EVERSOR, Closer

Non sono in genere un patito di suoni melodici, o meglio i miei ascolti usuali sono mediamente indirizzati a proposte alquanto estreme, si tratti di metal, hardcore o quant’altro, eppure ci sono alcuni nomi appartenenti al filone del cosiddetto emo/hardcore melodico che da sempre metto in cima alle mie preferenze e che hanno saputo conquistarsi un posto speciale nella mia memoria e nel mio cuore. È una linea che nella mia mente unisce Dag Nasty, High Circle e appunto Eversor, tre nomi cui sono legato sia sul piano prettamente musicale che umano, perché – per citare l’ultimo dei tre – come si fa a non voler bene agli Eversor? Credo che chiunque abbia incrociato la loro strada possa confermare dicendo che sono in assoluto tra le persone più generose, inclusive e disponibili dell’intera scena hardcore nazionale, tanto da poter vantare split con nomi quali Comrades, Kina, Paul Chain, Tempo Zero, Accidia e altri ancora senza che il genere proposto o il tocco delicato delle loro composizioni abbia mai costituito un limite nel farsi apprezzare anche da chi solitamente transita su lidi differenti. Ecco, quindi, che sapere dei problemi di salute di Marco Morosini (e della lunga battaglia che ha dovuto affrontare e sta fortunatamente vincendo) non poteva non colpirmi, anche perché a dirla tutta non siamo poi così distanti geograficamente e negli anni l’ho incrociato decine di volte ai concerti cui presenziava in veste di musicista o di semplice spettatore (ma anche a qualche festival di cinema tanto per dire) e ogni volta ero felice di scambiarci quattro chiacchiere, trovando un sorriso pronto ad accogliermi. Oltretutto, tolto il progetto The Miles Apart (che vede in azione i fratelli Morosini), erano più di venti anni che la band non tornava a pubblicare un disco e rimettere la puntina sul vinile one-sided di Closer gioca anche un bel effetto nostalgia.

Veniamo al disco vero e proprio, nato dall’idea di riportare Marco in sala prove e fargli ascoltare qualche pezzo dal vivo (con l’aiuto di Luigi Selleri dei Suburban Noise al basso). Nonostante la pandemia, quest’iniziativa ha in pratica fatto scaturire quattro brani nuovi a nome Eversor. Regalo, insomma, pensato per una persona speciale ma di cui possiamo godere tutti noi, che ci permette di riassaporare la magia delle linee melodiche che da sempre hanno saputo toccare anche gli animi più rudi della scena, perché oneste e prive di orpelli proprio come chi le ha create negli anni. Inutile dire che i quattro pezzi, ciascuno con la sua personalità, non suonano per nulla come un tributo a qualcosa di distante, al contrario dimostrano come la magia sia ancora lì pronta a riaccendersi in qualsiasi momento. Non credo che Marco potesse ottenere un dono migliore, oltretutto impacchettato da una cordata di etichette amiche che con lui e gli Eversor hanno già condiviso momenti fondamentali. Ora non vedo l’ora di incontrarlo nuovamente a qualche concerto come quella volta in cui gli Exodus hanno suonato a Senigallia o più di recente i Voivod a Pinarella, ma questa, come si suol dire, è un’altra storia…