FATHER MURPHY, Calvary

FATHER MURPHY, Calvary

Dopo la fuoriuscita del vicario, ormai la mini setta dei Father Murphy è da considerarsi un duo. A scrivere le rituali liturgie e a intimorirci con sermoni violenti rimangono il reverendo Murphy e la sacerdotessa Chiara Lee.

Piacevano già prima, ma questo nuovo percorso spiritual-noise è ancor più interessante. Probabilmente le registrazioni – soprattutto quelle percussive – in luoghi mistici e religiosi accentuano quella percezione riconducibile al concept sulla Passione di Cristo. Sarebbe però troppo facile analizzare secondo simili modalità questo doloroso calvario rilasciato dalla britannica Blue Tapes in tape e breve prologo che anticipa la crocifissione vinilica dell’americana Flenser. Provate però a metter da parte, per un attimo, l’immaginario sacro e le corone di spine, orientando i vostri sensi verso qualcosa di più reale e concreto, ma pur sempre sofferente, intimidatorio e inquietante. Immaginate tutte le rumorosità industrial (comprese anche quelle da carpenteria) e la pesantezza atomica della darkwave più tenebrosa, racchiuse all’interno di un impianto petrolchimico offuscato da una fittissima caligine. Ora che ci sono le coordinate, posso raccontare la mia personale via crucis, che calza a fagiolo con le interferenze ultrasonore metalliche e sanguinolenti di quest’uscita. Semplicemente ho sostituito la faticosa scalata della collina del Golgota con gli ottanta metri di una torre cracking di raffineria, le frustate dei soldati romani con i colpi di martelli degli ponteggiatori e le urla blasfeme dei non credenti coi rumori gli abrasivi e incandescenti di una saldatura ossiacetilenica. Una volta dentro la colonna, il buio pesto, solo una flebile luce proveniente dal fondo e l’odore dell’anidride solforosa derivante dal processo di raffinazione del petrolio che negli anni ha impregnato e corroso le pareti interne e gli oleosi piatti di frazionamento, dai quali occorre divincolarsi, evitando gli afferraggi taglienti e arrugginiti che potrebbero lacerare la schiena fino all’osso.

No Room For The Weak, per cupezza, malattia, industrialaggine, e copertina a mo’ di sindone impalata è (forse) quello che più si avvicina. Purtroppo il calvario di raffineria si può apprezzare e compiere solamente ogni cinque anni, durante le fermate dello stabilimento e sotto stretta autorizzazione del responsabile antincendio. Nel frattempo, potete ascoltare quello dei Father Murphy.