CARL STONE, Electronic Music From 1972​-​2022

È la voce di Stefan Weisser, noto in un secondo tempo come Z’EV, a ottenere la nostra attenzione entrando nel mondo di Carl Stone, al quale è dedicata questa retrospettiva in tre lp edita da Unseen Worlds e masterizzata da Stephan Mathieu.

11 brani per 50 anni di composizioni, a partire dagli esordi nel 1972. Il suono di Carl Stone, studente presso Morton Subotnik e James Tenney al California Institute of the Arts appare morbido e cosmico. Lineare, a creare ambienti sospesi nel primo disco della raccolta, tramite “Three Confusongs” e “Ryouund Thygizunz”, che risuona fino a trasformarsi in quella che sembra una ricognizione cosmica delle alte sfere. Stacco, 15 anni dopo: Carl lavora ai giradischi, tagliando e mutuando tecniche hip hop. In “Vim” mantiene in loop frammenti dei Beach Boys, costringendo la band a movimenti robotici e costruendo una polpa sonora di una decina di minuti dalla tensione ritmica serrata e continua. Con “Noor Mahal” ci trasferiamo in India, con delle percussioni alle quali viene data una sferzata tramite un onirico incedere di corde che prende sempre più corpo, propagandosi nell’aria. A “Flint’s”, già targata 1999, respiriamo un’aria caraibica in cui motivetti pop vengono sferzati da tagli e mix assumendo aspetti aciduli e plunderfonici, risultando maggiormente morbidi rispetto agli esperimenti coevi di Leonard Kirby come V/VM. In “Morangak” sembra di assistere alla trasformazione dei Queen in gracidanti mostri della palude, pratica che ci sentiamo ovviamente di sostenere di buon grado! “Ngoc Suong” ci porta invece in quel che parrebbe essere un candido scenario naturale, gonfiandolo di clicks and cuts, rintocchi di piano ed effetti sonori che ricamano l’ambiente come un cartone animato di inizio secolo. Con il passare dei minuti la suite deraglia sempre più, stortandosi sotto le deformazioni insistite di Stone che però non rendono mai troppo ostico il materiale sonoro. Bisogna anche dire che forse l’ascolto di 3 album in serie, per due ore di musica circa, non è forse la soluzione più semplice per un neofita, ma se avete appena appena qualche rudimento su Carl Stone, sarà come avere i giri gratis sulle giostre! Giochi di voce, sensazioni soul, lingue sconosciute, succede veramente di tutto in ogni brano, come il gonnellino di Eta Beta ricolmo di suoni e di ritmi. Poi, improvvisamente, una band! Chitarra, basso e batteria, annata 2007, uno psych-rock liquido ed ammaliante in “L’Os A’ Moelle”. Cambiando lo stile però l’idea di musica di carl Stone rimane la medesima. Piccole variabili, cavalcate come un gorgo nel quale perdere l’orientamento, un’idea di straniamento e di festa che non riusciamo a comprendere fino alla fine e ci ubriaca. È l’ultimo inserimento non attuale nella raccolta e, anche se prelude ad uno stacco di 15 anni verso il materiale più recente, sembra essere un unicum bizzarro nella bizzarria, geniale per trasportare una fanfara western dentro ad un caleidoscopio pressoché infinito. Nelle ultime produzioni abbiamo cantilene arabeggianti e disco come “Walt’s”, uno sfiato che profuma di rebetico come “Kustaa” e la conclusiva “Merkato”, che chiude in maniera sbarazzina come meglio non si potrebbe questa retrospettiva. Certo, impegnativa, grande, forse troppo, ma se in due ore di tempo nessuna traccia suona come riempitivo e l’istinto è quello di ricominciare, qualcosa vorrà pur dire. Non temete, gettatevi dentro questi cinquant’anni, ne uscirete lucidi e ballerini.