Venezia è sempre Hardcore

13/5/2017 – Marghera (VE), Centro Sociale Rivolta. Le parti in corsivo sono, di volta in volta, di Marco Pasini e Michele Giorgi, il resto è a cura di Serena Mazzini. Le foto senza logo sono di Riccardo Bellavita Carraro, quelle col logo “Sparta” sono di Sparta Salviato.

Il Venezia Hardcore Fest non è solo un festival: negli ultimi cinque anni ha saputo diventare anche un punto di riferimento culturale, come lo era stato, per la generazione precedente, l’Anti-Mtv day di Bologna. Nato per dare sostegno alle realtà locali, nel corso degli anni si è allargato a quelle nazionali e internazionali, ecco perché oggi è l’appuntamento più atteso per gli amanti del genere, forte non solo della presenza di grossi nomi, ma anche di un impianto organizzativo che fa in modo che le persone interagiscano, si conoscano, condividano. Il merito di questo successo si deve ai ragazzi dei collettivi Trivel, Youth Of Today e Venezia Hardcore, che ormai da tempo operano per dare supporto non solo al mondo musicale del Triveneto, ma, soprattutto, per riuscire a costruire una nuova realtà nel panorama italiano, basata sulla cooperazione e la condivisione e che mira a scardinare tutte quelle rivalità geografiche o di genere che in passato hanno, in qualche modo, portato a divisioni in quella che chiamiamo “la scena”. Se è vero che “hardcore is more than music”, il Venezia Hardcore Fest può essere considerato come l’emanazione più evidente di questo assunto: vedere tutti quei ragazzi che lavorano giorno e notte per far sì che non ci siano intoppi, che lo spazio sia sicuro e che tutti possano vivere al massimo l’esperienza che un evento di questo tipo può dare, dimostra che lo spirito diy è ancora vivo. Un impegno che è stato ripagato: basti pensare che gli ingressi, quest’anno, sono stati più di 2300.

Veniamo al Festival vero e proprio. La location è sempre quella del Rivolta del Marghera, che, anche quest’anno, è suddivisa in diverse aeree: l’Hangar Room, che ospita l’area merch delle band, delle distro e altri stand legati all’autoproduzione e all’alimentazione e in cui, come in passato, è installata la Skate Ramp, sponsorizzata da Green Records; la Nite Park Room e l’Open Space Room, le due zone riservate ai concerti, e l’Osteria Room, che sfornerà pizze e cibo a volontà fino a notte tarda. Nell’area esterna ci sono banchetti informativi (come quello di Sea Shepard) e altre zone dedicate al ristoro. Le regole a questo giro sono leggermente cambiate: i set prevedono infatti venti minuti per band (mezz’ora per gli headliner), per un totale di 26 gruppi ad alternarsi sui due palchi, con nessuna pausa tra un’esibizione e l’altra. Un’assenza di tregue, quest’ultima, che sarà da un lato debilitante, dall’altro farà sì che spesso si debba rinunciare a parte di un live per correre verso l’altro palco.

Slander

La partenza non può essere più infuocata. I “ragazzacci” del Rivolta iniziano con una giocata clamorosa: far aprire le danze agli Slander, una delle band più amate e seguite non solo in Italia, fiore all’occhiello di quella scena veneta che si sta imponendo con formazioni sempre più determinate e capaci, anche con quelle nate da poco, come nel caso dei Confine. Così già dalle 16 gli spazi del Rivolta straripano di persone sudate e pronte a lanciarsi in un pogo violento e irruente per un live che ripropone alcuni dei pezzi più apprezzati degli Slander, in attesa di sentire il nuovo album, in uscita nelle prossime settimane per FOAD Records.

Tutti I Colori Del Buio

A questo punto alla Nite Park Room tocca a Zeit e Tutti I Colori Del Buio che, proprio in questi giorni, sono in tour insieme per promuovere all’estero i loro ultimi lavori Monument e Initiation Into Nothingness. Ciò che apprezzo degli Zeit è il loro modo di unire un hardcore frenetico, brutale, caratterizzato da ritmiche sbilenche e irrequiete, a una precisione tecnica degna dei migliori gruppi death metal. Non a caso propongono una cover di “The Swarm” degli At The Gates, che, specie nella versione registrata, grazie anche al contributo di Nicola Manzan, assume una connotazione ancora più epica. I venti minuti di set permettono ai torinesi Tutti I Colori Del Buio di destreggiarsi in un live secco, deciso, che spazia tra i pezzi del demo e i brani del nuovo disco, mettendo in luce tutte le diverse sonorità che danno vita al loro particolare sound: atmosfere plumbee, pesanti ma allo stesso tempo dirette e sfrontate, che amalgamano hardcore e sludge, sostenute da un’attitudine punk che riesce a far emergere i diversi background dei componenti della band e che, specie live, sfocia violentemente, influenzando anche le movenze degli stessi musicisti. “Sergio Martino is our Elvis”, serve altro?

Il punk old school dei Tetropugnale mantiene viva l’attenzione dell’Open Room, che si accende con l’ingresso in scena dei Keep Talking, band metalcore svizzera, reduce da uno split con i veneziani Hittin’Random.

Scornthroats

Nella Nite Room troviamo poi i sardi Scornthroats, una delle rivelazioni di oggi. Il loro ultimo disco, Misfortune, è uscito solo qualche settimana fa e sono curiosa di vederli live. Quello proposto dal quartetto è un mix di crust, sludge e metal altamente caotico, rabbioso, soffocante. Le influenze spaziano dal più virulento hardcore alle sonorità più caotiche di un black metal marcio, aggettivo che, in questo caso, ha un’accezione più che positiva.

Ancora Open Room, stavolta sul palco ci sono i bolognesi Horror Vacui e per un momento mi sembra di essere a Londra nei primi anni Ottanta. La band propone infatti un post-punk molto vicino alle atmosfere dei primi Sisters Of Mercy, ma il feeling oscuro sprigionato dai pezzi riesce comunque a caratterizzare il sound con un’impronta personale, vivida, più vicina all’attitudine hardcore. Il progetto è sicuramente una bella scommessa, perché non è facile riportare in auge un genere forse dimenticato come il goth-rock, rivisitandolo in modo personale e dinamico, in qualche modo anti-convenzionale.

Nella Nite Room scopro gli Autarch. Non capisco come sia possibile che, fino ad ora, ignorassi completamente la loro esistenza. Poco prima ero rimasta incuriosita dal loro merch, ispirato a X-Files, e dalla loro bio: “Preparing humanity for it’s eventual downfall at the hands of a more advanced extra-terrestrial civilization since 2010”. Inoltre, la collaborazione con Alerta Antifascista Rec era già una premessa sufficientemente buona per pensare che non sarei rimasta delusa. E così è stato. Uno dei live più sentiti della giornata per una band che unisce sonorità à la Amebix all’epicità dei Fall Of Efrafa.

Sono le 19 e da questo momento in poi diventa difficile stare dietro a tutto: la fame, il caldo e le migliaia di persone che affollano gli spazi del Rivolta non mi permettono di riuscire a seguire tutti gli show della serata e ne approfitto per guardare più da vicino il lavoro di decine di volontari che per tutto il giorno e la notte si dedicano ai punti di ristoro. Dei veri eroi e non posso esimermi dal fare i complimenti a chi ha cucinato polpette e torte salate.

Paso: L’asse veneto con l’Inghilterra si consolida ancora di più con la presenza al Venezia Hardcore Festival di Blind Authority, Higher Power, True Vision e Big Cheese. Arrivato tardi per gustarmi i set di True Vision e Big Cheese, e avendo già visto gli Higher Power in azione a Londra alla prima europea dei leggendari Burn da New York City, mi gusto i set di The Flex e Blind Authority, che suonano uno dietro l’altro, scambiandosi i membri. Ero troppo curioso di vedere i primi, forti di una serie di uscite di violentissimo hardcore made in England. Ed in effetti violentissimo è stato. Ho contato tre tentate risse nell’arco di dieci minuti, calci volanti a più non posso, stage diving assassini e anche un po’ di gente sanguinante. Il gruppo saccheggia con furia omicida il proprio repertorio, confezionando una prova dirompente e muscolare, con il gigantesco singer The Boots che sprigiona rabbia ed energia come da tempo non vedevo on stage. Inutile dire che sarà uno dei migliori concerti dell’intero festival, e se la scena hc inglese è forse la migliore in Europa, ci sarà un perché… Sento di polemiche sull’eccessiva violenza nel pit… Beh, questo è hardcore, se volete qualcosa di tranquillo andate ad un concerto dei Morcheeba! Tempo di Blind Authority, anch’essi molto attesi, ma che finiranno per annoiarmi un po’. Il loro hardcore non mi entusiasma molto e la cover degli Hatebreed dal primo full length (scusate, ma mi sfugge il titolo) è un po’ troppo blanda per i miei gusti, dunque il mio giudizio si abbassa ulteriormente. A dirla tutta, suonare dopo i The Flex avrebbe messo in ombra molte altre band.

Quest’anno il momento emozionale tardava ad arrivare ma a porre rimedio arriva lo show dei The Miles Apart, sorti dalle ceneri degli Eversor. La scaletta pare riscaldare il cuore dei più nostalgici per poi lasciare spazio a un altro gruppo storico, gli Impact. La band ferrarese ripropone ovviamente brani che, nel tempo, sono diventati vere e proprie pietre miliari del genere punk hardcore, basti pensare al pezzo “Solo Odio”, che fin dagli anni Ottanta si è imposto come inno di più di una generazione di punk.

Implore

È poi la volta degli Implore, considerati a buon diritto uno dei migliori gruppi grind in circolazione, come dimostrato anche dal fatto che nell’ultimo anno sono stati impegnati in un tour mondiale che li ha visti protagonisti di decine di festival a cavallo tra Europa, Sud America e Russia. Il mix di powerviolence, hardcore e death metal proposto dal terzetto spalanca le porte dell’inferno nella Nite Room, regalando ai presenti un’esibizione che difficilmente dimenticheranno.

Dufresne

Uno dei momenti più attesi del festival è sicuramente il live che sancisce la reunion, dopo ben 7 anni, dei Dufresne. L’intensità dimostrata sul palco, grazie anche al calore di un pubblico che sembra essere tornato indietro nel tempo, lascia pensare che forse questo sia il momento più emozionante della giornata, non solo per la folla ma soprattutto per i musicisti sul palco che ripropongono pezzi da Atlantic e Lovers. Si conferma la forza di quello che si era imposto come uno dei migliori progetti post-hardcore dei primi anni 2000.

Cro-Mags

Michele: Harley Flanagan è in giro per il Rivolta da tutto il pomeriggio, si intrattiene con chiunque lo fermi, curiosa in giro, ogni tanto se ne sta al suo banchetto e, soprattutto, non nega una foto a nessuno, tanto che nei giorni successivi i social saranno pieni di immagini che lo ritraggono in compagnia di chi lo segue da sempre o semplicemente vuole comparire a fianco di un prime-mover della scena newyorkese. Perché, è giusto ribadirlo, piaccia o meno, Harley era lì da prima che la parola hardcore fosse coniata, da quando ragazzino frequentava i locali che hanno fatto la storia del punk e si intratteneva con le icone di quel mondo, a ribadire come lo stato di figura cardine della scena se lo sia guadagnato sul campo e al netto di tutti i pettegolezzi seguiti alle vicissitudini con i suoi ex sodali. Del resto, chi si aspettava un vecchio punk stanco venuto solo a raccogliere scampoli di una gloria ormai svanita deve ricredersi, Harley sale sul palco carico e fa quello che gli riesce meglio, tira giù bordate con il suo basso e quando parte con gli anthem storici dei Cro-Mags tiene il pit in pugno. La gente canta a squarciagola, sale sul palco, si accalca e si diverte, e molto. Lui e i suoi nuovi compagni di avventura (anche loro sul pezzo e carichi al punto giusto) non si risparmiano e tutto si svolge nel migliore dei modi, con tanto di foto finale dal palco a immortalare un bagno di folla che dimostra come oggi le chiacchiere siano rimaste fuori dal concerto e l’unica cosa che conta è la musica e la voglia di divertirsi. Il resto, sinceramente ci interessa ben poco.

Vitamin X

Paso: Vitamin X. Credo sia la terza-quarta volta che li vedo, ma è sempre una festa. Gli olandesi negli anni Novanta erano un ensemble straight edge youth crew e fecero subito breccia nel mio cuoricino di straight edger convinto. Da allora sono passati molti anni, loro si sono evoluti in una bestia thrash core al fulmicotone e hanno pubblicato dischi per Soa Records, Agipunk, Havoc. Hanno suonato nei maggiori festival europei e americani e hanno girato il mondo in lungo e in largo. Oggi sono il support act di Harley Flanagan nel suo tour nel vecchio continente. Al Venezia Hardcore Festival sono gli autori del miglior set dell’intera giornata. Appena salgono sul palco è subito bolgia. Stage diving, mosh, circle pit, il singer Marko passa più tempo in aria che sulle assi del palco, confermandosi l’istrione ideale per l’hardcore al vetriolo suonato dai suoi compari. Prestazione maiuscola, con pezzi che ripercorrono tutti i dischi dei Vitamin X. A un certo punto, fra un coccodrillo di gomma e un salvagente, loro sparano coriandoli e stelle filanti. I ragazzi e le ragazze sotto al palco non si risparmiano di certo, così l’inferno sale di un paio di piani. Micidiali.

La Crisi

A chiudere le danze ci pensano i milanesi La Crisi, che, sebbene si siano formati solo nel 2003, sono entrati di diritto nella storia dell’hardcore punk nostrano. La band mancava dai palchi da diversi anni ma ciò non ha minimamente intaccato l’attitudine e la furia che la hanno sempre contraddistinta e che trova il suo principale punto di sfogo in Mayo che, nei primi anni Novanta, era stato anche alla voce nei Sottopressione. Nonostante siano quasi le 2, il gruppo non si risparmia e regala al pubblico una decina di pezzi che ripercorrono la sua storia, che, per tutta la discografia, si è basata su un azzeccato mix di old e new school, un suono decisamente diretto e potente e testi intimisti, introspettivi, pessimisti. Nella Nite Room il caldo avvolge i corpi ammassati davanti al palco, l’apoteosi arriva su “Tutti A Pezzi”, “Fino Alla Prossima Volta”, “Così Ti Piacciono Le Ossa”, “La Mia Ultima Lettera”. Sono sinceramente provata.

Michele: A fine serata le energie si attestano su livelli minimi, è stata una giornata a dir poco perfetta, passata in quello che in molti hanno definito un vero e proprio parco a tema per gli amanti dell’hardcore punk in ogni sua declinazione. Merito di un’organizzazione che ha smentito tanti dei luoghi comuni sull’impossibilità di offrire anche da noi eventi al livello di quelli internazionali, il tutto reso possibile grazie al duro lavoro di chi si sbatte con passione e può contare su un network di persone che non hanno paura di mettersi in gioco. Dalle band, alle molte distro e label presenti, dagli skater a chi ha offerto cibo e bevute, senza scordare chi come Sea Shepherd ha voluto comunque presenziare con un suo stand, tutti hanno permesso che questa giornata entrasse i diritto nel novero di quelle da ricordarsi a lungo. A questo punto non resta che dare appuntamento al prossimo anno.