Zeal & Ardor: l’unica magia è la musica

Zeal & Ardor è un nome che ormai non necessita di presentazioni. Giunto al terzo album, il progetto di Manuel Gagneux ha superato la fase della novità stramba per imporsi come una delle realtà più interessanti e personali dell’odierno panorama estremo. Momento perfetto per mettere sotto torchio il musicista con una sfilza di domande cui ha risposto in modo conciso ma sempre puntuale, soprattutto con il sorriso e un palpabile entusiasmo per il lavoro in uscita.

Ciao Manuel, dove stai passando il tuo tempo in questo periodo?

Manuel Gagneux: In questo momento sono a casa, in Svizzera.

Com’è la situazione lì ora?

Qui i locali sono chiusi, in realtà è tutto chiuso.

Una delle mie band preferite di sempre è svizzera, ovviamente parlo dei Celtic Frost. Qual è stato il tuo background musicale?

Molta musica punk e metal durante la mia adolescenza, ovviamente anche black metal. Poi, vari generi differenti, tanto Tom Waits e musicisti noise.

Un background complesso che ti ha sicuramente aiutato a creare una formula inusuale. Cosa ti ha portato a decidere di mischiare black music e black metal, due mondi così distanti?

È iniziato tutto come una sfida online, un gioco. Ho scritto in un forum online di darmi due generi e qualcuno ha detto jazz, qualcuno calipso, quindi jazz-calipso. Qualcuno ha proposto techno, qualcuno New York style hardcore e, alla fine, un giorno qualcuno ha detto black music e qualcuno black metal ed eccoci qui.

Deve essere stata una grande sfida, anche per una certa fama che ha il black metal, hai pensato a questo aspetto?

Sì, ci ho pensato, ma a dire il vero ho anche pensato che questo rendesse il tutto più divertente.

Ormai la formula è rodata. Hai sentito la pressione di creare il famoso “terzo album”?

In realtà no, perché ho sempre continuato a fare musica che mi piacesse e mi rendesse felice. Mi è sempre piaciuto scrivere musica, quindi non direi che è stato un processo complicato.

Hai lavorato da solo o ti hanno aiutato altri?

L’ho scritto interamente da solo e l’ho prodotto in studio con il tecnico del suono e il nostro batterista, Marco.

Senti la differenza tra suonare live con una band e registrare da solo in studio?

Sì, sono due bestie differenti. Suonare live è un qualcosa di più aggressivo, mentre lo studio è come un laboratorio dove sperimentare, è molto divertente.

Mentre crei la musica pensi a come suonerà dal vivo o non ti interessa di come sarà?

Sono due cose del tutto separate, per cui mi sento completamente libero: se una cosa suona interessante, suonerà interessante anche dal vivo.

Prima dell’album hai pubblicato l’ep Wake Of A Nation, caratterizzato da una forte impronta politica in un periodo molto difficile per il mondo: è stata una scelta ponderata o è stato un caso?

Stavamo scrivendo canzoni per questo album e sei erano molto politiche, perciò volevo che fossero separate dal resto e che uscissero il prima possibile, proprio per il momento che stavamo attraversando.

Perciò volevi avere un album non così politicizzato e concentrare questo aspetto nell’ep?

Esattamente, è andata proprio così.

Quante canzoni avevi tra cui scegliere per l’album e come le hai selezionate?

Avevo circa trenta brani tra cui scegliere e alla fine ho tenuto ciò che suonava meglio insieme. Volevo che l’ascolto rappresentasse un’esperienza unica, unitaria.

Quando crei pensi alla condivisione con gli altri o è un processo personale?

Quando scrivo entro all’interno di un processo molto intimo, perché se penso troppo al resto alla fine il risultato suonerà male, poco onesto. Devo mettermi in uno stato d’animo più egocentrico, se possiamo definirlo così.

Cosa c’è dentro la tua musica, cosa la influenza? Cosa ascolti quando non componi?

Molti libri, science fiction da Philip K. Dick e Octavia E. Butler a David Foster Wallace, ma anche molta musica. Per gli ascolti, ti direi Liturgy, Fuck Buttons, Tropical Fuck Storm, ben due band con fuck nel nome. Anche molto Brian Eno.

Qual è la tua relazione con la black music e il tuo retaggio culturale?

Mia madre è nera e viene da una cultura molto ricca. Se pensi da quanto poco tempo esiste quella società (si riferisce alla comunità afro-americana, ndr), noti come ci sia un output musicale immenso. C’è qualcosa di molto accogliente persino nell’hip hop più aggressivo, come se volesse comunque renderti partecipe.

Senti una connessione speciale con questa musica o è solo uno dei tanti generi che ascolti?

Direi più che è uno dei molti generi. C’è una connessione perché creo questa musica ma è come per i dolci, ci sono molti gusti e tutti buoni.

Arrivando al periodo attuale, hai già iniziato a suonare dal vivo i brani del nuovo disco?

Sì, assolutamente. Siamo stati in tour con i Mastodon e gli Opeth fino alla settimana scorsa e per tutto il mese precedente, in questa occasione abbiamo già suonato un paio di canzoni dell’album. Direi che hanno funzionato bene.

Come ti è sembrato suonare dal vivo in questo periodo così strano? Pensi che il pubblico sia differente?

In realtà, in America a nessuno importa davvero della situazione. Però durante il tour tutte le band erano isolate perciò non potevamo fare alcune cose, come ad esempio andare al banchetto del merch. Ma per il resto è stato lo stesso, come se nulla fosse accaduto.

Hai anche un tour europeo in programma per i prossimi mesi?

Sì, prima abbiamo un tour con i Meshuggah e dopo potremmo provare ad avere un tour da headliner ma ancora stiamo cercando di capire quando e dove.

Ci sono delle band con cui preferisci condividere il palco?

In realtà no, mi piace sempre avere la varietà. La mia pizza è la quattro stagioni, se capisci cosa intendo.

Hai mai provato a suonare con band meno estreme, più classiche? Come reagisce il loro pubblico?

Capita spesso ai festival e anche questo funziona. Quest’anno suoneremo al Mad Cool Festival in Spagna, prima ci siamo noi e poi Phoebe Bridgers, credo andrà bene. Per quanto riguarda il pubblico, abbiamo molte parti cantate, quindi riesce comunque a connettersi con la nostra musica.

Hai deciso di far uscire delle canzoni come preview dell’album, come le hai scelte?

Certe canzoni suonano meglio nell’album nel suo insieme, ad esempio perché sono canzoni più lunghe e necessitano che tu sia nel giusto mood. Il singolo invece è come un antipasto, un piccolo assaggio, per cui vanno meglio quelle più corte.

L’album uscirà a febbraio. Come ci si sente ad avere un album già pronto e dover aspettare così tanto tempo per un feedback?

In realtà, ci sono due motivi per l’attesa: prima di tutto, quando vuoi suonare ai festival devi avere un nuovo disco da presentare ed ecco perché abbiamo ritardato l’uscita. In secondo luogo, Spotify e Apple Music hanno un algoritmo che ti manda più in alto quando hai più di un’uscita, quindi richiedono singoli su singoli su singoli. È solo una questione di business, è quello che devo fare per portare il cibo a casa e dar da mangiare alla mia band.

C’è una connessione tra le canzoni dell’album, un concept che volevi portare avanti?

Direi di sì, almeno in parte. Devil is Fine riguardava la schiavitù, Stranger Fruit parlava dell’evasione e questo album della fuga e ciò che viene dopo.

Di recente, Anna Von Hausswolff ha avuto dei problemi con degli integralisti cattolici in Francia. Anche tu hai avuto accuse di essere un satanista o non hai mai avuto problemi sotto questo aspetto?

Sì, ne ho sentito parlare. Sai, in realtà, non sono un super satanista ma se dicessi “no, non lo sono più”, loro vincerebbero e non voglio che accada.

Ti ritieni una persona spirituale?

No, non sono una persona spirituale. L’unica magia per me è la musica.

Come lavori ai tuoi testi, vengono prima loro o la musica?

Parallelamente, diciamo. Può capitare che abbia un quaderno con i testi mentre lavoro alla musica e penso: “Ah, questo starebbe bene lì”, mentre altre volte ho già la musica pronta e li scrivo in base ad essa. Dipende molto. Ho un taccuino su cui appunto i testi e un piccolo registratore per la musica.

C’è qualcosa che vorresti dire a chi non conosce ancora la tua musica?

Penso che direi che è musica metal con gusti differenti al suo interno. La consiglierei agli ascoltatori con una mente aperta.