TZUSING, 绿帽 Green Hat

Dopo quattro anni, l’ultimo dei quali in giro come dj, il producer sino-malese Tzusing, tra i principali esponenti di una scena elettronica vivace e spesso clandestina, dà un seguito al suo esordio.

绿帽 Green Hat segna un importante cambio d’etichetta: dalla newyorchese L.I.E.S., fucina di martellanti incubi urbani gestita da Ron Morelli, Tzusing si sposta sulla Pan di Bill Kouligas, punto di riferimento per chi ascolta quei suoni digitali che tempo fa qualcuno ha definito conceptronica. Così anche questo disco si sviluppa intorno a un tema centrale, il rapporto tra i generi, partendo dall’adulterio femminile. Il berretto verde del titolo, infatti, è il corrispondente, nella tradizione cinese, delle nostre corna: chi lo indossa, fondamentalmente, è becco. Nella copertina del disco è lo stesso Tzusing a essere ritratto nel gesto di indossarlo, mentre dell’acqua ne sgorga fuori: un’immagine paradossale e ambivalente, che è insieme ambigua incoronazione e battesimo. Fiera accettazione della debolezza (dell’umiliazione addirittura) e presa di coscienza dei rapporti di forza, delle aspettative della società, a volte forzatamente mutuate da altre culture, e delle conseguenze che hanno sui sentimenti e sui comportamenti delle persone. Non si facciano però intimorire i tanti detrattori delle musiche più impegnate e concettuali, perché le dodici tracce che compongono 绿帽 Green Hat affrontano questi temi con gli strumenti artistici che Tzusing conosce meglio, dato che qui ascoltiamo assalti ininterrotti, tra differenti inflessioni techno, tappeti sonori che sembrano vetrine esplose, attitudine industrial e atmosfere che oscillano tra la rabbia e l’angoscia più spinta. Anche se, nel primo vero brano dell’album, dopo la breve introduzione, il tutto viene affrontato con sorprendente ironia: da distorsioni metalliche taglienti e da tribalismi percussivi emerge trasfigurato il vocione di Daniel Day Lewis ne Il Petroliere, ma il famigerato monologo su avarizia, possessività, sopraffazione, misoginia e misantropia si trasforma in una specie di surreale, per quanto sempre disturbante e ansiogeno, meme porno-gay.

In “偶像包袱 (Idol Baggage)” il suono acquista un gusto più acido, teso, ad assecondare le esasperate ed esasperanti asperità ritmiche, mentre il sample reiterato di una risata isterica aumenta la sensazione di disperazione e smarrimento. Non è un ascolto dei più semplici, ma lo sguardo non si sposta mai dal dancefloor: lo dimostrano anche la più industriale e cinematografica “孝忍狠 (Filial Endure Ruthless)” in cui tornano riferimenti culturali alla Cina sotto forma di percussioni rituali e ipnotiche. Le stesse, serratissime scansioni di ritmi tradizionali in “Balkanize” iniziano ad assumere quelle sembianze hard-techno che diventeranno poi preponderanti soprattutto in “Gait”, ma in buona parte della seconda metà del lavoro. Così, mentre sintetizzatori e campionamenti disegnano panorami sempre più futuristici e minacciosi, 绿帽 Green Hat amplia la palette sonora, incrociando estetica rave, sentori UK-bass e le ipercinetiche colonne sonore dei videogame giapponesi nell’ottima “Clout Tunnel”. Con “Exascale” l’album raggiunge uno dei suoi momenti più harsh e duri, mentre la cassa batte implacabile a rimarcare l’eccellente lavoro di Tzusing, capace di riflettere e interrogarsi senza mai perdere il proprio personale, muscolosissimo e spesso trascinante stile.