Ensemble Intercontemporain – Omaggio a György Ligeti, 15/1/2023

foto di Luca Venitucci

Roma, Auditorium Parco della Musica.

Raccontare qui di musica composta fra il 1966 e il 1992 potrebbe sembrare un ossimoro, ma siamo al cospetto di un musicista fondamentale: dagli echi precedenti di Stravinskij come di Bartók, rosso – avanti nel tempo – è il filo che unisce Ligeti a Cage e a Metal Machine Music.

I quattro concerti in programma il 15 gennaio all’interno della Sala Sinopoli del Parco della Musica in Roma hanno avuto il merito, oltre quello del fulminante contenuto musicale e della magistrale esecuzione da parte dell’Ensemble Intercontemporain, di riavvolgere il nastro del variegato percorso musicale del compositore ungherese, naturalizzato austriaco, György Sándor Ligeti (1923-2006).

Sopravvissuto al campo di concentramento di Auschwitz, allievo dell’etnomusicologo, compositore, filosofo Zoltán Kodály, laureatosi infine a Budapest nel 1949, emerge nel contesto delle nuove musiche negli anni Sessanta grazie a composizioni come “Atmospheres” e “Lux Aeterna”, che indagano inedite possibilità acustiche delle voci umane. Ligeti raggiunge poi abbastanza involontariamente la notorietà mondiale nel 1968 dopo la controversa collaborazione con Stanley Kubrick per lo score di “2001: A Space Odyssey”, esperienza che a sorpresa verrà reiterata nel 1999, con la composizione per piano-solo “Musica Ricercata” per il film “Eyes Wide Shut”.

Questo concerto romano prende in esame i “Kammerkonzert”, nei quali vengono condotte al limite estremo le tecniche della micropolifonia che Ligeti spiegava essere “una combinazione distinguibile di intervalli che sfuma gradualmente e da dove sorge una nuova combinazione di intervalli, un respiro che precede e segue un nuovo respiro”. Naturalmente nel lasso di tempo che va dal “Concerto per violoncello e orchestra” (1966) al “Concerto da camera per 13 musicisti” e al “Concerto per pianoforte e orchestra” (1970),siono al finale “Concerto per violino e Orchestra” (1990-92), magnifico e maestoso con 35 musicisti sul palco, si percepisce un’evoluzione verso un lirismo romantico sempre immerso, però, in un contesto sonoro “defamiliarizzato” dall’armonia microtonale. Conclusione entusiasmante questa, ma con la speranza disattesa del pubblico di assistere alla pantomima finale quando il violino solista, in questo caso la coreana Hae-Sun Kank, per troppa bravura e/o troppo virtuosismo fa letteralmente alzare dalle sedie e scappare gli altri 34 maestri compreso il Direttore d’Orchestra (Pierre Bleuse) fra lo sconcerto, è proprio il caso di dirlo, generale! Peccato perché questo gioco teatrale avrebbe reso palese fino in fondo anche l’aspetto paradossale, ironico che intimamente permea molti dei lavori di Ligeti sia riguardo alle cose del mondo, sia in particolare riguardanti quello della musica cosiddetta “colta”, delle sale da concerto, con tutti i suoi vezzi ed i suoi rituali.

Niente di male, per fortuna ci si può rifare abbondantemente su YouTube assieme anche alla visione dell’unica opera lirica composta da Ligeti, “Le Grand Macabre” (il sottoscritto ebbe la fortuna di assistere all’allestimento ideato dalla compagnia catalana de La Fura dels Baus), qui l’aspetto parossistico, grandguignolesco da post disastro nucleare (Chernobyl?) ne è il fragoroso e sonoro nucleo centrale.

Qualche nota finale per l’Ensemble Intercontemporain, che assieme ai tedeschi Ensemble Modern e Zeitkratzer rappresenta il massimo livello d’interpretazione ed esecuzione del repertorio musicale contemporaneo. Fondato a Parigi nel 1976 da Pierre Boulez, ha sede presso la nuova Philarmonie di Parigi e collabora strettamente con l’IRCAM (Institut Recherche Coordination Acoustique/Musique), tutti i suoi musicisti sono assunti con un contratto a tempo indeterminato che permette loro di realizzare le finalità principali dell’Ensemble, dunque creazione, studio ed esecuzione ma anche sperimentazione di inedite tecniche educative per la formazione di una nuova generazione di musicisti. Ok fermiamoci qui che è meglio… ah, la France!