ZEAL & ARDOR, Zeal & Ardor

Zeal & Ardor non è più un nome nuovo o una semplice curiosità per ascoltatori attenti: il progetto di Manuel Gagneux si è infatti saputo imporre grazie ai precedenti album in studio (Devil Is Fine e Stranger Fruit) e al doppio live a Londra, tanto che, giunto alla soglia del nuovo disco, la sua unica preoccupazione è stata proseguire nella sua esplorazione sonora senza ripetere pedissequamente una formula che, per la sua stessa natura, correva il rischio di fossilizzarsi. Come si sa, il tutto è partito per gioco, una scommessa lanciata in rete dai suoi fan e presa seriamente dal polistrumentista, che anche in questo caso ha fatto praticamente tutto da solo (solo la batteria è in mano ad altri), lasciando la band ad attenderlo per le esibizioni dal vivo. Oltretutto Manuel è svizzero da parte di padre, un particolare che non può non far pensare a quanto quel luogo sia stato sempre culla di pochi ma temerari nomi in campo estremo, dai padri assoluti Celtic Frost ai Coroner, dagli Young Gods ai Samael, per arrivare ai più recenti Rorcal, Schammasch e Bölzer, solo a buttar lì qualche nome a memoria, musicisti capaci di andare oltre gli steccati di genere per cercare nuove strade e aggiungere alla propria musica tanta voglia di osare e mettersi in gioco. Il nuovo album, preceduto dall’ep Wake Of A Nation e non a caso intitolato semplicemente Zeal & Ardor, a detta dello stesso Gagneux rappresenta in modo fedele l’intuizione iniziale da cui tutto ha avuto inizio e fotografa al meglio la sua visione artistica, è un disco in cui agli elementi originali si aggiungono sprazzi “altri” come una certa tendenza a sconfinare nell’industrial-metal, ma anche la presenza di elementi fusion, elettronici e quanto altro serva a rendere il più vario possibile l’ascolto di un album che possiamo definire della maturità raggiunta e della piena consapevolezza di sé. È di sicuro un ulteriore passaggio rispetto a quanto prodotto finora: le componenti black-metal e spiritual sono meno egemoni e sotto i riflettori (seppur sempre ben presenti), perché qui è tutto più complesso e moderno, in qualche modo fuso insieme e meno giustapposto. Se Stranger Fruit era, difatti, un lavoro in cui le due anime si avvicendavano e mischiavano perlopiù i bordi, così da mantenere inalterata la loro natura singolare e i propri aspetti precipui, con Zeal & Ardor appare tutto meno palese e rintracciabile all’interno di un linguaggio decisamente più completo e personale: non più semplice scontro di culture – per quanto affascinante – ma esperanto che tenta di porre le basi per una nuova espressività, a costo di assumersi dei rischi e perdere qualche vecchio fan. Ricorda in questo il passaggio da To Mega Therion a Into The Pandemonium, per citare conterranei illustri e, pur senza voler far paragoni scomodi, forse è proprio questo l’esempio più chiaro per comprendere la differenza con il passato e cosa ci si debba aspettare dal nuovo disco. Ancora una volta una scommessa, ancora una volta un percorso quantomeno interessante e meritevole di essere esplorato fino in fondo. Per quanto ci riguarda è un sì, tanto che abbiamo deciso di parlarne direttamente con lui in sede di intervista.