MATERIAL + OBJECT, Telepath

La traiettoria artistica di Material + Object, artista australiano che naviga ormai da parecchi anni nel mare magnum dell’elettronica “sui generis” è, in retrospettiva, a dir poco peculiare se si prende in considerazione Telepath, sua ultima fatica edita da Edition Mego. Dai primi, incerti esperimenti minimal techno datati 2009 siamo arrivati progressivamente dalle parti di una sensibilità più stratificata, basata ampiamente su di una conoscenza puntuale della tecnologia della sintesi analogica (fulcro delle uscite collaborative con Pete Namlook, per esempio). Sono certo lavori interessanti, anche se, ad essere onesti, tendono inevitabilmente a diluirsi nella schiera di pubblicazioni simili. Nonostante questo, il percorso che precede l’uscita di Telepath (così come di altre, piccole, creazioni successive, datate giugno di quest’anno) è costellato da elementi che ritroviamo anche in questo presente artistico, per certi versi più maturo. Sicuramente ritornano la padronanza del medium tecnologico e la capacità di estendere il materiale sonoro grezzo e deformarlo secondo la propria soggettività. Accanto a questo si legge una certa tendenza all’utilizzo di una gradazione di suoni in tono minore, con atmosfere fuori fuoco, riverberate e a tratti spettrali. Viene invece in qualche modo modificata la propulsione ritmica dei primi lavori, rimodulata più come “ripetizione” che come struttura percussiva. Quello che comunque fa spiccare Telepath è, inutile dirlo, l’elemento fondante su cui si basa tutta la narrazione del disco: la pesante manipolazione del suono di un violino, deformato fino a renderne irriconoscibili i contorni, usato come creta per comporre paesaggi densi e stratificati. Ed è proprio in questo certosino lavoro di rimaneggiamento che i tratti del Material + Object degli esordi, più spigoloso ed elettronico, emergono. Una chiara tendenza al ritmo, inteso non solo come giustapposizione di elementi decodificati ma anche come “movimento” in senso lato, permea la gran parte delle tracce. Ritmo, dinamismo, movimento, magnificati anche da un intelligente disposizione del suono nello spazio tridimensionale della stereofonia, con i fantasmi di un violino ormai destrutturato che si rincorrono con piacevole asimmetria.

Non mancano nemmeno momenti più riflessivi, più distesi. Ascoltando le ormai sempre più frequenti, nel panorama internazionale, collaborazioni elettroacustiche, ci si accorge di come gli strumenti fisici – il violino, appunto, fatto di legno, corde e risonanza naturale – si prestino con immediatezza ad essere ingrediente di partenza per i più disparati circuiti elettronici. E quindi l’attacco puntiforme di un pizzicato può essere esteso oltre i suoi limiti fisici e naturali per stemperarsi in un pulviscolo ambient, oppure un accordo più sostenuto, fatto suonare al contrario e poi tagliuzzato in minuscoli frammenti, diventa la base per un passaggio più strutturato e ritmico.

Telepath è un disco suonato, pensato e registrato con cura e che all’ascolto regala piacevoli momenti di sfasamento fra la concretezza del violino e l’intangibilità del suo doppio elettronico. Le proporzioni fra gli elementi sono dosate con attenzione e permettono uno scorrimento narrativo naturale, senza intoppi. Ci auguriamo che il musicista australiano continui ad esplorare questi territori in cui, a quanto pare, si trova perfettamente a suo agio.