Beyond the Wall of Sleep

Sleep 1990

In alcuni casi, per lo meno se si vuole andar oltre la mera enunciazione di dati e date o la recensione di pancia, sarebbe il caso di chiedersi quale sia quello specifico ingrediente che rende un gruppo seminale, quel quid che rende il disco qualcosa d’altro rispetto al suo valore palese e ne fa un oggetto di venerazione, magari solo per una nicchia (o, peggio, sotto-nicchia) di ascoltatori. Perché, ad esempio, gli Sleep sono riusciti a rendere un reunion tour – come oggi ce ne sono molti – un vero e proprio evento, una sorta di riunione di famiglia? Perché la ristampa di Dopesmoker su Southern Lord ha avuto un’eco superiore ad altre operazioni similari? Scontato che buona parte dell’aura intorno al disco provenga dale travagliate vicende e la difficile reperibilità dell’originale, possibile che Om e High On Fire abbiano attirato verso la band madre i nuovi fan, tuttavia appare ancora difficile far quadrare i conti con una semplice somma degli elementi, una mera giustapposizione dei vari fattori.

Naïveté

Chi avesse incontrato per la prima volta gli Sleep sulla compilation Naive della Earache, li avrebbe potuti persino percepire di primo acchito come la nota stonata nel contesto generale, il gruppo tutto sommato non in linea con gli altri. In pratica, a un ascoltatore bramoso di novità sembravano come privi di quella scintilla creativa e sperimentale che caratterizzava i compagni di scuderia Scorn, Pitchshifter, Fudge Tunnel, Old, Painkiller e forse anche i Clutch, di sicuro i meno innovativi del lotto. Gli Sleep apparivano, in fondo, come schiacciati su vecchi parametri e privi della voglia di andare oltre che permeava ogni singola nota degli altri nomi presenti; eppure, con il senno di poi, ci si rende conto che la Earache ci aveva visto giusto, perché a loro si può oggi imputare una larga parte dell’evoluzione del doom in qualcosa d’altro/ulteriore, in particolare in drone-doom, l’ala più sperimentale e coraggiosa della scena, quella disposta a rimettere in discussione le proprie regole o, meglio, a manipolarle per portarle avanti, renderle ancora più estreme. Un risultato che il trio ha raggiunto nel corso della propria evoluzione, non palese nelle prime prove in studio. Qualcosa, però, doveva essere chiaro, intuibile anche al tempo, se proprio loro finirono su quella particolare compilation, tanto che oggi siamo ancora qui a parlarne.

Ecco, varrebbe la pena di prendere quel sampler come cartina tornasole della parabola di Cisneros, Pike e compagni di avventura (Hakius e Marler), un’epopea costruita su alti e bassi, fan devoti e cecità dei molti, dischi diventati leggenda e, soprattutto, la capacità di creare aspettativa e incuriosire nonostante il lungo tempo trascorso dallo scioglimento. Certo è che, una volta attaccati gli strumenti agli amplificatori e prodotte le prime note sul palco, molte di queste chiacchiere e di queste divagazioni perdono importanza e lasciano il posto a un’esperienza sensoriale unica, legata in modo indissolubile a ciò che la musica estrema è diventata negli anni.

Doom Flowers

Quella singolare esperienza, perché di ciò si tratta, ha anche dato la stura a inediti accostamenti artistici. Non è un caso che soprattutto le menti più attive abbiano apprezzato e usato il lavoro del gruppo californiano per i loro scopi artistici. Alludiamo al cinema in particolare, come l’omaggio in una delle scene iniziali di “Gummo”, notevole weird film di Harmony Korine, ma anche all’uso incredibilmente coraggioso che ne fa Jim Jarmusch per la stramba commedia sentimentale “Broken Flowers”. Nello score architettato dal regista di “Dead Man” il pezzo è inserito per intero, nel film invece si ascoltano pochissimi secondi, ma ci bastano per captare un suono-matrice che definire inconfondibile è dire poco. Korine dal canto suo prende a prestito la più melodica “Dragonaut”, da Holy Mountain, e la usa in maniera arguta mentre dei ragazzi-dropout stanno cavalcando le loro strambe biciclette in una cittadina del midwest appena scossa da un violento tornado. Questi dati li usiamo solo per ribadire quanto in effetti Dopesmoker abbia avuto influenza nella più disparata cultura underground statunitense. Jarmusch, che evidentemente ha il vizio, continua per una pellicola successiva, la troppo presto dimenticata “The Limits Of Control”, a usare musiche dal taglio drone, quindi dirette figlie del lavoro degli Sleep (nel film, per la cronaca, si sente la collaborazione tra Sunn O))) & Boris) e dimostra ancora una volta di avere l’orecchio particolarmente attento.

Viene da pensare, proprio alla luce di come la musica pesante si è evoluta negli ultimi anni, che il lavoro del trio di San Josè sia stato in qualche modo rivelatore ed esempio da seguire anche al di fuori della musica stessa. Gli Sleep si sono perciò conquistati di diritto la comoda poltrona di prime-movers, anche perché sono stati tra i pochissimi che si sono potuti permettere il lusso di reinterpretare la lezione sabbathiana senza sembrare solo degli emuli di quel peculiare linguaggio. Questa è proprio la loro grande qualità, rara come le poche cose belle della vita.