DÄLEK, Precipice [+ il live a Jazz Is Dead!]

Rap e hip-hop per me erano parolacce, qualcosa di alieno e incompatibile con i miei gusti in fatto di musica. Poi, con un misto di sospetto e curiosità, ho iniziato ad avventurarmi sempre più spesso in questa terra incognita. È successo tutto molto in fretta – un po’ come perdere la verginità! – e non sono in grado di ricostruire la genesi di questa rivoluzione copernicana. C’entra il desiderio di ascoltare roba diversa dal solito, unito forse ad una fase di stanca del settore metal e hardcore (ammettiamolo: ultimamente esce tanta roba bella, ma poca roba davvero fuori dagli schemi). I veri responsabili, però, sono stati i Dälek.

Con il loro Absence, uscito nel 2005, hanno giocato sporchissimo: cascate di pattern e feedback ansiogeni; ritmiche sferzanti e atmosfere talmente oscure da mettere in imbarazzo molti esponenti del metal estremo. E poi il rappato di Will Brooks, alias MC Dälek, da cui emergono rabbia e disagio in modo quasi tangibile. Insomma, una vera e propria trappola per appassionati di shoegaze, noise, industrial e post-un po’ di tutto! E io ci sono cascato in pieno, anche se con colpevole ritardo.

L’anima è rap, sì, ma contaminato da una miriade di influenze miscelate in modo squisito, il tutto al servizio dell’esigenza di denunciare gli aspetti più torbidi della società americana. Sperimentazione sonora libera da qualsiasi vincolo (basta pensare alle loro collaborazioni ad ampio spettro, dai Faust agli Zu passando per i Techno Animal) e uno stile che non ammette compromessi, anche a costo di rimanere lontani dalle luci della ribalta: i Dälek sono underground fino al midollo.

Il loro ultimo album Precipice, uscito il 29 aprile per la fedelissima Ipecac, è distante da Absence sia nel tempo che nelle intenzioni. Allo scopo di mettere in evidenza i contenuti socialmente impegnati dei testi, i toni si sono fatti meno cupi, e il furore anarchico dei primi lavori ha lasciato spazio ad un approccio più minimale, a scapito della botta di pancia a tutti i costi. La formazione di Newark si è ormai ridotta ai soli MC Dälek e Mike Mare (il producer Oktopus aveva lasciato nel 2010, assenti anche i vari collaboratori degli ultimi dischi), quindi l’attenzione non può che focalizzarsi sulla performance del primo. E Will Brooks non tradisce le attese, perché la sua interpretazione è il vero motore del disco.

We ain’t equip to exists

Superati gli inquietanti muri sonori della strumentale “Lest We Forget” iniziano a piovere bombe a mano: “Boycott” è un brano dal groove impetuoso che esprime il rigetto nei confronti di una democrazia fallita, corrotta ed ipocrita, e va a braccetto con la successiva “Decimation (Dis Nation)”, dove i versi si fanno taglienti, affrontando il tema della ghettizzazione della comunità afroamericana (You preach division, amass munitions, demand submission!”). Il cuore dell’album è rappresentato dal trittico “Good” – “Holistic” – “The Harbingers”: qui salgono in cattedra le ipnotiche basi elettroniche di Mike Mare, che, oltre ad arricchire ogni pezzo di profondità timbrica, trasmettono un forte senso di malinconia. Le rime di MC Dälek continuano ad accalcarsi, si abbattono su di noi come macigni, ma la riflessione sul mondo in cui viviamo si fa più amara e disincantata: siamo davvero sull’orlo del precipizio, e ciò che fa paura è che fingiamo di non rendercene conto.

I don’t give a fuck if your gods are angered!

Qualche barlume di speranza emerge invece da “Devotion (when I cry the wind disappears)”, le cui ondate rumoristiche sembrano spingerci verso orizzonti più luminosi. La successiva “A Heretic’s Inheritance”, sorretta dal riffing magnetico della chitarra di Adam Jones dei Tool, ospite d’eccezione per questo capitolo, manifesta una nuova volontà di resistere e si scaglia senza mezzi termini contro l’immobilismo delle istituzioni e della classe politica americana. Decisamente più violenta è la conclusiva “Incite”, un’esortazione a ribellarsi contro l’oppressione, qui rappresentata dal tristemente famoso penitenziario newyorkese di Rikers Island.

This for the writers and the crowd inciters
On the front lines.
or locked at Rikers
Raise your fist for the fight that binds us!
A million muthafukas all stand beside us

Dälek al Jazz Is Dead (foto di Syl)

Il miglior banco di prova per una band è però il palco, e questo credo valga a prescindere dal genere. L’esibizione dei Dälek al Jazz Is Dead! festival è stata un test sulla resa dal vivo dei pezzi di Precipice, ma anche un battesimo del fuoco per il sottoscritto, abituato a ben altri contesti musicali. E devo ammettere che l’esperimento è perfettamente riuscito in entrambi i sensi.

È stato davvero bello vedere un pubblico così variegato lasciarsi trasportare dalla musica di un Mike Mare indemoniato alla consolle e dal flow appassionato di Will Brooks. “A Heretic’s Inheritance”, “Decimation (Dis Nation)”, “The Harbingers”, “Boycott”, “Good”, “Holistic” e “Incite” hanno conquistato la platea, spingendo anche il più ostinato dei metallari a muoversi al ritmo imposto dalla drum-machine. Spazio anche ad alcuni pezzi del precedente disco Endangered Philosophies (“Numb” e “Sacrifice”), e non potevano mancare due chicche clamorose da Absence: su “Ever Somber” e “Eyes To Form Shadows” il pubblico è letteralmente andato in estasi. Non so quanti conoscessero i Dälek prima del concerto (il boato durante l’incipit dei pezzi di Absence dimostra che godono di una fanbase più ampia di quanto immaginassi), ma sono sicuro che sono entrati nel cuore di tutti i presenti.

Precipice non è certo un’opera rivoluzionaria (non stilisticamente almeno): si muove lungo binari ormai consolidati da quasi venticinque anni di carriera, e ha avuto bisogno di qualche ascolto per dimostrare tutto il suo valore. Pur lontani dalla trasgressività degli epigoni Death Grips, grazie alla loro narrazione estremamente emotiva i Dälek riescono comunque a trasmettere messaggi potenti e di forte attualità. Questo album è uscito poco prima delle ultime inquietanti sentenze della Corte Suprema americana, e ora suona come un drammatico campanello d’allarme.

Tornando ad aspetti più piacevoli, se ne avrete l’occasione, andatevi a gustare i Dälek dal vivo: sono un’esperienza mistica. Garantisce uno a cui faceva schifo il rap.