I dischi di Flamingo: Speranza e Benevolenza

In tempo di inventario dovrei odiare il formato fisico: centinaia e centinaia di dischi nelle più assurde edizioni che devono essere catalogati in tempi brevi, senza commettere grossi errori pena l’ascia del feedback negativo che potrebbe piombarci per un’inserzione sbagliata su Discogs oppure un’amara restituzione di un cliente insoddisfatto. “Perché abbiamo una versione argentina?”, “sembra la versione tedesca ma c’è scritto Made In France”, “è uguale alla prima stampa ma potrebbe essere anche del 2007”, “questa è una ristampa del 2002 ma quale delle trenta?”, “ah è un tarocco”: queste sono alcune delle frasi che ripetiamo in continuazione durante queste giornate, oltre alla mestissima “finiremo fra tre mesi”. Eppure quest’operazione ci permette di toccare con mano dischi su dischi, controllare il libretto e magari farsi una bella lettura dei crediti. Guardare se ci sono righe sui supporti che erano sfuggite al precedente controllo, dare una spolverata a solchi usati che attendono da anni di tornare su una piastra, scoprire che, nel mentre che sono fermi negli scaffali, alcuni titoli sono diventati rari e ricercati. Di recente, per esempio, ho scoperto che un pezzo che ho avuto in negozio per un po’ di tempo ora è piuttosto quotato. “Piuttosto” vuol dire che è stato messo in vendita a 3500 sterline, cioè più di 4 mila euro: si tratta della collaborazione fra Massive Attack, Burial e Hope Sandoval, contenente due canzoni intitolate “Four Walls” e “Paradise Circus”. L’album è confezionato con un artwork brillantinato e si distrugge solo a guardarlo. In negozio non l’ha voluto nessuno e dopo qualche mese l’ho venduto online a un prezzo che pensavo già fosse abbastanza gonfiato (intorno ai 100 euro).

Sinceramente a noi non interessa stare troppo a ragionare in termini di quotazione: abbiamo venduto il primo demo dei Raw Power a una miseria, il singolo Wretched / Indigesti a metà del prezzo a cui è solitamente piazzato, idem con tantissime altre chicche che ci capitano tra le mani. Ci piace far girare la musica: fosse per noi ogni disco sarebbe sempre in catalogo (cosa materialmente impossibile). Non capiamo molto il feticcio estremo dell’oggetto, d’altra parte però non comprendiamo neppure il non-feticcio assoluto di questi anni, quella tendenza a dire “se non c’è su Spotify non lo ascolto”, “non compro più dischi perché c’è la liquida” (termine che a me ricorda più la sciolta che la musica…). Tendenza alimentata dagli artisti stessi, i quali, tristemente, sono molte volte anche coloro che non sanno neanche inserire un cd nel lettore. Trovo molto buffo vedere musicisti indipendenti che durante il Bandcamp Friday pubblicano qualsiasi cosa (demo, live, raccolte di cover) per racimolare qualche spicciolo e poi esultare per il milionesimo ascolto su Spotify e dunque per i 30 euro guadagnati grazie ad esso. Penso che siano necessarie un’etica e una coerenza. Va bene la visibilità, ma qualsiasi commerciante vi può spiegare che dopo un po’ le offerte finiscono: gli artisti devono esigere qualcosa di più, sia dalle piattaforme di streaming, sia dalle loro etichette. Non parlo delle etichette minuscole a conduzione famigliare o dopolavoristiche, ma di quelle un pochino più grandi. Quelle che se mettono un artista sotto contratto, allora dovrebbero potergli garantire uno stipendio, magari generato proprio dai proventi degli streaming. A me personalmente fa incazzare che dopo due anni di pandemia un musicista sotto contratto, non potendo fare concerti, sia costretto a vivere con i genitori e magari fare qualche lavoretto in nero. mentre Daniel Ek, CEO di Spotify, investe 100 milioni di dollari in una società che utilizza l’intelligenza artificiale in sistemi di difesa per missioni di guerra. Ah, e si permette pure di dire “musicisti non frignate che guadagnate troppo poco: mettete più musica su Spotify!”. Tutto ciò mi provoca la nausea, ma magari sono troppo idealista. Certo, uso Spotify per lavoro (mando playlist a clienti per esempio) ma non incentivo gli artisti che produco a caricare la musica sulle piattaforme streaming (a parte Bandcamp, sebbene sia tutt’altro che perfetta). Sarei il primo ad essere felice a tornare a fare compilation in cd-r o anche in cassetta senza sentirmi dire “e questo dove lo ascolto?”.

Dopo l’abbondanza derivata dalle playlist di fine anno, gennaio è un mese un po’ chillout e quale band migliore se non i Sunn O))) per resettare il cervello e ricominciare con il giusto brio? Il dinamico duo Anderson-O’Malley ha recentemente pubblicato Metta, Benevolence. BBC 6Music: Live On The Invitation Of Mary Anne Hobbs, che, come suggerisce il titolo, è la testimonianza del live che hanno tenuto negli studi della BBC. Il disco contiene tre brani per un totale di 60 minuti, suddivisi nei 15 delle due versioni di “Pyroclasts” (F e C#) e i 30 di “Troubled Air”. Secondo me scorre molto bene, fluido come la lava del vulcano Cumbre Vieja e leggero come la cometa del film “Don’t Look Up”. C’è ospite Anna Von Hausswolff, che recentemente ha fatto incazzare un po’ di fondamentalisti religiosi, e c’è Stephen Moore che suona il trombone. Cosa volete di più? Ma non ascoltatelo in streaming: almeno in cd!