MARTA DE PASCALIS, Quitratue

Quitratue

Si sa poco di lei: Marta de Pascalis dovrebbe essere una giovane sound artist che vive un po’ a Berlino e un po’ a Roma, occupandosi anche di arti visive. Quitratue è il suo esordio autoprodotto e lascia credere di ascoltare qualcuno che utilizza una “tecnica mista”, ricorrendo al laptop come strumento e come filtro, ma anche a nastri e roba analogica, visto il calore di certi frangenti. L’impressione che rimane, ad ascolto finito, è quella di un disco ambient/drone avvolgente, profondo e in qualche modo sfocato per una precisa scelta estetica, con suoni di diversa provenienza (synth? Chitarre? Musica concreta? C’è anche un piano all’inizio) trasfigurati ed estesi all’infinito, che trasmettono emozioni indefinite: a volte tranquillità, altre malinconia, altre ancora il senso del vuoto. In questi giorni sta uscendo anche il nuovo Lawrence English e non ci troviamo poi così distanti quanto a tessuto sonoro, fatte le debite proporzioni tra un’autorità e un’esordiente e tenuto conto che l’australiano a questo giro è più dark del solito, laddove Marta vaga in una specie di limbo acquoso/vaporoso, che – come si sa – può essere pacificante come trasmettere inquietudine. Durante il periodo in cui avrete le cuffie in testa non mancheranno spostamenti più percepibili: qualche accenno ritmico (da pensare meglio la prossima volta, secondo me) e sprazzi più noise.

De Pascalis, in buona sostanza, vive pienamente e con grazia quest’epoca, nella quale si supera il dibattito digitale/non-digitale e al formalismo si preferisce qualcosa di più fluido, imperfetto e scorrevole, alla ricerca di un nuovo equilibrio tra organico e inorganico. Verrebbe da aggiungere anche con una certa femminilità, ma non sono bravo a fare discorsi sulle quote rosa.

Come dicono quelli veri: record labels get in touch!

P.S.: non sono riuscito a capire perché il disco abbia questo titolo cileno, faccio mea culpa.