ALESSANDRO ADELIO ROSSI, Òpare

Era dai tempi di Cold House Of Love che aspettavo qualcuno che fosse minimalista e intimista quanto Andrea Penso (Selaxon Lutberg). Sono passati 16-17 anni: non ricordo nessuno – a parte Alessandro Adelio Rossi in questo Òpare – in grado di trasformare il post-rock (sponda Labradford/Mark Nelson) in qualcosa di così diafano. Persone come Taylor Deupree hanno costruito un castello su di un sound sfocato, fragile e imperfetto e William Basinski ha creato un concetto di ambient basato su ricordi che scompaiono insieme ai supporti che li contengono: ciò non toglie che Rossi con pochissime pennellate riesca a dire la sua con grande onestà, che è il segreto per farsi ascoltare anche quando chi sta dall’altra parte sa già come va a finire la storia. Sembra di osservare una distesa di neve da dietro una finestra, possibilmente in un giorno in cui non ci affligge nessun’icombenza. Vediamo se Denovali si accorgerà di Rossi come s’accorse di Penso, per ora ci ha pensato l’etichetta di Vasco Viviani, proprio quel Vasco che scrive per noi: magari siamo di parte, magari – visto che non ho parlato di tutto ciò che pubblica – se lo faccio questa volta è perché sono davvero convinto.