Il tempo delle musiche passate – Progetti unici e ristampe in casa Soave Records

La base è l’etichetta romagnola Cinedelic di Marco D’Ubaldo. Il collante è il fascino per tutte quelle musiche perlopiù strumentali che hanno reso grande il cinema italiano, più in generale che hanno accompagnato un lungo periodo storico dove le sonorizzazioni per film, tv e documentari erano particolarmente affascinanti, seppur espressione di un mercato di ultra-nicchia, che a grandi linee va circoscritto tra gli anni Sessanta e gli Ottanta del secolo scorso. La Soave Records può venire considerata come la sorellina alternativa della Cinedelic, e il curatore della sua collana “Grandangolo” Donato Epiro (Cannibal Movie, l’etichetta Canti Magnetici) ha dimostrato col tempo di sapersi muovere tra corposi (e oscuri) cataloghi library e di muzak dimenticata, accostandoli all’amore per importanti compositori come Giusto Pio (la reissue di Motore Immobile), oltre che all’interesse per l’underground italiano contemporaneo. Il catalogo messo su in un paio d’anni è già di tutto rispetto: si va da alcuni testimoni della cosiddetta Italian Occult Psychedelia, dunque si parla di inediti e di gruppi/progetti nuovi (Heroin In Tahiti, Squadra Omega e Golden Cup), a ripescaggi necessari e storicamente ineccepibili come alcuni album di Riccardo Sinigaglia (Futuro Antico, Correnti Magnetiche, The Doubling Riders) e Arturo Stalteri, oltre, naturalmente, a quelli che prendiamo in esame per l’occasione.

Electronic Modular Orchestra, S/t

Sound is made from the same matter of dreams that, as the sun rises, evaporate and leave a feeling of uncertainty

Gabriele Bombardini, Matteo Scaioli, Nicola Peruch, Max Vicinelli, Enrico Bernabei (con loro anche Marco Rosetti, Elena Majoni e Serena Zaniboni) sono gli Electric Modular Orchestra. Il progetto è di tipo aperto, quindi, ma si preferisce giocare di fioretto inanellando una serie di suite per strumenti modulari dove istanze apparentemente free-rock si mescolano a lacerti di “colta” (il fantasma di Béla Bartòk aleggia silenzioso) e a frammenti di composizioni per il cinema. A un primo assaggio può sembrare che regni una sorta di inebriante confusione, ma col passare degli ascolti l’idea che sta alla base dei musicisti romagnoli risulta molto meno nebbiosa e, a tratti, affiorano ideali spazi sonori appositamente concepiti, nei quali perdersi con la necessaria leggerezza: la volute trance di “Secondo Movimento”, i passaggi herrmanniani dell’iniziale “Primo Movimento” che ad un tratto si fanno vorticosa tempesta, le volute à la Twin Peaks di “Terzo Movimento”. Questo è un disco corposo (in formato doppio vinile) che dà molte soddisfazioni e che vedrei bene come sonorizzazione di un film vero e proprio.

O.A.S.I., Il Cavaliere Azzurro

Musiche dall’ignoto spazio profondo (degli anni Ottanta)

Il Cavaliere Azzurro è un’idea piuttosto unica nel suo genere. Chi l’ha messo in piedi porta un acronimo come nome, un’intestazione che è tutta un programma e che allo stesso tempo spiazza, come avviene durante l’ascolto delle tracce incluse in questo disco dalla copertina criptica e dedicato a uno spettacolo teatrale ispirato dall’opera di Vasilij Kandinskij. Paolo Modugno, il motore del tutto, Massimo Terracini a pianoforte, sampler e tapes, Gino Castaldo (sì, proprio quello del quotidiano La Repubblica) a nastri e sampler, Ermanno Ghisio Erba alla batteria riescono, nel lontano 1986, a dare una forma compiuta alle loro elucubrazioni free, che di volta in volta divengono più cinematografiche (la quasi morriconiana “Richiami”) o pan-etniche (“Il Cavaliere Azzurro”), fino alla tempesta ritmico-industrial della conclusiva “Kandisco Due”. Il Cavaliere Azzurro è l’album alieno per eccellenza che i collezionisti più attenti non dovrebbero proprio farsi sfuggire.

ROBERTO MAZZA, Scoprire Le Orme

Musiche per oboe, arba bardica, synth.

Roberto Mazza faceva parte dei Telaio Magnetico, sorta di super-gruppo elettronico/psichedelico dalla vita breve, che nel giro di pochi mesi e pochissime date di un tour ormai mitizzato (svoltosi alla metà degli anni Settanta) riuscì a mettere su giusto una manciata di registrazioni, uscite postume nel 1995 col titolo Live ’75 per la Musicando di Paolo Bertelli (in catalogo anche Albergo Intergalattico Spaziale, il Lino Capra Vaccina di Antico Adagio, Franco Mussida della PFM). Giusto lo scorso anno la Black Sweat Records le ha rimesse sul mercato, a più di vent’anni di distanza dalla prima stampa.
Scoprire Le Orme, in origine (1991) registrato e licenziato solo in formato cassetta dalla milanese ADN, racchiude invece una serie di ideali acquarelli (fatti di synth, arpa e oboe: la passione di Mazza per le musiche celtiche è nota) che ricordano paesaggi lontani, infondendo sentimenti tra il malinconico e la rassegnazione: “Stanze Parallele”, la notevole “Acrostici Indolenti”, la piuttosto calligrafica “Artigli Arguti”. Sin dalla copertina si evincono quelle che paiono le passioni di Mazza e tanto può bastare per gli amanti dei suoni continui, soprattutto di certo minimalismo più Zen (il compositore lombardo ha prestato il suo oboe in Caffè De La Paix di Franco Battiato e ha suonato con Juri Camisasca) e meno allineato, che la Storia ufficiale ha dapprima inghiottito senza colpo ferire per poi farlo tornare alla luce – soprattutto grazie a piccoli discografici appassionati di cose del passato – quasi inaspettatamente. Meglio tardi che mai.

TIZIANO POPOLI, MARCO DALPANE, Scorie 

Koinè.

Il pianista bolognese Marco Dalpane proviene dagli Ella Guru (ensemble di area impro-rock-prog più che strambo, che traeva il proprio nome da un brano di Trout Mask Replica di Captain Beefheart & His Magic Band). I più fortunati hanno potuto ascoltarlo molte volte al Cinema Lumiere di Bologna mentre accompagnava col pianoforte i classici del cinema muto. Tiziano Popoli, invece, oltre che in questo duo, ha suonato in passato con Gianni Gebbia e Chris Cutler. I due registrano queste musiche appositamente per uno spettacolo teatrale, “Scorie”, nell’ormai lontano 1985, e si sente. Il risultato però è assolutamente degno di nota, tra gli svolazzi finto-prog di “Arabian Dream”, lo smaccato omaggio alle musiche di John Carpenter, in “Moving Objects Slow Dance” e in “The Screenfold” in particolare, dove pare davvero di stare a sentire una delle (ormai mitiche) composizioni del re degli horror-score americani, anche se nella parte finale il pezzo si fa un po’ troppo ridondante.
Scorie resta un pubblicazione libera, fantasiosa ma rigorosa allo stesso tempo – l’imponente e marziale “The Tower” lo dimostra senza timore di smentita – certamente figlia di quegli anni come già accennato, ma che ascoltata oggi conserva ancora intatti stupore e voglia di esprimersi senza troppi filtri estetici. A conti fatti questo è un ottimo esempio di “muzak” d’altri tempi e ci piace così.