale prezioso, di grande raffinatezza: nel mezzo anche la batteria, che dai pochi tocchi sui cimbali trascina il pezzo in un turbinio free jazz. Nella seconda l’oud diventa pensoso e malinconico, finanche nervoso – intensità e volumi variano in continuazione – con campioni e bordoni noise ad arricchire e complicare il tutto: al centro c’è la voce, in doppia veste inglese-araba, che recita quella che sembrerebbe una lettera aperta al presidente Obama. Un disco non facile, a suo modo “politico”, ma che si lascia apprezzare quantomeno per l’oud di Shalabi, che suona in maniera fortemente espressiva e moderna, lontana dalla tradizione più paludata. (Angelo Borelli)


5599

La cifra 5599 indica gli anni di nascita dei protagonisti di questo progetto: 1955 è quello di Jean-Marc Foussat, sperimentatore e improvvisatore di lungo corso, qui alle prese con un EMS Synthi AKS. Il 1999 è invece l’anno di nascita di Augustin Brousseloux, enfant prodige, sassofonista e chitarrista, già collaboratore di Costes e Noël Akchoté. Heureusement Que Le Sang Seche Vite è una continua lotta fra le macchine impazzite del primo e il sax ferino del secondo, un gioco di pieni e vuoti, di contrasti fra momenti di attesa e altri di tensione che si scaricano di colpo in forma di rumore. Più entropica, a tratti violenta, la prima facciata, con attimi di tregua in cui Brousseloux imbraccia la chitarra e fraseggia libero, disturbato solo ogni tanto dalle scosse maligne del sintetizzatore. Più organica la seconda, in cui si accumulano strati di suono fino al parossismo più bruitista: qui a condurre il tutto sembra Foussat che, animato da un folle desiderio di disfacimento, termina il volo verso i fili dell’alta tensione. (Angelo Borelli)

elg

Laurent Gérard, in arte Èlg, è il classico personaggio oscuro che scopri perché addosso hai della ideale carta moschicida invece che banali vestiti, a furia di avere a che fare con dropout… Mauve Zone è un immaginario tableau vivant utile a rappresentare il male di vivere del francese. Il suo è come un rock (termine da usare nella accezione più ampia possibile) esistenzialista fatto di un collagismo ardito, con voce teatrale e ieratica appoggiata su basi al ralenti (il disco è diviso in due articolati ed estenuanti “movimenti”). Inesorabile e infetta la proposta, d’altronde per uno che ha collaborato con Ghédalia Tazartès (se ne sente la eco nel secondo lato in particolare) e nel duo chiamato Opéra Mort cosa vi potete aspettare? Lavoro perturbante questo, come un “affascino” che cattura e non ti lascia più. Per Laurent si tratta della seconda uscita su Nashazphone, ma in passato ha avuto pure a che fare con la milanese Hundebiss e con NO=FI Recordings… il mondo è davvero minuscolo. (Maurizio Inchingoli)

porest

Mark Gergis è nato in California da padre iracheno; nel 1993 dà vita al suo progetto Porest, fondandolo sulla ricerca e sull’accumulazione di materiale delle più disparate provenienze, dal Medio Oriente delle radici familiari, passando per la musica delle radio messicane alle cassette comprate nei minimarket vietnamiti o cambogiani. Insomma quella di Gergis per musiche così drasticamente diverse dalla cultura a cui, in fondo, egli stesso sente di appartenere, è una curiosità che ha radici profonde. Noto per aver scoperto (meglio: portato in Occidente) la musica di Omar Souleyman e strettamente implicato nella nascita di Sublime Frequencies, Gergis continua la propria ricerca sonora e lo fa mettendo su bizzarri collage sonori come questo Modern Journal Of Popular Savagery, che in alcuni episodi può ricordare i Free Form Freak-Out dei Red Crayola. Il disco è un concentrato di psichedelia bislacca, campioni vocali passati al tritacarne, assoli al cianuro (nella quarta traccia è ospite Richard Bishop), falsi dabke, taglia e cuci radiofonici e altro ancora. Il tutto concorre a creare il ritratto sgranato di un’America confusa fra multiculturalismo e paura del prossimo, una specie di foto-mosaico sonoro in cui le molte immagini diverse vengono poi a creare un’unica grande figura, che a guardarla da vicino fa quasi male agli occhi, ma più ci si allontana più si percepisce il disegno d’insieme. Avvertenza: il disco contiene anche una cover di “Aserejé” (nel pezzo “Au Revoirs Of Blood”), tormentone delle spagnole Las Ketchup dei primi anni Duemila, a testimonianza di quanto il gusto per lo sberleffo sia ineludibile nella grammatica musicale di Gergis. (Angelo Borelli)


Artisti: Costes, Sam Shalabi, 5599, Èlg, Porest
Album: Pas Encore Mort, Isis And Osiris, Heureusement Que Le Sang Seche Vite, Mauve Zone, Modern Journal Of Popular Savagery