Cromosomi irreplicabili e altri semi (c’era una volta l’underground #1): Music À La Coque

Music À La Coque

In botanica, il guscio è l’involucro che protegge semi e frutti di alcune piante. Piante che hanno vita complicata nel trovare luce e nutrimento perché il terreno è arido e le avversità sono molteplici: la metafora si applica perfettamente alle etichette non allineate italiane, e non, che continuano indomite e ribelli nella loro meritoria opera di scavo dei tuberi che crescono sottoterra. Musica cucinata al guscio, con un amore e una cura diversi, con attenzione per ingredienti magari non belli a vedersi ma capaci di regalare sapori nuovi ogni volta, e comunque lontani dalla noia precotta di tante pappe pronte per hipster distratti col ciuffo d’ordinanza e finte angosce esistenziali. Traslando questo discorso in musica, non ci sono mai interessati i materiali accomodanti, in cui in tanti si riconoscevano e si riconoscono: siamo più, per scelta e destino, cani randagi, rabdomanti alla ricerca dell’ultima sensazione nascosta. In questo nostro vagare alcune etichette ci hanno accompagnato e continuano a farlo. Perché la vecchiaia comincia quando si perde la curiosità e il conformismo è la prima forma di fascismo. Abbiamo intervistato i deus ex machina di alcune di queste meravigliose imprese a perdere, dei moderni Don Chisciotte che se ne fottono delle mode, del ritorno economico, e, mossi da una passione e da una curiosità libere e pure, continuano imperterriti a pubblicare dischi notevoli, uno dopo l’altro. Iniziamo questa miniserie di interviste con Pino Montecalvo, da Bari, ovvero la periferia della periferia dell’Impero. Con la sua Music À La Coque (nel sito autoelettasi etichetta più lenta del mondo) pubblica materiali sghembi ed eterodossi da anni, ultimo dei quali il davvero ottimo disco del Collectiv Ensembl, con G.W. Sok (fu The Ex) alla voce. Ecco cosa ci ha raccontato.

Com’è nata l’etichetta, con quali prospettive?

Pino Montecalvo: Music À La Coque nasce ufficialmente nel 1998 con il 7″ split tra Bz Bz UeU (nei quali avevo il ruolo di bassista) e la band newyorkese God Is My Co-Pilot. Non ho mai avuto preclusioni di genere, in linea di massima: tutto quello che produco mi deve toccare e sorprendere, tutto qua.

Dal punto di vista economico e gestionale come funziona?

Faccio tutto da solo, contatto i musicisti e propongo loro la cosa, il tutto privo di contratti, poiché trovo assolutamente fondamentale l’elemento umano; la gestione economica grava solo sulle mie tasche, tutte le mie uscite sono marcate solo a nome Music À La Coque, non faccio co-produzioni: non ho niente in contrario ma preferisco così.

È diverso gestirla da Berlino, da Pordenone, da Castelfranco Veneto, da Trezzano (gli anni d’oro della Wallace Records) o, come te, da Bari ?

Penso che ormai i “posti” contino poco, nell’era digitale si può essere dappertutto e in nessun posto, e questo mi piace.

Qual è la tua opinione sulle musiche eterodosse in Italia e fuori? Nomi, scene, locali, pubblico, differenze.

In Italia c’è indubbiamente un bel movimento di musiche altre, la proposta è pure tanta ma come al solito mancano fruitori e specie di nuova generazione, l’ho visto personalmente con i concerti che anche io alle volte organizzavo a Bari alla Taverna del Maltese Vecchia, dove grazie a Corrado Massari (ora agente booking a Berlino) si sono viste le cose più interessanti degli anni ‘90 (US Maple, Old Time Relijun, Trumans Water, Melt Banana, Laddio Bolocko, Flying Luttenbachers…): il posto era sempre pieno e c’era tanta attenzione, mentre ai ragazzi di adesso della musica dal vivo frega poco, questa è la verità.

Pubblicate in un supporto che sta vivendo il suo momento più buio nella sua storia, il cd. Come mai? Te lo chiedo da fan del cd.

Ho cominciato con i 7″ e avrei continuato perché mi piacciono molto, oltre a quello con Bz Bz Ueu/God Is My Co-pilot, ho fatto uscire il 7″ dei Tinklers , gruppo di Baltimora tra i miei preferiti in assoluto (ascoltatevi Casserole e ci rimarrete) e il 7″ degli Helgoland, gruppo di Amburgo di electro surprise core (?). Il fatto è che oggi è diventato molto costoso stamparli, quindi produco cd, che nella loro confezione cartonata, sono belli, leggeri ed economici. Se devo dire la mia sul vinile? Bello sì, per carità, ma trovo il pubblico che lo adora in assoluto modaiolo e spesso feticista; quelli che si portano il disco  a casa a manco lo ascoltano perché si potrebbe rovinare o perché… non hanno il giradischi (!) Non dimentichiamoci comunque che alla fine viene prima il contenuto… forse la prossima uscita sarà su 7″, una cosa speciale e personale.

Come ti immagini il futuro dell’etichetta?

I dischi, come sai, si vendono sempre meno, ma perdere poco o perdere tanto è lo stesso, l’importante è non perdere l’interesse.

Etichette che senti complici, sorelle?

Sicuramente la Wallace Records, perché oltre alla musica Mirko è un grande amico, Artetetra che sta facendo cose molto interessanti, Backwards, Burp, Upside Down, Holidays, Boring Machines, Afoforo (di Jacopo Andreini che fu sax nei Bz Bz Ueu), Setola Di Maiale, Solar Ipse, Final Muzik, Sincope, Snowdonia e tante altre che ora sto scordando.

Cosa non ti piace nella musica di oggi, cosa ti esalta?

Non mi piace quando vuole solo apparire e ricevere consensi fregandosene di tutto il resto. Mi esalta poco, preferisco scovare nel passato:  ci sono tesori sommersi in abbondanza, l’ ultimo scovato ad esempio è un disco di Bobby Brown, The Enlightening Beam Of Axonda,  del 1972.

Ultime uscite, dischi di cui sei particolarmente orgoglioso?

L’ultimo uscito è Forget All This del Surplus 1980 Collectiv Ensembl With G.W. Sok, un supercombo con Moe Staiano che suona e dirige un large ensemble con l’ex The Ex G.W. Sok alla voce.

Sono orgoglioso di ogni numero in catalogo come lo sono tutte le mamme dei propri figli, ma – se devo menzionare qualcosa in particolare – ti direi Le Ton Mite, Version D’Un Ouvrage Traduit: è il cd che ho venduto meno, ma per me è un piccolo capolavoro.