Lami e Dorella, anime feroci

Incuriosito dall’ascolto di Cade combino una conversazione con Giovanni Lami e Bruno Dorella, entrambi vecchie conoscenze ormai da anni ma che solo ora, con questo progetto, si ritrovano ad incrociare le proprie visioni e le proprie strumentazioni. Lo fanno, come esplicitato in sede di recensione, con un lavoro fuori dal tempo, quasi ai primordi del suono, senza che ci sia però nessun elemento grezzo, anzi, con una leggerezza di tocco che, da sempre, contraddistingue le opere dei due musicisti.

Da quanto tempo vi conoscete?

Bruno: Inizia ad essere un po’… io sono arrivato a Ravenna più di dieci anni fa e ci siamo conosciuti quasi subito, vero Gio?

Giovanni: Io ricordo che la prima volta che ti ho visto provare con Stefania come Ovo a Chiesuola era veramente una vita fa… non mi ricordo l’anno.

Quando ha iniziato a balenarvi l’idea che forse avreste potuto fare qualcosa insieme?

Bruno: A chi è venuta l’idea, Giovanni?

Giovanni: Probabilmente ti ho detto “becchiamoci quando sei libero”, così per fare qualcosa, senza nessun tipo di aspettativa. Abitavamo a meno di un chilometro di distanza l’un l’altro.

Bruno: Vero, per un po’ abbiamo abitato nella stessa via, quindi…

Cade è una cosa che nasce ad un certo punto quando già stavate facendo cose o iniziando avevate già in mente un percorso? Perché le registrazioni sono state fatte lungo un periodo abbastanza ampio…

Bruno: Allora, devi sapere che (ci ho pensato un attimo) sicuramente non ho chiesto io a Giovanni di fare qualcosa insieme per il semplice fatto che Giovanni è una persona molto selettiva e quindi non avrei mai osato chiederglielo io. Infatti ci siamo trovati a suonare senza nessuna idea iniziale, senza l’obbligo di avere intenzioni serie anche se io ho detto a Giovanni, visto il tempo veramente esiguo da poter dedicare ad altri gruppi che non siano i miei già attivi, che se avessimo voluto andare avanti, allora un minimo di progettualità doveva esserci. Questo perché mi conosco. Quindi informale ma con l’idea che se fossimo andati avanti lo avremmo fatto davvero.

Inizialmente che punti in comune avete trovato per dire “proviamoci”?

Giovanni: Bruno ha un ventaglio di ascolti enorme. Anche se non ci si era mai cimentato, ascolta anche cose che sono molto vicine al mio mondo e va sempre a vedere molti concerti di elettroacustica anche ora che sta a Bruxelles, quindi c’è stata la volontà di incontrarsi in un territorio un po’ comune, forse più dalla mia parte perché per certi versi il tutto viene processato, anche se mantiene la sua identità e anche se gli strumenti sono a lui più vicini, come una chitarra o un rullante. Un po’ questo, secondo me, non c’è stato chissà quale pensiero, è semplicemente stato un incontro attraverso degli ascolti.

Bruno: Ho sempre ascoltato moltissima elettroacustica in generale, sono sempre andato a concerti di elettroacustica. Forse Vasco a qualcuno ci siamo anche incrociati a Milano ed è un mondo dove non ho mai cercato di avventurarmi perché lo percepisco molto snob, ma musicalmente mi attraeva molto. Per questo, quando Giovanni mi ha chiesto di collaborare, essendo una persona comunque aperta e senza quella selettività dettata dalla convenienza di frequentazione (cosa diffusa in tutta l’arte, così come il carrierismo) mi ha chiesto serenamente di collaborare, incuriosito probabilmente. Io ero incuriosito uguale, quindi così è nata la cosa. Già stiamo spiazzando perché vedo che le prime reazioni sono: “ma è elettroacustica però c’è della roba suonata…”. Vedo già che c’è un rimescolamento di carte.

Come siete finiti su Silentes/13? Trovo che ultimamente stia facendo dei dischi spettacolari ed uscita dopo uscita dimostri molto buon gusto. Trovo che in Italia ci siano diverse etichette che stanno lavorando bene ultimamente ed una tra queste tre o quattro che sono nel mio radar (le altre sono Torto, Dissipatio e Maple Death al momento) è proprio quella che vi ospita. Mi sembra comunque un po’ discosta dal vostro mondo sonoro… com’è nata questa collaborazione?

Bruno: Innanzitutto forse è stata più una mia idea, perché comunque avevo già fatto con Silentes il mio disco solista, Paradiso, trovandomi molto bene perché Stefano è una persona estremamente corretta, molto molto trasparente, ecco. Il tutto è molto chiaro, quello che può e quello che non può fare, non sgarra su nulla, ogni volta che c’è un problema ha l’accortezza e la gentilezza di scrivere: “Ho un problema, c’è un po’ di ritardo, per questo o l’altro motivo”. È una persona molto presente e trovo anche che la sua è un’etichetta che in qualche modo sta raccogliendo il testimone (pur essendoci da parecchi anni) di alcune etichette che magari hanno smesso un po’ di produrre, mi viene in mente Boring Machines, ma mi sembra anche un po’ una continuazione di Afe e quindi mi è parsa subito una soluzione. Anche Giovanni ti potrà confermare di questo, conoscendola.

Confermo sul seguito rispetto ad una realtà com’è stata quella di Boring Machines, ma anche il parallelo con Afe ci sta: trovo che Silentes faccia delle produzioni abbastanza variegate ma ascoltandole può ricondurti ad una linea. Qualità, buon gusto, l’evitare la classica produzione scontata, quindi la scelta ci sta tutta.

Cade: perché? Chi? Cosa?

Bruno: Non devi spiegarla tutta Gio, però è la tua…

Giovanni: Eh, infatti, non vorrei spiegarla tutta. Guarda, te ne dico solo un pezzettino ma non è quello principale. Io associo molto l’elettroacustica con i fenomeni fisici, con gli studi, banalmente, di fisica del suono, di architettura, eccetera eccetera. Cade in qualche modo, seppure nella sua forma verbale, evoca un po’ Il discorso di una caduta, un movimento anche in senso scientifico. Il motivo che c’è sotto però preferirei non dirlo.

Con Cade ho avuto la sensazione di ascoltare qualcosa veramente fuori dal tempo, a livello di secoli e di millenni. Mi avete trasmesso quella sensazione di essere su un altro pianeta. Ricordo di aver letto una recensione anni fa sugli Old Time Relijun (potrebbe essere stato su Blow Up), dove li descrivevano come uomini primitivi alle prese con bastoni e sassi. Qui mi sembra ci siano un suono e un immaginario veramente fuori dal tempo e dalla civiltà. Un’idea di purezza, anche se i suoni sono processati, con una distanza dal mondo civilizzato. Voi che tipo di idea vi siete fatti sul disco?

Giovanni: Beh, per quel che mi riguarda è un disco che magari si ricollega un po’ a quello che dicevi tu: abbastanza di pancia, pensando alla sua genesi e a come le tracce siano state scelte ed organizzate, c’è stato come un flusso che, nonostante ci abbia preso un po’ di tempo (non avendo né fretta né scadenze) è sempre stato molto istintivo, non troppo concettuale, e questo secondo me si riflette anche nella musica contenuta nel disco, diretta e senza troppi fronzoli. Questa è un po’ la mia idea.

Bruno: Se posso aggiungere, questa cosa del primitivismo (e per estensione del tribalismo) è un po’ una via di mezzo fra una cifra stilistica e una condanna che mi accompagna da sempre a ogni uscita. Mi piacerebbe uno studio sulla mia musica, per capire il perché di questa cosa. Però veramente questo tipo di cose vengono tirate fuori molto spesso sulla mia musica (e mi piace, attenzione). Però il discorso dell’essere fuori dal tempo è molto bello: il fatto che molti dischi, anche molto acclamati alla loro uscita poi scemino alla prova del tempo, è una cosa che mi piacerebbe scampare. L’essere fuori dal tempo può essere anche un gran complimento…

Giovanni: Infatti, lo è totalmente…

Bruno, ho ascoltato, negli anni, parecchia roba tua ma c’è comunque qualcosa di diverso nell’immagine che dai in molti dei tuoi dischi. Spesso c’è qualcosa di non selvaggio, ma primitivo nel senso di viscerale ed energetico, mentre qui c’è qualcosa che mi sembra venga prima della parola, una prima unione fra i suoni che secondo me risulta molto fine e rifinita nella sua semplicità, quindi proprio altro rispetto a quello che poi avete fatto anche in singolo.

Bruno & Giovanni: Bene! Sì!

Come cade ed evolve questo disco? Potrebbe essere suonato dal vivo in qualche modo, essere utilizzato con altri media o resta solo un’esperienza? Cosa pensate di farne?

Giovanni: Compatibilmente agli impegni di Bruno, che ne ha molti più di me (e comunque ora abita a Bruxelles), l’idea di suonarlo c’è sempre stata. Ne abbiamo anche parlato e un’altra cosa della quale abbiamo parlato è che fra qualche mese lui starà qui un pochino e avremo un po’ di tempo per registrare qualcosa di nuovo. Non c’è una progettualità come può essere quella di altre cose in cui è coinvolto, però l’idea di portare avanti Cade c’è di sicuro, credo.

Bruno: Ovviamente, rispetto ad alcuni dei miei progetti, ma anche ad alcuni dei progetti di Giovanni, necessita di un contesto abbastanza delicato, quindi non possiamo, come dire, andare allo sbaraglio come faccio con altri miei gruppi, è una cosa che va un pochino contestualizzata. Meglio poco ma buono che tanto ma a caso.

Visto che prima è uscito il nome di Boring Machines ricordo che Onga (non ricordo riguardo a quale sua produzione si riferisse) diceva che uno dei grandi rischi discografici quando due o più musicisti collaboravano, come voi in Cade, era quello di non mettere i propri nomi sul disco, presentandolo come progetto ex-novo. Se poi non c’era continuità dal vivo o un seguito regolare, il rischio era che finisse nascosto nelle discografie dei musicisti. Voi avete fatto una scelta anche di restar fuori da tutto il circo social, facendo un disco che parte in maniera ritirata e discreta. Pensando a Giovanni Lami e Bruno Dorella il richiamo ci sarebbe stato. Che raginamento avete fatto?

Bruno: Anche questa è una cosa della quale abbiamo parlato e forse inizialmente partivamo anche, se non ricordo male, da posizioni poco allineate. Io perché ho questa specie di opinione (magari anche sbagliata) di questo giro dell’elettroacustica un po’ snob e non volevo essere un freno perché mi risultava che nell’elettroacustica chi viene dal rock venisse visto con sospetto in generale, quindi ho pensato di non mettere i nomi per evitare che qualcuno pensasse: “Cosa fa Dorella nel mio mondo? Viene a rompere le scatole anche qui?”. Giovanni invece mi sembrava più orientato a non nascondere i nostri nomi. Per quanto riguarda invece il discorso di Onga, lo capisco pienamente ma però credo che in questo caso non ci sia stato un calcolo basato sul mistero, bensì su di un ipotetico discredito.

Cosa rappresenta l’immagine di copertina?

Giovanni: L’imagine è una zucca marcia, però sembra un po’ un teschio, un resto animale, mentre ai vertici c’è proprio la scritta Cade. Per me può avere un significato terra terra, proprio di pasta sonora del lavoro, non marcio ma sporco, un residuo quasi certe volte, e trovo ci stia bene!

Bruno: Il marcio piace sempre!

Credo di avere già diversi spunti interessanti. Volete aggiungere qualcosa?

Bruno: Forse il fatto che in questo caso sono stato io che nella lavorazione improvvisavo a loop su un ritmo o su delle frasi di chitarra con delle microvariazioni, per dare modo a Giovanni di trovare il tempo ed il modo di lavorarci sopra creativamente. Un’inversione, con me a occuparmi della parte acustica suonando quasi in loop e con Giovanni a dare variazioni con uno strumento di sintesi e con i nastri. Tutto nato da imporvvisazioni e quasi niente post-prodotto, giusto un brano con degli interventi anche pesanti, tutto il resto esce nudo come lo abbiamo suonato.

Giovanni: Sì di base abbiamo fato solo dei tagli, partendo da una buona quantità di materiale.

Perfetto. Approfitto in chiusura per avere qualche consiglio su materiale buono che state ascoltando e vi ringrazio per tutto…

Bruno: Tu Giovanni hai qualcosa sulla punta della lingua? Perchè questa domanda mi trova sempre impreparato!

Giovanni: Questa è massacrante… io ti dico la gente che inviteremo a marzo qua a Ravenna, ci sarà Roy Werner, che ha fatto un disco a suo nome su quest’etichetta che si chiama Moon Glyph, e poi Jeremy Young, canadese, più dentro il discorso elettroacustico. Verranno qui nel planetario.